Essere lirici e ironici è la sola cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta. Io abito il mio lirismo, Cesco, per continuare ad amare la vita: ogni evento vissuto non può che tradursi in queste due forme d’esistere, lirismo e ironia, perché la terza sarebbe la disperazione, e a quella non saprei porre rimedio. Non c’è altro.
(Gian Marco Griffi, Ferrovie del Messico, Milano, Laurana Editore, p. 361)
Ironia e lirismo sono le armi contro la desolazione utilizzate da Gian Marco Griffi, autore di Ferrovie del Messico, tra i libri candidati al Premio Strega 2023 per Laurana Editore, ma purtroppo escluso dalla cinquina finalista.
La trama è semplice: nell’asfittico contesto della Repubblica di Salò, nella città di Asti controllata dai nazisti dopo l’Armistizio di Cassibile, Cesco Magetti, milite della Guardia Nazionale ferroviaria, è incaricato di redigere con la massima urgenza una mappa dettagliata delle ferrovie del Messico.
Il pretesto darà vita al moto odissiaco di Cesco, moderno Ulysses col mal di denti, in un viaggio simbolico alla ricerca della bellezza, della speranza, di qualcosa in cui credere. Alla disillusione dell’Aiutante capo, all’assurdità della guerra e della burocrazia, all’efferatezza del capo delle SS Kraas in missone ad Asti, Griffi oppone, attraverso i suoi personaggi, la satira, il grottesco, l’elegia.
Esilarante è la scena in cui un insicuro e paranoico Hitler viene punito col taglio dei baffi dall’amante Eva e dai collaboratori di partito, per aver utilizzato troppo spesso anglismi quali outfit e dress code.
Satirica e al tempo stesso lirica è la storia dei due amici del protagonista Cesco: Pietro ed Ennio, quest’ultimo novello Don Chisciotte invasato dall’ideale di portare «giustizia laddove la giustizia mancava[1]».
Nonostante i ripetuti tentativi di Pietro-Sancio di riportare alla realtà l’amico con cui ha disertato, Ennio si lancerà a mani nude all’attacco di un manipolo di contadini svizzeri, confusi per dei nazisti, che lo percuotono a dovere; o ancora bombarderà con la sua motocarrozzetta la statua del patriota Guglielmo Tell, scambiandola per quella di un immaginario Hitler.
Il tragico epilogo della loro storia, narrata da Pietro, riporta gli elegiaci versi della Ballata degli impiccati di Villon, poeta francese di fine XV secolo: «Poi la pioggia ci bagnò e ci dilavò, e il sole ci disseccò e ci annerì[2]».
La galleria di personaggi fuori dall’ordinario di cui l’autore si serve è foltissima: da Tilde, la “folle” bibliotecaria di cui Cesco si innamorerà, ai becchini Lito e Mec protagonisti di incredibili peripezie nelle terre sudamericane; da Gustavo Adolfo Baz, autore di un libro sulle ferrovie messicane che costituisce il vero Graal del racconto, fino ad arrivare a Bardolf Graf, impiegato amministrativo tedesco con la capacità ancora di meravigliarsi e da cui ha origine l’inspiegabile ordine arrivato a Cesco.
Ferrovie del Messico, lo abbiamo già intuito, è un caleidoscopio di riferimenti intertestuali, espliciti o semplicemente ammiccati, che vanno tra gli altri, dal romanzo picaresco, alla narrativa postmoderna e tragicomica di Pynchon e Foster-Wallace, fino ad arrivare alle storie reali e magiche di García Márquez, Rulfo e Borges.
Proprio l’autore argentino e il suo racconto El jardín de los senderos que se bifurcan è esplicitamente richiamato da Mec, in una delle notti condivise con il sodale Lito al cimitero di San Rocco.
Il racconto di Borges è un riflessione sul tempo, sugli innumerevoli universi dischiusi dalle nostre scelte, che si moltiplicano in un inestricabile dedalo tendente all’infinito:
C’è un’infinta serie di possibilità, ho detto, e ognuna di esse genera un mondo. Siamo noi, dunque, gli artefici del mondo come lo conosciamo. Un mondo che un momento dopo è un altro rispetto a quello del momento prima. Esistono infinite scelte e infiniti mondi.
(G.M. Griffi, Ferrovie del Messico, p. 380)
Sono queste le parole di Mec che fanno eco a quelle del racconto originario:
A differenza di Newton e di Schopenhauer il suo antenato non credeva in un tempo uniforme, assoluto. Credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che si avvicinano, si biforcano, si intersecano o si ignorano per secoli, abbraccia le possibilità. Nella maggioranza di quei tempi non esistiamo; in alcuni esiste lei e io no; in altri, io, e non lei; in altri, tutti e due.
(Jorge Luis Borges, Finzioni, Milano, Adelphi, p. 88)
Il sentiero imboccato da Lito e Mec si realizza nella scelta di accendere dei ceri sopra le tombe fino a formare una scritta recante il titolo del racconto borgesiano. Questa decisione attenderà un mondo in cui un giovane aviatore americano, avendo letto Borges, riesca a decifrare il messaggio implicito dei due becchini (bombardare il cimitero che dovrebbe fungere da deposito d’armi) e si adoperi per realizzarlo.
Questa realtà immaginifica, ma speranzosa, è ancor meglio sostenuta nella scena cardine del romanzo: la catabasi dantesca nei bagni pubblici in cui Cesco, scortato prima dal dentista Grandi-Caronte e poi accompagnato fino all’ultima “porta” del regno dei morti dal suo più caro amico Firmino-Virgilio, incontra in un sogno allucinato il soldato tedesco Graf:
Il tempo futuro così come quello passato non sono altro che un’intuizione o un ricordo, una profezia o un imprinting, un progetto o la pagina bianca, giacché nulla esiste davvero se non nel battibaleno inesprimibile che chiamiamo «ora, adesso»; […] siamo esploratori delle possibilità […]; ogni eventualità, vera o fantastica, crea un’apertura nella quale risiede il gheriglio della verità. E così il regno dei morti è un bagno pubblico o uno sgabuzzino che è soltanto uno sgabuzzino vuoto, e tu sei, nell’attimo stesso in cui agisci o non agisci, artefice di tutto ciò che accade ovunque sulla terra e vittima di ciò che ogni altro essere umano lascia che accada o si adopera per fare accadere. Ogni smorfia sul volto di un altro essere umano compie il giro del mondo e lo cambia per sempre, irrimediabilmente. […] Che cosa sei tu, Cesco? Se non esiste un Dio, se non esiste Provvidenza né Caso, tu che cosa sei?
(G.M. Griffi, Ferrovie del Messico, pp. 545-546)
Nell’epilogo di questo frammento risiede, a mio avviso, il senso di tutta la costruzione narrativa di Griffi:
Qualcuno ci ha tirato un brutto scherzo. Forse non sono stati i gerarchi nazisti a ordinare una mappa delle ferrovie del Messico, non è stato il fato; forse si tratta semplicemente del bisogno di qualcuno di raccontare una storia
(Ibid.)
Il potere salvifico di uno degli atti più antichi dell’umanità: raccontare una storia per rendere tollerabile il presente, per rendere auspicabile il futuro.
Il potere salvifico di Ferrovie del Messico.
In copertina: Mappa dei luoghi toccati dal romanzo, illustrazione di Silvia Perosino.
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