Gli anni Cinquanta e Sessanta a Milano sono stati molto vivaci dal punto di vista artistico e culturale. Personalità come Lucio Fontana o Piero Manzoni hanno contribuito a rivoluzionare il modo di concepire e di produrre arte ma non sono stati gli unici anche se sicuramente i più famosi.
Remo Bianco, pseudonimo per Remo Bianchi, nasce a Milano negli anni ’20 e sin dalla giovane età nutre un profondo interesse per l’arte: proprio durante i corsi all’Accademia di Brera inizia una fertile e duratura amicizia con il pittore Filippo de Pisis, grazie al quale ha l’occasione di conoscere Carrà, Savinio, Soffici e Martini.
Dopo un esordio collegato alla pittura figurativa, negli anni Cinquanta si avvicina al movimento spaziale e nucleare: l’amore per la matericità dei tratti lo porta alla creazione di opere sempre più astratte, con segni informi e consistenti, arrivando persino a mescolare tempera e colori con vetro ed elementi plastici, con pennellate spesse e stratificate. In questi stessi anni inizia anche un prezioso sodalizio con Carlo Cardazzo, direttore della Galleria del Cavallino e della Galleria del Naviglio. Negli stessi anni cominciano a svilupparsi altri tipi di opere, chiamati dall’artista 3D proprio per l’aspetto di queste composizioni geometriche realizzate su strati di vetro, plastica e successivamente su legno, plexiglass e metallo sagomati.
A metà degli anni ’50 Bianco si reca a New York, dove ha modo di familiarizzare con l’action painting di Jackson Pollock e il suo dripping, tecnica che porterà con sé oltreoceano e riproporrà su diverse tipologie di opere. È infatti possibile ritrovare questi schizzi di colore armonicamente casuali su svariati Collages, quadri formati da tasselli di carte o stoffe colorate su tela o supporti di altro genere, o ancora sulle longilinee Pagode, sculture che profumano d’oriente, eterogenee e adattabili, a volte monocrome, altre costituite dalla sola struttura in ferro o in neon, altre volte ancora ricoperte dalle famose tessere con colature di colore. Capita di trovare un principio di dripping anche in un altro tipo di produzione, gli Assemblages, consistenti ritagli di carte, imballaggi, stoffe e vestiti uniti in maniera creativa dall’artista.
Come si è detto la produzione di Remo Bianco è varia e polimorfa; per tutta la vita l’artista non smette di sperimentare e riarrangiare la propria tecnica. Tra le opere che hanno avuto maggiore fortuna sicuramente troviamo i Tableaux dorès, una serie numerosa ma anche molto ricca di divertissment, condizione che rende i pezzi uno diverso dall’altro: si tratta di opere impreziosite da riquadri in foglia d’oro, spesso su tele o tavole dipinte di colori accesi. L’utilizzo dell’oro per impreziosire le superfici delle opere di Bianco viene utilizzato anche in un’altra serie degli anni Settanta dal retrogusto pop, le Appropriazioni. In questo caso la base utilizzata può essere una foto, un altro dipinto, una stampa o qualche ritaglio di giornale, su cui l’artista riproduce plasmandolo e amalgamandolo con il contorno la trama dell’inconfondibile Tableaux.
Sempre negli anni Settanta, l’artista si avvicina ancora a un altro tipo di produzione più geometrica e dalle tematiche “infantili” , soprannominata Elementare proprio perché ricorda i primi tentativi dei bambini di scrivere e disegnare entro righe e quadretti. Lettere, frutta, verdura e piccoli animali si trasformano in esercizi di precisione dai contorni spigolosi e spezzati, esposti per la prima volta proprio alla Galleria del Naviglio negli anni Ottanta.
Ma come abbiamo già visto con la breve incursione sulle Pagode, l’artista milanese non limita la sua arte alla pittura su tela o tavola. Per esempio è della fine degli anni Quaranta la serie delle Impronte, un originale archivio memoriale formato da piccoli giocattoli o oggetti plastici di cui l’artista creava il calco. O ancora le Testimonianze, armadi delle meraviglie in miniatura creati con file di sacchetti di plastica riempiti di minuscoli tesori quotidiani. Sempre seguendo questo filone troviamo infine le Sculture di Neve della metà degli anni Settanta, oggetti per cui il tempo si è fermato, chiusi in teche di vetro e ricoperti da una coltre di neve artificiale.
Remo Bianco morirà nella sua amata Milano nel 1988, lasciando il ricordo di un artista esplosivo, creativo e sicuramente avanti con i tempi che non ha mai avuto paura di esporsi e di giocare con la propria arte. Una produzione fresca e giovane che sicuramente meriterebbe di essere conosciuta anche dai non addetti ai lavori, che non farebbero fatica a individuare subito un’opera da esporre a casa propria.
Viene dunque da chiedersi come mai. Come mai Remo Bianco non è conosciuto alla stregua dei suoi colleghi nucleari o spaziali? Amico dei più grandi a costo di venirne oscurato? Purtroppo spesso accade nel mondo dell’arte (nel senso più lato del termine) che i giusti meriti non vengano riconosciuti ai giusti soggetti. A volte il riconoscimento arriva in ritardo, a volte mai. È quindi compito degli spettatori, compito nostro, di ogni amante, appassionato o fanatico d’arte, andare alla ricerca di chi si merita il palcoscenico ed è rimasto troppo tempo dietro le quinte. Che sempre più opere ricoprano le nostre pareti, fisiche o virtuali, in nome di un’arte più inclusiva, varia e universale!
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