Pablo Picasso Il sogno

La poesia è donna

Il mio corpo non è limite sufficiente

Analizzo i delitti commessi con la parola
e la paura si affretta
accade
che ignoro il senso vero delle cose
anche se la parola rimane
quando mi separo da essa
sono vicina alle mie viscere
comincio a confondere i limiti
e le definizioni si perdono
come una candela in una mattina d’estate

Nel mese in cui ricorre la Giornata Internazionale delle Donne, mi sembra giusto ripartire dal nostro corpo, come recitano i versi di Beatrix Bracco, e da lì entrare nel vivo della poesia. Non volevo scrivere il solito articolo su un’autrice o un autore in particolare, ma volevo dare risalto alla potenza della parola poetica nel messaggio femminista. Un messaggio che è stato molte volte strumentalizzato e violentato con il preciso scopo di renderlo ridicolo per annientarlo.

In questi ultimi trent’anni si è perpetrato un attacco sistematico alle grandi leggi 898/1970, che disciplina il divorzio, e la 194/1978 che legalizza l’aborto. Leggi volute dalle donne per le donne, ottenute dopo dolorosissime lotte, che oggi sono messe in grave pericolo dall’ormai tristemente noto Decreto Pillon e dal florilegio di Associazioni Pro-Vita o simili, che riportano indietro le lancette dell’orologio sociale a vantaggio solo degli uomini.

Per questo è importante ricordare un passato recente di lotte e di sorellanza, che ha trovato la letteratura e la poesia in prima fila nei cortei, scritta sui muri cantata e recitata. Sono andata a riprendere un vecchissimo libro del 1978, talmente vecchio che la colla si è andata a far benedire e i fogli si fatica a tenerli insieme, sottili come le ali colorate delle farfalle.

Pablo Picasso, Ragazza che legge al tavolo, 1934
Pablo Picasso, Ragazza che legge al tavolo, 1934

Il titolo è semplice e chiaro: Poesia femminista Italiana, edito da Savelli Editore, un’antologia curata da Laura Di Nola, dove sono raccolte liriche di autrici, alcune conosciutissime e altre un po’ meno. Un’antologia dove le donne raccontano in poesia la condizione femminile così intrisa di violenze, di vergogne, di tabù, di lotte per la valorizzazione e la conoscenza del proprio corpo, di rabbia e di volontà di contare come persone e non come nutrici e uteri da riempire.

Scruto il mio sesso

scruto il mio sesso il corpo di bambino
che mi trascino il ginocchio che pesa
la testa i riccioli di un topino
colore
il mio seno di femmina
d’animale cresciuto per forza
i capezzoli ciechi e rugosi
la mia faccia di neonato
di vecchio infante messo a morte.

Questa bellissima lirica di Silvia Batisti, tratta dalla raccolta Ballate del Corpo (1976/77) è un esempio di come la poesia Femminista abbia squarciato il velo delle finzioni borghesi, con l’utilizzo di parole anche pesanti e all’epoca sottaciute, quali le mestruazioni, l’utero, la vagina stessa.

La poesia che segue è davvero particolare, scritta da Ippolita Avalli, classe 1949, nel maggio del 1977, un mese che ha visto la morte di Giorgiana Masi e l’esplosione di una rivolta che fu soffocata nel sangue delle piazze, nel terrorismo costruito ad arte e nella droga che ha chiuso menti e occhi pensanti.

Amore Perché pisciarmi?

amore, perché pisciarmi
sotto
quando ti vedo?
(anche questa primavera i melograni sono in fiore tra i sit-in delle fabbriche lunari)
sbarellare tra
ombrelli di neve
lontano
lontano!
oh fosse ancora possibile!
l’estensione violenta dell’infanzia

Pablo Picasso, Donna che piange

Ancor più struggenti sono i versi di Biancamaria Frabotta, classe 1947, impegnata poetessa, autrice di libri di poesie, saggi, molti dei quali proprio sulla condizione delle Donne, che ha insegnato Letteratura Italiana alla Sapienza.

Per Elide

Ammaina i crespi capelli che sbandieravi rettamente
quasi che la sconfitta fosse una vittoria
ansiosa di intimidire lo scirocco che dalle
bocche di Bonifacio veniva a dar senso al tuo passo.
Se pure eri zitella, zia delle tue altere masturbazioni
e di tue belle nipoti
ti maritasti infine nel tuffo che ti gonfiò le vesti
al selciato scrupoloso della strada.
Nelle chiese hanno pregato rituali di pioggia
ed ora piove un diluvio di gocciole
che ci invade senza traccia di santità.

La poesia ci restituisce l’immagine di una donna costretta a piegare la testa davanti ai valori imposti dalla società patriarcale, al matrimonio riparatore, inchiodata da ruoli prestabiliti, che proprio in quegli anni erano messi in discussione e oggetto di battaglie anche feroci e dolorose. Lotte che hanno visto le figlie ribellarsi non tanto ai padri, quanto alle madri.

Madre e figlia

Mi chiami madre cattiva,
ma sei una figlia violenta
e vuoi sedurmi
con tetra determinazione
vuoi mettermi il sale sulla coda
vuoi strapparmi ad una ad una le ciglia
vuoi inchiodarmi le dita al petto
vuoi tagliarmi la lingua
il tuo dito scava nel mio occhio
che non sa guardarti con amore
come tu vorresti
mi cacci un piede nel ventre
le tue unghie di lupo mi fanno a pezzi
per amore tu dici
per amore di una madre
che vuole essere figlia
io ho bisogno di tenerezza
tu hai bisogno di carezza sapienti e amorose
io ho bisogno di amicizia
tu hai bisogno di afferrarmi alla gola
e stringermi con amore tu dici con «vero amore»
intanto per ora ci guardiamo con odio.

Pblo Picasso, donna con libro
Pablo Picasso, donna con libro, 1932

Questa bellissima poesia di Dacia Maraini, classe 1936, traccia in maniera chiarissima quella che è stata la grande battaglia che dentro ogni casa le figlie hanno dovuto combattere con le loro madri, attaccate alla gogna della storia. Questa lirica, che risale agli anni Settanta, sembra parlare di storie ormai superate, così ci piacerebbe credere a noi che abbiamo avuto queste madri con le quali ci siamo guardate con odio.

Eppure è recente la notizia di una famiglia siciliana che, scoperta la tendenza omosessuale della figlia quindicenne, non ha avuto esitazione a prelevarla da scuola e a segregarla in casa per otto anni, picchiandola e, cosa che fa davvero inorridire, con il tacito consenso della madre, a essere stuprata dal padre, con l’ipotetica e barbara idea di dare alla giovane il giusto orientamento sessuale. Abbiamo saputo di quest’orrore, quando la giovane ormai ventitreenne ha trovato la forza di fuggire e di denunciare gli ignobili genitori.

Ricordatevi della piccola fanciulla

Ricordatevi della piccola fanciulla dagli occhi
di giada
che in una notte di primavera
cadde come fosse in autunno
strappata da un vento di virilità
la fanciulla dagli occhi di giada
cadde nella nera realtà
ed accettò la normalità
pur di dimenticare i sogni
ricordatevi della fanciulla dagli
occhi di giada
cresciuta in un’estate di
morte
e morta ormai senza luna
ricordatevene per la vostra vendetta.

La tragica poesia di Sabina Morandi, classe 1961, piena di parole aspre e dolorose, che riportano alla mente le immagini delle bambine uccise e abusate in ogni parte del mondo; ultima quella della piccola di undici anni, violentata dal nonno in Argentina, sottoposta a parto cesareo a 24 settimane di gestazione, dopo che la piccola aveva tentato due volte il suicidio.

Giornata inconclusa

Giornata inconclusa
e di nuovo notte mastini cuccioli
cuculi gufi prenderei la luna a sassate
il fico la collina l’eucaliptus
il cuore s’è inceppato nelle aule
nei tribunali nei decreti
dentro i treni in fondo ai porti
è un cuore di plastica di cartone
di braccianti di emigranti
cuore di pezza della bambola di pezza
consegnata al netturbino appena giorno
la bambina è uscita vecchia
dal seno vecchio della madre.

Poesia femminista italianaQuesti versi sono di Rosa Maria Fusco, classe 1953, sono tratti da I corpi e le parole (1975/1977) e servono a introdurre un altro tema che ultimamente è tornato a preoccuparci: le sentenze dei tribunali, prima fra tutte la Tempesta Emotiva, per giustificare la barbarie di molti maschi, che non riesco a chiamare Uomini, perché offendo i tanti compagni, fratelli e amici, che ormai da anni si affiancano nelle nostre lotte condividendole.

Ancora un giorno

Ancora un giorno
nel giro di lamelle
al vuoto del tuo vento
inzaccherante salsedine
di cuore e apostasia
canta il gallo
l’ora della rinnegazione
il rimorso spinge a mari morti
dove l’albero di fico
non mette foglie
per giuncate fresche.

Questa lirica è di Jolanda Insana (1937/2016 ) un’autrice siciliana, che dal 1968 si trasferì a Roma, recentemente scomparsa, la quale ci ha lasciato una ricchissima produzione poetica e non solo. L’ho scelta per quel verso “l’ora della rinnegazione” che tanto s’addice a quelle tre giudici donne, che hanno dimezzato la pena ai violentatori di una ragazza, con l’assurda motivazione che la stessa fosse troppo brutta e mascolina.

Cos’altro è se non rinnegazione del proprio IO femminile, lo sminuire la violenza subita da una donna solo perché brutta o troppo mascolina?

Ora se neppure un giudice del tuo stesso sesso ti difende, potremmo dire che tutto è perduto.

No, siamo alle solite, le donne non si amano e non si rispettano, non si difendono, prone a un servilismo secolare che le vuole nemiche. Questa logica che noi ragazze degli anni Sessanta/Settanta/Ottanta, credevamo di aver annientato è invece tornata prepotentemente in auge tra le nostre figlie e nipoti, che non conoscono cosa vuol dire la Sorellanza.

Chiudo questa mia chiacchierata sulla condizione delle donne con due liriche della compianta Amelia Rosselli (1930/1996) poetessa, musicologa, studiosa a tutto campo, morta suicida dopo una grave depressione, malattia che spesso uccide le grandi menti. Sono due poesie tratte dal libro Variazioni Belliche del 1969, presenti in questa antologia insieme ad altre, le ho scelte entrambe perché, a parte la bellezza della profondità poetica, sono brevi ma ricche di quella forza misteriosa che solo una grande poeta poteva scrivere.

E chi

E chi mi può garantire tu non sei uno di quelli
che muoiono sulla zappa invece – chi mi può
avvertire della tua ragnatela. Tardi ho
chiamato le mosche a riparo.
L’Alba

L’alba si presentò sbracciata e impudica; io
la cinsi di alloro da poeta: ella si risvegliò
lattante, latitante.
L’amore era un gioco instabile; un gioco di
fonosillabe.

 


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