Zdzislaw Beksinski

Zdzisław Beksiński, l’arte del macabro

«Bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi, si finisce col pensare come si è vissuto». Così Paul Bourget, noto scrittore francese, sviscera in una singola frase la propria visione del rapporto dell’uomo con l’esistenza.

Un conflitto esasperante tra due realtà: l’io e il mondo, che presuppone quindi due singoli finali, entrambi caratterizzati dalla sottomissione di una delle due all’altra.

L’aforisma, così come è stato riportato a noi, esclude la coesistenza dei due fattori, eradicando la possibilità che il pensiero e la vita possano influenzarsi reciprocamente.

È però questo il caso di Zdzisław Beksiński, artista polacco la cui esistenza si impregna del medesimo tormento che caratterizza la sua stessa visione del mondo e dell’arte.

Beksiński – i primi anni e la fotografia

Zdzislaw Beksinski Corsetto sadico 1

Beksiński nasce a Sanok nel 1929, un borgo nel sud-est di quel paese, la Polonia, che soltanto 10 anni dopo quella data vide l’insorgere della guerra, concretizzatasi con l’occupazione da parte della germania dapprima, e successivamente dell’unione sovietica.

Nel contesto bellico in cui crebbe, Beksiński fu costretto a diplomarsi in un liceo clandestino. Al termine del secondo conflitto mondiale, verso la fine degli anni ’50, l’artista scelse di focalizzare il proprio talento nella fotografia. Scelta che gli aprì le porte verso un mondo oscuro, surreale, seppure in misura minore rispetto ai suoi successivi lavori ad olio.

Nelle immagini di questo periodo traspare infatti un dolore arcaico legato alla corporeità dei suoi soggetti, che vengono distorti, deformati. La privazione dell’identità individuale, che appare come scopo ultimo delle immagini, in Beksiński si traduce in una ricerca spasmodica dell’identità stessa.

Duplici, molteplici: i soggetti dell’artista polacco sembrano osservare la frammentazione del loro essere lungo un percorso di sofferenza e paura che non prevede una fine; così come egli percepiva chi lo circondava.

Molti sui scatti, infine, vertono alla rappresentazione in chiave strettamente decadente di realtà a lui vicine: strade strette, mura legnose, persone solitarie sovrastate dall’architettura circostante.

Nel 1959 si tenne, presso Gliwece, la celebre mostra polacca de L’Antifotografia, nella quale l’artista ebbe la possibilità di esporre quindici suoi lavori. Tra questi, particolare stupore nella critica destò, all’epoca, lo scatto denominato “corsetto sadico”, ritraente la sua stessa moglie, Zofia, di spalle.

L’immagine della donna immobile, stretta nel proprio abito surreale composto da funi, si poneva in contrasto con la visione della fotografia “pura” del tempo, che egli, come argomentò nel suo saggio La crisi della fotografia e le prospettive per il suo superamento, riteneva oramai anacronistica e destinata ad essere soppiantata dall’astrattismo.

Oltre la fotografia – un’esistenza tragica

Beksinski

Nonostante la propria vocazione per la fotografia, la necessità di esprimere se stesso spinse Beksiński a ricercare nuovi canali di comunicazione, approdando dapprima alla scultura e in seguito, a partire dal 1964, alla pittura.

La fase scultorea dell’artista, seppure di breve durata, gettò le basi stilistiche che caratterizzeranno i suoi lavori su tela.

Questa scultura dialogava con lo spazio, lo riempiva e contemporaneamente tendeva ad assorbirlo. Nelle prime opere, realizzate in gesso, predominavano volti grotteschi i cui elementi essenziali venivano moltiplicati, quasi esasperando la loro fisionomia.

Molto più significativa, in quanto strettamente correlata alla prima fase della sua pittura, è stata la produzione scultorea realizzata in ferro e altri metalli. Molti di questi lavori, infatti, ricalcarono delle idee e delle forme che l’artista stava iniziando ad imprimere contemporaneamente nei disegni.

A partire dal ’64, però, lo stile di Beksinski, abbandonatosi ormai alle pennellate e ai colori, si discosta dall’arte avanguardista polacca. Una frattura insanabile che gli procurò l’etichetta di “rinnegato” da parte degli stessi critici che, negli anni addietro, ne tesserono le lodi.

Il primo grande successo espositivo per Beksiński è stata la mostra organizzata a Varsavia dal critico Janusz Bogucki.

Il pubblico accolse con favore la mostra, e l’intero listino delle opere fu venduto.

Dopo molti sforzi, nel 1977 si trasferì con la famiglia a Varsavia, riscuotendo sempre più consenso e affrontando critiche sempre più feroci da parte dei suoi vecchi estimatori.

A discapito del proprio successo lavorativo, la vita personale del pittore in seguito al proprio arrivo a Varsavia fu però scossa da un numero interminabile di lutti.

Dopo aver assistito alla morte di sua madre e di sua suocera -nella sua stessa casa- Beksiński perse la moglie, nel 1998, a causa di una grave malattia. L’anno seguente suo figlio, Tomasz, si tolse tragicamente la vita.

Una serie di eventi raccapriccianti che spinsero alcuni a descrivere la sua famiglia come “maledetta”. Ancora più tragiche, e a tratti grottesche, furono le dinamiche inerenti la sua stessa morte.

Zdzisław Beksiński morì infatti la notte tra il 21 e il 22 febbraio 2005, assassinato nel suo appartamento a Varsavia da un conoscente a cui aveva rifiutato un prestito.

Una fine surreale e lugubre per un uomo che fece di queste due accezioni un vero e proprio stile.

Beksiński – un’arte oscura e visionaria

Zdzisław-Beksiński

Frutto di una mente adombrata da una confusa sensibilità, l’arte di Zdzisław Beksiński si è dimostrata mutevole ma costante nel trasmettere un intenso senso di soffocamento.

Una linea di disperazione e morte lega infatti ogni fase della sua produzione, nonché una necessità insondabile di rappresentare il noumeno dietro il fenomeno della vita.

Il percorso dell’artista, ostinato nell’inseguire i dettami del proprio pensiero, lo porta quindi in un mondo asettico, oscuro e surreale. Un mondo i cui abitanti hanno perso se stessi e la loro individualità. Annichiliti, ma al tempo stesso amalgamati nella realtà in cui esistono, negli oggetti della loro quotidianità, nei palazzi. Intenti a rimarcare un’emotività anacronistica, abbracciandosi, baciandosi, molti soggetti del pittore, straziati nella carne e nella fisionomia, stonano con il luogo e con loro stessi.

Uomini che nella loro fine non trovarono pace, uniti indissolubilmente alle frustrazioni della loro vita, oramai lontana.

Le deformazioni corporee, accennate nella scultura e nella fotografia, si radicalizzano nelle pennellate dei suoi quadri, divenendo ora macabre mutilazioni. La corporeità, nel Beksiński pittore, si fonde completamente con l’anima del soggetto: uno specchio del nulla.

Le ossa, il sangue, per l’artista traslano dal loro significato fisico, mutando nel simbolo di un’umanità decaduta, oramai indistinguibile dalle fiamme stesse dell’inferno in cui giace da tempo; forse da millenni.

I quadri sembrano infatti richiamare un’epoca indefinita nel futuro, nel quale egli, differenziandosi dalle avanguardie del suo tempo, non vede nient’altro che oblio e angoscia.

I colori sono spenti, freddi, a sottolineare ancora di più l’atmosfera tragica delle sue opere.

Beksiński tramite la sua arte ci mostra la desolazione di ciò che non è più umano; e che non potrà più esserlo.

Il lascito – riflessioni

Zdzisław BeksińskiBeksiński, prima della sua morte, ha lasciato in eredità la sua intera produzione artistica al Museo storico di Sanok. Dal 2005, il museo ha inoltre ricevuto gli ultimi lavori dell’artista, che contano 20 dei suoi ultimi dipinti, circa 1.000 fotografie e grafiche, decidendo inoltre di creare un’ala separata nel castello reale di Sanok al fine di creare una galleria.

Attualmente la Galleria contiene quasi 300 opere dell’artista (oltre a dipinti, fotografie e disegni).

Una particolarità nelle opere di Zdzisław Beksiński è la denominazione. L’artista, infatti, preferì non dare un titolo ai suoi dipinti, classificandoli con codici o descrizioni anonime e lasciando quindi l’osservatore libero di interpretarli a sua discrezione.

Nonostante possiedano dei tratti stilistici comuni, le opere dell’artista si differenziano per il differente significato allegorico che possiedono. Tra le varie, degna di nota è l’opera qui sopra.

Il dipinto, senza titolo, ci mostra l’archetipo dell’uomo Beksińskiano. I tratti umani, interamente svaniti, vengono soppiantati dalle ossa sporgenti di una figura grottesca e macabra. Intento a suonare uno strumento a fiato (un clarinetto), il soggetto si mostra totalmente immerso nel proprio compito.

La fisionomia facciale è del tutto assente, ad eccezione della bocca che, seppure deformata, continua a prestare supporto all’esecuzione musicale.

L’intero corpo del musicista, inoltre, sembra piegarsi e fondersi nella moltitudine delle proprie dita, intente anch’esse a suonare lo strumento. Centrale nel dipinto, l’ammasso scheletrico formato dalle innumerevoli dita della figura sostituisce l’espressività facciale nel rappresentare lo sforzo e la sofferenza. In Beksiński l’utilizzo di espedienti visivi legati al macabro non sono infatti per puro estetismo, ma per rivelare un’emotività insondabile, impenetrabile, mai “popolare”, e sempre staticamente in moto.

I colori oscillano tra il marrone e l’ambra accentuando la putrefazione del soggetto, regredito ormai ad una forma ancestrale legata alla terra e alla morte.

L’idea che sembra emergere dal dipinto è quella di un uomo schiacciato dal peso dei propri doveri, forse delle proprie ossessioni, che neanche di fronte alla fine dell’esistenza sembrano lasciarlo andare.

Zdzisław Beksiński

Leggi di più
Elizabeth Von Arnim, La fattoria dei gelsomini
Elizabeth von Arnim, La fattoria dei gelsomini