Democrazia
Andai dalla democrazia imbalsamata, come
il cadavere di Lenin, a fiutare formalina e acquaragia,
in uno scantinato dell’Europa. Le stillavano sopra dall’alto
unguenti e colonie, le bruciavano d’incenso
e hashish, le recintavano l’opera completa di
Rousseau, di Saint-Just, di Victor Hugo, e
il corpo non si muoveva. Le gridavano libertà,
uguaglianza, fraternità, e la povera morta
odorava di camposanto, come se aspettasse
autopsie che non venivano, referti, diennea
che le dessero famiglia e discendenza. Sperai
che tutti si levassero dai piedi, scrutai a fondo
uno dei suoi occhi, e vidi che si muoveva. Le presi
le labbra, per dire qualcosa. Un testamento?
L’ultima verità del mondo? “Cosa vuoi?“,
le chiesi. E lei, quasi viva: “Una sigaretta“.
Questa bellissima poesia del poeta portoghese Nuno Júdice fa parte della sua ultima raccolta La materia della Poesia, uscita all’inizio di quest’anno. Ho avuto modo di leggere più di quindici liriche di questa silloge, grazie alla rivista Poesia di Crocetti Editore (n.302 marzo 2015), e sono rimasta letteralmente affascinata da quest’artista.
Qualsiasi argomento è materia della poesia, per questo le liriche di Júdice spaziano dai temi sociali, a quelli politici, dall’alienazione del lavoro, all’annoso quesito sull’utilità della poesia, che Júdice considera inutile «in un mondo di cose utili e immediate», ma necessaria a dare forma e contenuto al pensiero, alla fantasia, alla voglia di comunicare, caratteristica tutta umana di cui il poeta è Vate e Cantore.
Vista la situazione politica nazionale e mondiale attuale, ho scelto per questa nostra conversazione due poesie, una è Democrazia, che ho postato in apertura e un’altra è Epitaffio per l’Europa, che metterò in chiusura.
Júdice è un poeta che colpisce per la sua immediatezza, unita a un’ironia sottile che alleggerisce la portata drammatica dei versi.
Lasciamo un attimo parlare il poeta, che con la sua penna graffia come un gatto e carezza come una piuma: «Andai dalla democrazia imbalsamata, come / il cadavere di Lenin, a fiutare formalina e acquaragia, / in uno scantinato dell’Europa».
La democrazia è paragonata al cadavere di Lenin, che è custodito in un grande mausoleo, memoria storica di una rivoluzione tradita; così com’è stato tradito il pensiero democratico da quelli stessi che lo professavano. La democrazia è morta per tutta questa inutile marmaglia di approfittatori, che oggi tentano di resuscitarla con la cultura di maniera, con le religioni, ritornate drammaticamente di gran moda, con le droghe lecite e illecite. Burocrati che in nome della democrazia impongono leggi e balzelli inutili.
La democrazia vagheggiata, sognata, è finita in uno «scantinato dell’Europa», dice il poeta ed è chiaro il riferimento alla situazione attuale.
La comunità europea è in grande affanno economico. Gli Stati, uniti da una moneta ma non da politiche comuni, si azzuffano per interessi nazionali e, soprattutto quelli con le economie più forti, cercano di trarre profitti a danno di paesi dalle economie deboli quali: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.
L’Unione Europea ha strangolato le piccole economie, le identità culturali e non ha portato alcun vantaggio ma solo un pesantissimo debito. Una difficile situazione dalla quale uscire sembra impossibile, come ha dimostrato l’infranto sogno greco di Tzipras. Ora c’è da capire come evolverà questa complicatissima situazione politica, questa strana guerra che lascia tutti quanti con il fiato sospeso.
In questo contesto drammatico la democrazia si finge morta, per non farsi strumentalizzare da queste mani voraci, e non crede più alle parole di questi impostori:
Le gridavano libertà,
uguaglianza, fraternità, e la povera morta
odorava di camposanto.
La democrazia vuole tenerli lontani, non gli offre appiglio. Tocca a noi, uomini nuovi, saper aspettare il momento per risvegliarla; tocca a noi, liberi da vecchie ideologie, saper guardare il movimento dei globi oculari sotto le spesse palpebre chiuse della vecchia saggia.
La Democrazia si rigenera da tempi immemorabili, si rialza quasi viva e riparte con una sigaretta tra le labbra, con rabbia e determinazione solo se noi sapremo rigenerarla e sostenerla.
Dietro l’ironia delle immagini è forte il messaggio morale che questa lirica trasmette e che ci lascia basiti sul finale a sorpresa:
“Cosa vuoi?” le chiesi. E lei, quasi viva: “Una sigaretta”.
Sempre con un’ironia strepitosa, per quanto tragica, Júdice ci svela le nostre perplessità, giustifica le nostre paure. Utilizza gli strumenti retorici come un Omero dei nostri giorni, cantando un epitaffio per quest’Europa agonizzante. Le immagini si susseguono a un ritmo incalzante e ricordano quelle forti e scioccanti dei telegiornali accompagnate da parole inutili e dolorose.
L’Europa m’impregna della sua febbre,
Che placo con l’acqua di un ozio di
culture.
Lasciamoci per un attimo rapire da questo «ozio di culture». Quanti discorsi si celano dietro a questi versi, quanti significati uno complementare all’altro e tutti convergenti nell’obblio della memoria (religione, droga, mass-media compulsivi, gioco etc.) ed elogio alla stoltezza. Questa è l’acqua torbida nella quale vogliono placare la nostra richiesta di conoscenza, di libertà, di giustizia.
Nelle anafore quasi cantilenanti, in cui la parola Europa si ripete, si esaltano tutte le negatività prodotte dalla scellerata politica europea.
È lo spirito a dover essere ripulito dal grasso appiccicoso di questa Europa, e solo la Poesia, per bocca del poeta, può riuscire in quest’impresa, perché la Poesia è la somma dei pensieri e degli affanni umani ed è deputata a palesarli anche a costo di essere ignorata, cacciata, vilipesa e a volte carcerata o, peggio ancora, considerata un’arte talmente alta da non poter essere compresa dalle menti meno raffinate.
E ora, per l’appunto, godiamoci questa superba lirica e cerchiamo di interpretarcela, di nutrirci di queste immagini poetiche, lasciando alla nostra mente il tempo di elaborarle. Saranno esse stesse che torneranno a farci compagnia nell’affanno del nostro quotidiano, quando celebreremo, nelle nostre esternazioni rabbiose o dolorose, il nostro epitaffio per l’Europa.
Epitaffio per l’Europa
Pulisco lo Spirito dal grasso dell’Europa, e lo spalmo
sulle ferite dell’occidente perché si asciughino più
in fretta. L’Europa m’impregna della sua febbre,
che placo con l’acqua di un ozio di
culture. L’Europa ingombra i marciapiedi della memoria,
e obbliga a spingerla di lato per lasciar passare
quelli che arrivano. Talvolta, l’Europa si addossa
agli angoli, come se nulla fosse,
e la prendono per una prostituta, come
fosse in vendita; ma ciò che fa
è offrire il corpo a chi la desidera. Altre
volte, l’Europa è la vergine che non vuole
scendere dall’altare, come se qualcuno l’adorasse,
ancora, e le accendesse i ceri di una devozione
millenaria. “ Toglimi l’Europa
dai piedi “, dicono quelli che vogliono
arrivare prima nei luoghi che l’Europa ha
già scoperto, e perso, da tempo. “ Voglio essere
come l’Europa “, dicono altri – quelli che
camminavano dietro di lei, e non seppero tenerne
il passo, e caddero al primo ostacolo,
vedendo accumularsi sopra di sé i corpi
di quelli che li seguivano. L’Europa impazzì,
e chiese di essere rinchiusa perché nessuno più
credesse a ciò che diceva. L’Europa è il gufo saggio
della favola, le ragazze le si radunano attorno
pensando d’imparare qualcosa. Tolgo l’Europa
dalla mappa e ma la metto in tasca. E quando
qualcuno mi chiede di accendere, la tiro fuori
e l’accendo. Se il mondo prende fuoco la colpa è
di chi mi ha chiesto di accendere; se l’Europa si spegne
la butto e cambio accendino.
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Nuno Júdice è nato a Mexilhoeira Grande, Algarve. Oltre ad essere uno dei maggiori poeti contemporanei di lingua portoghese, è saggista, narratore, traduttore e critico letterario. Attualmente è professore di Letteratura all’Universidade Nova di Lisbona, dove vive. Tra il 1969 e il 1974, ha fatto parte della redazione della popolare rivista “Time and Mode”. Nel 1997, è stato consulente culturale dell’ambasciata del Portogallo e direttore dell’Istituto Camões di Parigi. Sue poesie sono state tradotte in spagnolo, italiano, inglese e francese. Lavora per il teatro e ha tradotto autori come Molière, Shakespeare ed Emily Dickinson. Si occupa della sezione cultura della Fondazione José Saramago, creata nel 2008.
È stato nominato Grande-Oficial da Ordem de Sant’Iago da Espada in Portogallo e Officier de l’Ordre des Arts et des Lettres in Francia. Júdice ha ricevuto vari riconoscimenti letterari e gli sono stati assegnati numerosi premi, tra cui il prestigioso Reina Sofía per la poesia iberoamericana 2013, il più importante della penisola iberica. Tra le sue opere più recenti ricordiamo: Poesia Reunida (1967-2000) (2000), Pedro, Lembrando Inês (2001), Cartografia de Emoções (2001), O Estado dos Campos (2003), Geometria Variável (2005), As Coisas Mais Simples (2006), O Breve Sentimento do Eterno (2008), A Matéria do Poema (2008), Guia de Conceitos Básicos (2010), Fórmulas de uma luz inexplicável (2012), Navegação de Acaso (2013).
In copertina: Thomas Saliot, Smoking face, 2012