Gratosoglio è un quartiere di Milano immerso nel verde, vicino a Piazzale Abbiategrasso: anticamente era un piccolo borgo popolato dalle rane, ma la memoria delle origini si è dissolta dal tessuto cittadino e a riportarcela alla mente è Francesca durante la nostra intervista. Francesca Minelli ha ideato e coordinato con altre persone il progetto “Ri – Abitare”, un progetto di riqualificazione urbana atto a far rinascere alcuni punti caduti in disuso e abbandono del quartiere, con particolare attenzione alla doppia natura del luogo (di ogni luogo): quella fisica, spaziale, e quella umana, relazionale.
Nato nel maggio del 2018, dalla partecipazione del suo gruppo di teatro in collaborazione con l’associazione Fare Assieme, al “Bando alle Periferie”, indetto dal Comune di Milano, il progetto è stato poi affidato nel suo sviluppo creativo e nella realizzazione materiale a quattro ragazze che si sono spontaneamente candidate per mettersi all’opera: Martina Spinelli, Claudia Sinosich, Eleonora Salvato e Clara Marchesi.
Le ragazze, durante un percorso durato qualche mese, hanno dapprima svolto piccole indagini sul territorio confrontandosi con le persone riguardo alle loro personali modalità di utilizzo e di percezione degli spazi, vagliandone le aspettative; quindi traendo linfa dal riscontro, hanno ideato tre tipi di intervento su quattro aree differenti. Uno temporaneo, uno semipermanente e un ultimo permanente, metodologie differenti indirizzate a uno scopo comune: «gli spazi erano accomunati dal fatto che erano senza nome e sottoutilizzati, abbandonati. Il lavoro da fare era quindi quello di rigenerarli, ridare loro un nome, rimetterli al mondo», spiega Francesca. Un nome che sono riuscite a restituire: quella che hanno ribattezzato causticamente “La Piazza senza Nome”, sotto una delle torri iconiche di Gratosoglio, è diventata la “Piazza delle Vele”, grazie alla performance di teatro – danza diretta il giorno dell’evento di inaugurazione da Ernald Matoshi, cui ha fatto seguito la sera lo spettacolo di Ilenia Raimo su Charles Mingus.
L’evento ha aperto infatti alla vista dei cittadini (che hanno fruito liberamente la performance) un’installazione riproducente – grazie a dei vecchi teli per dipingere, a fili e griglie adattati all’area e a bottiglie di plastica, in nome di una cultura del riutilizzo e della rigenerazione dei materiali e dell’ambiente – un mare e delle onde: «abbiamo montato delle vele che hanno reinterpretato lo spazio di quella piazza, il concetto di quella desolazione che abbiamo trovato, e l’hanno trasformato in un mare, in un oceano con delle onde, con una barca immaginaria che levava delle vele».
Mentre un angolo di risulta vicino a una rotonda, dentro un boschetto, è diventato oggetto del secondo intervento, ed empiendosi di luce si è trasformato in quello che è stato ribattezzato “il Boschetto dei Riflessi”: inaugurata dallo speech filosofico sulla relazione tra spazio urbano e bellezza di Tlon, un’installazione di vecchi CD recuperati, ridipinti da un lato e appesi in modo da creare un effetto di luce continua che assecondasse i movimenti del sole e del vento, ha ridato vita inaspettata alla piccola radura.
Abbiamo voluto ricreare un po’ un angolo di meraviglia, un angolo dove uno al posto che andare a sedere a fare la solita sosta sulla panchina guardando la strada, forse per una volta si può sedere e guardare verso l’alto, quindi tornare a sognare, a immaginare.
E infine due piazzole sono divenute “L’Iride” e “Lo Stagno”, grazie a un intervento cromatico per mezzo di vernice sulla pavimentazione. Uno Stagno con raffigurazioni di animaletti e ninfee per ricordare le origini di Gratosoglio, ma anche a simboleggiare la metamorfosi, la trasformazione; la scintilla di resilienza in grado di farne da piccola radura tra i palazzi crocevia di vita e movimento, come quello dei bambini a cui le ragazze hanno pensato progettando l’intervento. Un’operazione organica e vitale che ha prodotto una sintonia tra le parti.
Gian Paolo Torricelli nel suo saggio Potere e Spazio pubblico ripercorre la storia delle relazioni che intercorrono tra uno spazio e i suoi abitanti, nella dimensione della sua pubblicità (nell’accezione originaria del termine, pilastro della riflessione del filosofo Habermas sui rapporti di potere) e ci mostra con sguardo trasversale e frattalico – a mo’ di monade leibniziana – la trasformazione dei quartieri passando da Milano, a Los Angeles, a Buenos Aires.
E ci parla a un certo punto, prendendo a prestito la voce di Michel Foucault, di un potenziale nascosto nello spazio pubblico, di una dimensione relazionale altra rispetto a quella dei luoghi di aggregazione formali, comunque importanti nel tessuto di una città, definiti come regioni “aperte” (piazze, cinema, alberghi etc.) e “di passaggio” (treni, stazioni, aerei etc.). Questo potenziale consiste in una rappresentazione che non è ultimatamente definita dalle istituzioni della città con i loro codici di comportamento formali, bensì è generata da eterotopie, da spazi altri.
Per Torricelli lo spazio altro è esemplificato da quella che lui chiama “cultura della strada”: «lo spazio pubblico relazionale, quello per intenderci della cultura della strada, è invece uno spazio altro, a volte nascosto, non visibile poiché non disegnato, non solido ma frammentato e cangiante a dipendenza dalle relazioni che lo creano», ed è ente fisico e concreto, disegnato e limitato dalla territorialità, quanto simultaneo spazio ideale.
Sua caratteristica fondamentale è per Foucault quanto per Torricelli la capacità di far germogliare un tessuto sociale differente da quello codificato dalle architetture e leggi formali di una città, alcune volte in grado di creare una vera e propria opposizione al potere in auge, altre di formare una non più blanda rete di solidarietà sociale che va costituendosi come microcosmo a sé stante e che funge da principio rappresentativo e identitario.
E questo humus, di cui ci parla anche Francesca quando esprime la volontà sua e delle altre ragazze di far tornare questi luoghi felici, nella radice etimologica di felix come fertile e perciò gioioso, lo offrono soprattutto le periferie: «anche per Milano, come in molte grandi città Latinoamericane, è forse possibile parlare di eterotopia, spazio pubblico altro, confinato fisicamente alla periferia della città, sulle aree dismesse ancora non oggetto o in attesa di trasformazione. È uno spazio generalmente nascosto nelle rappresentazioni dominanti, che si crea a seguito dell’esclusione di parte della popolazione dalla città formale» dice Torricelli nel suo saggio.
E lo dicono tutte le persone del quartiere che hanno aiutato in un modo o nell’altro a portare a compimento “Ri – Abitare”: da chi è sceso a offrire cibo e aiuto impugnando scope e rulli, a chi ha applaudito dal bancone, a chi infine si è candidato per aiutare a terminare un anello dello Stagno pagando la vernice mancante. Francesca ha commentato così questo segno vivo da parte degli abitanti del quartiere:
Nel momento in cui la cittadinanza, attraverso una maniera diretta o indiretta, acquisisce la possibilità di fruire e di costruire lo spazio, diventa automaticamente anche un po’ più custode di quegli spazi, se ne sente più responsabile, se ne sente più coinvolta… avendo un nuovo punto di vista su come può essere rivissuto e reinterpretato un determinato spazio tutto cambia, cambia anche la percezione dello spazio stesso.
Nell’esempio di Gratosoglio abbiamo così trovato una piccola ma rilucente eterotopia, che è emersa persino da quella tag che è stata lasciata su un punto della piazzola a mo’ di demarcazione: “se non vi piace ci scusiamo, siamo artisti incompresi” e che le ragazze hanno deciso di lasciare in quanto segno – seppur goffo- di una voce, di una richiesta di partecipazione, di un appello. Voce che non è rimasta inascoltata, ma risuona tra le riflessioni di luce del boschetto e tra le ninfee delle piazzole.
Guarda anche le puntate di Muri corpo vivo, con le interviste a Ivan Tresoldi e a Gattonero
Autrice: Valentina Nicole Savino
Regia e riprese: Davide Cipolat
Interviste: Valentina Nicole Savino
Montaggio: Agnes Aquilecchia
Grafiche: Claudia Antini