Luca Lovecraft Pixar

Luca: quando Lovecraft incontra la Pixar

Ci sono opere tra le quali è facile delineare dei paralleli: molti modelli archetipici tendono a ripetersi, e schemi ricorrenti simboleggiano il perdurare di nozioni ed emozioni cariche di risonanze. Ci sono occasioni in cui è la vicinanza a causare contaminazione: vivere all’interno di un’atmosfera culturale vuol dire esserne permeati, ricevere nella propria quotidianità la trasmissione di storie e codici narrativi, e staccarsi da questi richiede uno sforzo attivo e assai grave. Infine, ci sono i contatti accidentali: poiché l’artista non è mai del tutto avulso dalla società, può capitare che riceva degli stimoli dalle più disparate provenienze. È così comprensibile che un autore possa sentire l’influenza di opere anche alquanto diverse, a lui arrivate tramite il suo retroterra, e incorporare più o meno inconsciamente alcuni dettagli, siano essi elementi della storia o di descrizione, nella sua produzione.

Poi ci sono i casi più bizzarri. Alcuni elementi non dovrebbero stare insieme: per ragioni di concetto, di stile o di sensibilità, dovrebbero respingersi tra di loro. Ci sono cose che ci sembrano intrinsecamente sbagliate, per le quali risulta arduo trovare una ragione unificante, o anche soltanto un punto di contatto. Naturalmente, sono le occasioni in cui delineare un parallelo è più stimolante, ma richiede un impegno maggiore. Spesso l’apparente contrasto è dovuto al fatto che i conoscitori di una materia non sono altrettanto versati nell’altra, e come tale mancano della comprensione di alcuni meccanismi applicabili a entrambe.

Sovente inoltre il punto di contatto riguarda un particolare minore, su cui è anche naturale non soffermare la propria attenzione. Magari si tratta di un personaggio secondario che ricopre il medesimo ruolo in due scenari separati. Qualche volta si tratta di un meccanismo ricorrente in campi molto differenti tra di loro, che difficilmente si accostano. E infine ci sono le volte in cui la sovrapposizione è pressoché perfetta, e l’unica ragione per non vederla è che davvero risulta difficile accostare gli elementi in gioco. Naturalmente, questo è uno di quei casi.

Nel nostro viaggio all’insegna della contaminazione scellerata e dell’accostamento irriverente, lanceremo la nostra rete per pescare due universi narrativi del tutto opposti. Ogni singolo elemento cerca disperatamente di sfuggire, affannandosi nelle opposte direzioni, non sopportando la vicinanza di qualcosa di così diverso da risultargli sbagliato. Pure, tutti i loro sforzi risultano vani, e ai nostri occhi il bottino è uno ed unificato. Se avrete la compiacenza di seguirmi, vi mostrerò cosa succede quando Howard Phillips Lovecraft scrive una sceneggiatura per i Pixar Animation Studios.

Luca Pixar Lovecraft
Poster per un immaginario adattamento animato de La maschera di Innsmouth: rielaborazione grafica di Adam J.B. Lane.

Il paragrafo precedente si è concluso, come avrete facilmente intuito, con una boutade: il Solitario di Providence, padre nobile della letteratura fantastica del Novecento, ha abbandonato questa dimensione dell’Essere il 15 marzo 1937, assai prima che fossero progettati i computer, la Pixar venisse creata come compagnia ed iniziasse a produrre animazione. Non è solo il tempo a frapporsi come un abisso incolmabile tra loro: la loro produzione artistica è radicalmente e irriducibilmente opposta. Lovecraft era scrittore e saggista, autore di racconti e poeta: un autore, dunque, che operava con le parole, con le suggestioni dello scritto, facendo leva sull’immaginazione. La Pixar, in quanto studio di produzione cinematografico, ha come mezzo espressivo l’immagine, la visione, la messa in scena; per di più, opera nel campo dell’animazione, forse la più visiva tra le figlie della Settima Arte.

E fin qui si è trattato unicamente di questioni di carattere formale: se azzardassimo di mettere a confronto il contenuto delle rispettive produzioni, la follia sarebbe l’unico risultato. La Pixar ci ha deliziato di film leggeri e scanzonati, capaci di far ridere e commuovere allo stesso tempo: commedie di stampo urbano, buddy movies dove l’incontro tra due personalità antitetiche le spinge a scoprire ciò che le accomuna, una sottile ed ironica esplorazione delle dinamiche del nostro mondo filtrate dalla raffigurazione di sottomondi, realtà parallele alla nostra, già presenti ma invisibili al nostro sguardo. Dall’altra parte, i racconti di Lovecraft sono permeati dall’orrore e dal sublime, si lanciano nel disperato tentativo di evocare, se non raffigurare, l’invisibile che opera in base a leggi che non sono le nostre e non ci è dato di comprendere; la progressione della storia non porta alla risoluzione ma alla follia, l’informazione segreta sarebbe stato meglio fosse rimasta tale invece di essere svelata.

Tuttavia, esiste un labile punto di contatto tra questi universi. Se così non fosse, io avrei sprecato il mio tempo nel redigere questo articolo e il vostro nel farvelo leggere, e voi avreste tutto il diritto di aspettarmi sotto casa per esprimermi il vostro disappunto con un nodoso randello. È dunque giunta l’ora di immergerci in questo mare di contaminazioni, mentre andiamo alla scoperta di Luca, una delle più recenti produzioni della Casa della Lampada.

Ventiquattresimo film della produzione Pixar, Luca ha debuttato il 18 giugno 2021 sulla piattaforma di streaming Disney+. È stato diretto da Enrico Casarosa, animatore italiano già regista del cortometraggio La luna, nominato al Premio Oscar 2012, e qui al suo esordio in un lungometraggio. Dotato di un impianto visivo raffinato e di un ventaglio cromatico di ampio fascino, si tratta di un cartone debitore di numerose influenze, da Fellini a Miyazaki, passando per l’infanzia dello stesso Casarosa, che è riuscito a fonderle insieme in un tripudio di leggerezza e nostalgia profondamente commovente.

Luca Pixar
Concept art per il film. Quest’immagine promozionale mostra chiaramente l’influsso dello stile di Miyazaki.

Rispetto allo storytelling raffinato e ben ingranato di altri film Pixar, Luca si contraddistingue per una narrazione semplice ed elementare, in cui gli episodi intervengono principalmente per fornire un palco alle emozioni. La storia è presto raccontata: al largo del paese di Portorosso, nella Liguria di cui è nativo Casarosa, esiste una comunità di creature marine antropomorfe, che cercano di tenersi nascoste e sconosciute agli umani della costa. Il nostro protagonista è l’eponimo Luca, un timido ragazzino impiegato come guardiano di triglie, fin quando non conosce l’avventuroso Alberto che lo conduce in superficie. Qui scopriamo come le creature marine, una volta asciugatesi sulla terra ferma, assumono un aspetto umano, per riprendere le loro sembianze a contatto con l’acqua. Luca e Alberto stringono presto amicizia e iniziano a vivere in superficie, recuperando oggetti umani e cercando di conoscere di più il misterioso e seducente mondo degli umani.

Come abbiamo visto, sono molte le influenze che hanno agito su questo film, ma Lovecraft difficilmente sembrerebbe rientrare tra di esse. I colori caldi e luminosi dell’animazione non hanno molte corrispondenze nei racconti del nostro, e generalmente l’incontro con lo sconosciuto è il primo passo per la rovina. Le tinte del Solitario di Providence sono cupe e disperate, all’opposto del senso di ottimismo e gioiosa spensieratezza di Casarosa. Pure, un punto in comune esiste, ed è così lampante da non lasciare possibilità di eluderlo.

Se dovessimo imbarcarci nell’arduo compito di selezionare tra i racconti del Maestro una singola storia da ritenere particolarmente eccellente e riuscita, uno tra i più validi candidati sarebbe il romanzo breve The shadow over Innsmouth, tradotto in italiano come L’ombra su Innsmouth oppure La maschera di Innsmouth. Scritto nel 1931 e pubblicato nel 1936, è l’unica opera che Lovecraft vide durante la sua vita pubblicata in forma autonoma e non su una delle riviste pulp per le quali era solito lavorare. La storia, considerata una delle più riuscite, riunisce descrizioni particolarmente inquietanti con scene d’azione dal ritmo sincopato, e presenta un crescendo di terrore inarrestabile, fino a che tutti gli indizi forniti nel corso della lettura non si ricompongono per formare un mosaico di orrore. Per la sua qualità e i copiosi spunti, La maschera di Innsmouth è una delle parti fondamentali che sono andate in seguito a comporre il corpus dei Miti di Cthulhu, il grande affresco di letteratura fantastica elaborato da Lovecraft e dai suoi epigoni.

aeyeon Kim (Mushtone), The Shadow over Innsmouth, illustrazione basata sul racconto omonimo di H.P. Lovecraft
Taeyeon Kim (Mushtone), The Shadow over Innsmouth, illustrazione basata sul racconto omonimo di H.P. Lovecraft. Pubblicata originariamente su Deviantart, l’illustrazione restituisce l’atmosfera angosciosa e inquietante del racconto di Lovecraft.

La trama ha un andamento semplice, eppure ricco di trovate di ambientazione: l’anonimo protagonista e narratore si ritrova a compiere un viaggio lungo la costa del New England, alla ricerca di curiosità locali e di qualche notizia sulla provenienza della sua famiglia. Si ritrova a fare tappa a Innsmouth, cittadina marinara isolata e decadente, di cui tutti i vicini parlano con orrore e disgusto e i cui abitanti hanno fama di essere schivi, ostili ai forestieri e accomunati da un aspetto fisico alquanto particolare. La curiosità lo spinge ad indagare, fino a quando non scopre l’atroce verità: un secolo prima gli abitanti della città hanno stretto un patto con alcune creature inumane note come Quelli-degli-Abissi, ottenendo ampi rifornimenti di pesce e monili d’oro in cambio della richiesta di accoppiarsi con loro per generare degli ibridi. È la discendenza da queste mostruosità marine a fornire agli abitanti quell’aspetto inquietante e caratteristico, quei tratti di pesce e di rana che prendono il nome di “maschera di Innsmouth”, e che nel loro inevitabile manifestarsi costringono tutti gli abitanti a nascondersi e infine a ritornare agli abissi dai loro progenitori.

È proprio questo nucleo centrale il punto di contatto tra Luca e La maschera di Innsmouth: l’idea di una civiltà di creature marine antropomorfe, con una limitata capacità di calcare la terra ferma, a poca distanza da una costa che ignora la loro esistenza. È tuttavia strabiliante vedere come da un identico concetto si siano potute sviluppare due storie completamente divergenti in ambientazione, tono, stile ed esiti. Le due opere sembrano opporsi in una dicotomia totale e irriducibile: da una parte abbiamo uno sfoggio visivo dove dall’altra abbiamo la sottile suggestione, da un lato ci sono orrore e sgomento e dall’altro gioia e meraviglia, al terrore si contrappone la leggerezza e all’amicizia l’isolamento.

Con un piccolo slancio di ironia, possiamo quasi immaginare il nostro H.P. Lovecraft come il soggettista di Luca, e osservare come il medesimo materiale abbia in sé la possibilità di esplorare stili e generi differenti, e di reinventarsi in maniere inedite e stupefacenti. Ancora una volta dobbiamo riconoscere la validità di quel vecchio detto di Borges: le storie possibili al mondo sono poche, e sono finite molto tempo fa; ma infiniti sono i modi di raccontare, e noi continueremo a narrare fino alla fine dei tempi.

 

In copertina: particolare della locandina del film.


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