Conzumostro
Er conzumatore nun è soggett’attivo,
cià bisogni conformati a l’esigenze
mica sue, der sistema produttivo…
Mo nun vojo sta qui a fa morale
e diteme voi, si nun è brutale
che ‘r parcheggio se paga a l’ospedale,
ma è gratis ar centro commerciale?
Incontriamo il poeta Corrado Torri, autore dei primi tre e degli ultimi quattro versi, tratti dalla bellissima poesia Conzumostro. Colpisce la potenza drammatica del messaggio, che ci fa rizzare i peli, per tanta lapalissiana verità, potenziata dal dialetto, scabro e graffiante, che Torri destreggia con padronanza. Una verità che ci schiaccia come scatole di cartone, dopo averci spremuto come un limone. Una verità che ci avvilisce e rimpicciolisce, come il valore dato alla vita, alla salute, alla giustizia.
VERSO OP-PONENTE, presente sulle maggiori piattaforme digitali, è un libro di versi, dove a parlare sono i perdenti, gli eroi mai domi, i sudditi mai liberati. Tante figure simboliche compongono un quadro variegato della società moderna e il dialetto si presta a dare lo spessore storico di una fratellanza invisibile ma perenne con gli uomini e le donne del passato, che Torri ci dimostra che non è mai veramente andato.
Tantissime sono le liriche in cui Corrado tratta il dramma del Consumismo, della caduta di ogni valore morale per l’ossequio all’economia globale. L’utilizzo del romanesco, beffardo e tragico, è il grembo della madre antica, che accoglie e non giudica, soccorre ma non salva, Mamma Roma, sparita e confusa come i romani.
Pregevole la prefazione redatta da Patrizia Gradito, critica e studiosa, ha tracciato un’analisi linguistica, metrica e della struttura dei versi, in cui la competenza non è pedanteria di studiosa, ma è funzionale alla migliore comprensione del testo.
Corrado e sua moglie Sylvia Calandrello li ho conosciuti fisicamente a L’Aquila, ospiti del nostro amico Fabio Iuliano, con gli amici Nicola Viceconti, Patrizia Gradito, Bartolomeo Bellanova, Francesco Di Domenico, Francesco Perossini, Ivana Paoluzzi e il nostro Gabriele Stilli, con i quali abbiamo messo in piedi un progetto: Cantieri del Pensiero Libero, scegliendo la martoriata città de L’Aquila e una biblioteca universitaria come prima uscita pubblica.
Verso Op-ponente è una nutrita silloge di poesie, che mi ha riportato indietro nel tempo della mia infanzia. Ho avuto bisogno di fare ricerca, leggendo dal Belli ai Poeti del Trullo, per avere un’idea della poesia dialettale romanesca nel corso dei secoli. Ho scoperto, fin dalla presentazione dello stesso Torri, di quanto fosse recente la produzione letteraria in vernacolo romanesco. Una produzione del resto fondata sull’ironia e il motteggio amaro, l’amore e la religione, in quanto a Roma fino al 1870 a regnare erano stati i papi. Prima del Belli nessun intellettuale si era interessato alla plebe, solo i pittori utilizzavano i popolani dei borghi, per i loro santi e le loro madonne. La lingua è cresciuta di bocca in bocca, tale è rimasta, vittima di altre lingue più potenti come il latino prima e l’italiano poi, parlato dall’aristocrazia, dalla borghesia.
Corrado s’impadronisce della migliore tradizione letteraria classica nell’impostazione dei versi, seguendo i canoni metrici, riuscendo a mettere insieme il romanesco del Belli con quello di Er Bestia, (poeta del Trullo trovato sulla rete, molto interessante) per esprimere le criticità e le assurdità dei nostri giorni, della nostra storia.
L’incompiuto
Te aggiti, fremi trasudi de rabbia,
la vita ‘n t’aspetta so’ istanti, momenti,
daje, esci fòri è aperta la gabbia,
nun delegà l’artri eppoi te lamenti.
È ‘n battito d’ale ‘no scatto ‘mprovviso,
nun te n’accorgi ma er tempo è contato,
sveja, fa presto nun esse ‘ndeciso,
mejo ‘na meteora de ‘n pianeta assonnato.
Il poeta parla con il verso, che stenta a uscire e che facilmente si disperde nel nulla. In queste parole musicali, tanto da sembrare note, con quegli accenti e quegli apostrofi, che salgono d’intensità in quell’”improvviso” del “battito d’ale“, prima che il grigiore del quotidiano ci riassalga, c’è l’esortazione squillante di quel “sveja“, che rimuove dal torpore e sprona all’azione contro un:
Monno ‘n fame
Pe’ li burocrati è denutrizione,
pe’ artri ‘nsicurezza alimentare,
perché la fame chiamalla cor suo nome
è ‘n tema assai molesto da trattare;
mica lo stimolo che ce viè tre vorte ar giorno,…
Eppure ‘sta malatia è la più curabbile,
de quelle conosciute la più evitabbile,…
A le banche però je lo danno da magnà,
dice pe’ risollevà la globbale economia,…
Com’è possibbile conosce bene ‘sta reartà
e nun provà ‘n risentimento condiviso,
quanto cazzo costa ‘n po’ d’umanita,
deppiù o de meno de ‘na ciotola de riso?
La poesia di Torri è una poesia politica, intensa, cruda, che mette le mani nel fango del nostro tempo, nelle contraddizioni di una giustizia ingiusta, di un’economia sovrana, che schiaccia tutto e tutti. È un tema che ereditiamo dai nostri maestri del recente passato, che avevano predetto questo stato di cose, ma sono stati silenziati in ogni modo senza pietà. Ora a noi restano le macerie, sulle quali ricominciare a costruire, partendo da quella Carta Straccia, piena di sagge verità che dobbiamo pretendere che diventino realtà.
Carta straccia
Vojo parla de ‘na femmina fatata,
mente fresca ne l’aria de montagna,
arta, senzuale e affusolata,
fianchi e piedi, ner mare che la bagna.…
Doppo ‘na vita de millenaria storia,
grazzie ad arcuni fiji prediletti
s’è voluto concilià sciagura e gloria,
drent’ a ‘n fojo co’ 139 articoletti;…
Preggiati scampoli de la resistenza,
più che ‘n abbito fu ‘na liberazzione,
coprente, ma co’ tanta trasparenza,
er nome pronto fu Costituzzione.…
Fatte le doverose premesse a un libro di versi molto interessante, vorrei confrontarmi con Corrado.
Allora amico mio poeta, raccontaci a parole tue da quanto coltivi la tua passione per la poesia e quanto la stessa s’identifichi con la tua vita quotidiana?
Innanzitutto permettimi di ringraziarti per le tue parole, hai detto tutto tu, anzi hai descritto le mie poesie in maniera per me inaspettata e per questo sono molto lusingato. Ho deciso di condividere con gli altri Pensiero la mia passione per lo scrivere recentemente, circa cinque/sei anni fa, ma essa viene da molto lontano, viene dalla necessità e dalla consapevolezza di voler comunicare i miei pensieri e le mie sensazioni; questo è accaduto a scuola prima e al lavoro dopo. Faccio del mio meglio per vivere il quotidiano coerentemente con i miei versi, perché alla fine non siamo ciò che diciamo o che scriviamo, ma siamo i gesti che compiamo e il modo di vivere che adottiamo.
Tu sei ovviamente romano “d’origgine” o da “sette generazioni“, come si dice dalle parti nostre; le tue liriche potremmo definirle degli acquerelli di Roma moderna, con le sue buche, le sue eroine e i suoi magnaccioni, la miriade silenziosa di badanti, di facchini e operai di tutte le nazionalità. Sorelle e fratelli acquisiti da questa città piena di contraddizioni. Racconta ai nostri lettori questa città meravigliosa e terribile, stuprata dal degrado, dal malaffare e dall’incapacità degli amministratori.
Come hai detto tu, sono romano “d’origgine”, ma non da “sette generazioni”; quello è un patentino che oggi a Roma possiedono in pochi. Ma questo a Lei non interessa, Roma nun cià la puzza sotto ar naso, accoglie tutti e continuerà a farlo, per questo è eterna. Il mio legame con Lei è indissolubile, nonostante le sue mille contraddizioni, i suoi difetti, la sua enorme difficoltà a uscire dalla dimensione paese, per entrare in quella di metropoli. Ma poi basta un raggio di sole che accarezza una colonna e accende un sampietrino, per ribadirci che viviamo in un luogo dall’impareggiabile e inarrivabile bellezza – e cosa sarebbe la vita senza bellezza? Per descrivere tutto ciò non posso far altro che usare il romanesco, anche perché è la lingua in cui penso.
Naturalmente ho studiato e continuo a studiare la metrica e la grammatica dei grandi Maestri che hai citato tu, ma il mio romanesco (e questo lo dico in punta di piedi) prende spunto da quello di Elia Marcelli, autore del poema in ottave Li Romani in Russia, opera straordinaria, e a mio modesto parere, il più bel componimento in romanesco che sia mai stato scritto. Nel 2019 è uscito anche il mio primo romanzo, L’ultima spiaggia, edito da Porto Seguro; il racconto è ambientato in Sardegna ed è naturalmente in italiano, ma uno dei personaggi principali è un diciottenne di Roma, che parla in dialetto e dona alla trama, piuttosto seria, alcuni momenti di leggerezza e simpatia. Come vedi, me score proprio ne le vene.
Caro Corrado che ne pensi di quest’emergenza sanitaria, questa epidemia globale? Le città deserte e il futuro incerto dell’economia, come credi che lo elaborerà il Conzumostro, che senza pietà ha sventrato il pianeta e corrotto acqua, aria e libertà?
Questa epidemia mi ha spaventato molto e continua a farlo per tutti i suoi aspetti più nefasti. Per quanto riguarda il “conzumostro” credo che si stia riallacciando gli scarpini, pronto per scendere in campo più aggressivo che mai; ora che deve anche recuperare terreno, la sua spietatezza avrà ancora meno remore. D’altra parte il capitalismo non è una forma di società che può essere controllata o mitigata; l’unica salvezza sarebbe soverchiarlo, ma non mi pare ci siano i presupposti…
La tua raccolta di poesie Verso Op-ponente mi sembra in perfetto accordo con il progetto dei Cantieri del Pensiero Libero, soprattutto in questo momento storico, nel quale ci stiamo staccando definitivamente dal Novecento, per questo Duemila ancora tutto da costruire.
Riusciremo a realizzare quanto di buono si era iniziato nel secolo scorso, di cui noi siamo testimoni convinti, la sostenibilità ambientale, la giustizia sociale?.
Sono un pessimista di natura: il mio pessimismo, riguardo a noi esseri umani, viene sempre corroborato dalla realtà. Per cui no, non credo che riusciremo a realizzare nulla di buono. Come non credo che usciremo migliorati da questa pandemia. Il linciaggio mediatico che ha subìto Silvia Romano lo dimostra.
Ti chiedo, per salutare i lettori del nostro blog, una tua considerazione in versi su questo periodo di emergenza virale, che ha chiuso a casa tutti, lasciando alla Natura un momento di pace, per respirare.
Posso solo dirti che in questo periodo, il respiro della natura non è stata una mia priorità, ma la mancanza di respiro delle decine di migliaia di persone decedute, sole, senza il conforto di una persona cara vicino, è una sensazione che porterò sempre addosso a me. L’immagine di quei camion pieni di bare è di una potenza devastante: niente mi aveva così colpito finora. Proprio per questo, nel ringraziarti ancora e salutando tutti i lettori del blog, ti lascio con la poesia che ho scritto pochi giorni fa su questa nostra sconvolgente emergenza sanitaria.
Senza più memoria
Fa conto che te sveji ‘na matina
t’accorgi d’esse senza più memoria,
come ‘r sole, all’arba co’ la brina,
s’è sciorto er legame co’ la storia.Questo sta a succede a ‘sto paese
che sta a perde chi l’ha ricostruito,
er più bello de tutti senz’offese,
se scopre orfano, infreddolito;ogn’anziano è ‘na coperta calla,
un libro pieno zeppo d’esperienza,
un monolite fiero che trabballa,
spalla ‘ndo poi piagne a l’occorenza.Tra guera, fame e artre miserie,
protagonisti de la resistenza,
sudore pe’ rimove le macerie,
sconfitti da ‘na zozza pestilenza.Soli, manco ‘r conforto de ‘n saluto,
dieci, cento, mille, diecimila,
ner silenzio più lungo de ‘n minuto,
coi camion dei sordati messi ‘n fila.La luna pe’ rispetto n’era piena
ne la foto de quella triste sera,
fece capolino a malapena,
‘na virgoletta su ‘na tela nera.