Marko Miladinović: le acrobazie di un poeta paradossale

Marko Miladinovic

Ricorda, la ricchezza è differenza, selezione, diversità. Una divinità composta da un dio soltanto è sinonimo di molta povertà, miserie e atrocità (forse che la morte sia un’invenzione delle religioni monoteiste?). Abita i tuoi pensieri ma arieggia, le idee lasciale a quelli sopra. Stringi amicizie e alleanze. Sii ospitale e non compiacerti se prima non dai piacere. Sii solitario e di buona compagnia. Se di quando in quando ti senti rigido sii forte e spezzati. Trova le tue domande. Fa di te uno scopo. Registra e trascrivi i sogni già sognati. Ricorda che tutti i vivi devono vivere e ciascuno lotta per la sua propria vita (che altro fuor da questo non esiste). […] Niente dura quanto credi, neppure ciò che credi duraturo. Ma ancora tu credi? Neppure sii modesto e non seguire nessuna moda né tendenza – noi siamo gli antichi e viviamo nell’infanzia!

(Marko Miladinović, L’umanità gentile, Dottorina della gentilezza, Torino. Miraggi, 2016 p. 42)

Marko Miladinović, poeta, performer, uno dei più interessanti in Italia, cantante, più in generale artista. Paradossale e antinomico. Poco gentile con i fanatici, gentilissimo con tutti gli altri. Gentile. «Ciò che è diviso in genti», letteralmente. Dunque, umano. Pagano, quasi, visto che i primi detti «gentili» furono quegli antichi romani adoratori di idoli. Siamo gli antichi e viviamo nell’infanzia.

Siamo gli antichi. Il richiamo agli antichi può forse stupire in un poeta performativo, sperimentatore: e infatti l’antico è unito, come già aveva detto Leopardi, alla freschezza: gli antichi sono venuti prima di noi. Perciò il mondo, al loro tempo, era più giovane. È chi vive oggi a essere vecchio, abitante di un mondo canuto. «Noi siamo gli antichi», dunque, ribalta di nuovo la questione: all’interno di questo vecchio mondo, dunque, c’è ancora qualcuno che può dirsi giovane. Anzi, bambino. Tramonta Leopardi, e sorge Nietzsche.

Il verso di Miladinović ha come unità di misura il gioco fonico-concettuale della parola, nel gioco cerebrale di una vocale, una consonante che ritorna. Si sente una grande arguzia, anche se l’oggetto della poesia sfugge.

Ilare soffio del morbido tempo
a sua volta persuade respirare in lui
l’aria terrestre a taluni tolta
quando fu tentato il respiro
la ferita precedette il colpo

(L’umanità gentile, p. 18)

Sospesa, senza punto; brevissima evanescente non finita. Il verso è costruito perfettamente, e ci convince, ci porta con sé; il terzo verso è un sobbalzo lieve, come lo scartamento di un treno, e l’adynaton finale ci sorprende. Difficile razionalizzarla: chi sono questi «taluni»? I morti, verrebbe da pensare. Ma allora perché quando fu tentato il respiro la ferita ha preceduto il colpo? Quale colpo?

Scorrono davanti ai nostri occhi continue acrobazie di parole che non trovano mai uno scioglimento, una pace. Tutto rimane in sospeso. Addirittura le frasi, i versi, sono sospesi. «Trova le tue domande», scrive. E nel ballo di filastrocche, poesie sociali, non rari sprazzi verso – contro il religioso, si aprono varie domande – senza risposta. Miladinović mima il coito interrotto della vita, la sua frammentarietà, l’impossibilità di trovare un senso razionale.

Il rischio dell’afasia è alto, e si corre sempre sul fil di lama. Si sbilancia, a volte scrive poesie minime, poesie che stanno insieme solo per il loro valore fonico (chi va con lo slammer impara a zoppicare, verrebbe da dire), ma a volte, dopo la seconda lettura, il senso emerge, anche se contraddittorio, difficile da gestire. È il caso di Terzetto:

L'umanità gentile

“Io sono l’opera della natura!”
infuria l’ateo verso il pio
“E noi tutti siamo opera d’Iddio!”
risponde il pio all’ateo
e giacché tutt’oggi il libero arbitrio
toglie la bocca a Iddio e ciò
mette a dura prova il pio
a chi rimane tocca tacitare
l’ateo e indurire la prova
– Non lavoro su commissione…
ma peggio d’Iddio
che le orecchie ha levato
intende il pio e l’ateo
la natura rispondere
– Nell’eterno mio esercizio
un errore si chiama opera
due si chiama vizio

(L’umanità gentile, Il terzetto, p.51)

Il dialogo dell’ateo e del religioso, si infrange, prima ancora che nell’intromissione della natura, con il libero arbitrio, che toglie «la bocca» (in una prima versione, la parola) a Iddio, che lo priva (o che si priva volontariamente) della possibilità di intervento e gestione degli affari umani, mettendo a dura prova l’esistenza del religioso, che crede nell’esistenza di Dio, ma non può dimostrarla. A questo punto si affaccia la natura, ma la sua risposta è sibillina. Un errore, il pio, si chiama opera. Due (l’ateo) si chiama vizio. Ma è stata la natura a crearli, allora? Se fosse così, allora l’ateo avrebbe ragione e non sarebbe un errore. Ma se così non fosse, perché la natura dice «nell’eterno mio esercizio»?. Ecco ancora il paradosso, caro a Miladinović.

E questo continuo muoversi tra opposti, cercare di incarnarli, come fa nella Dottorina della gentilezza, qui sopra citata, è tutta la poesia del nostro autore. Una poesia che nasce da una voglia, un’imposizione di scrivere, e subito viene tradita, subito muore, come quando scrive:

Una penna che scrive
cerco picchiettarla e volta
come frusta mossa contro
quanto appreso e non sarà
alla forza rincorsa tra le dita
una linea sul foglio appaia
calco, calco e mi rassegno
terminare l’inchiostro

(L’umanità gentile, Non scritto, p. 34)

 

In copertina: Marko Miladinović, fotografia di Mara Venco (post-prodizione nostra)


Marko Miladinović (Vukovar, 1988) vive e lavora a Chiasso. Canta per Fedora Saura, Organizza e conduce il Ticino Poetry Slam. Fa mostre e performance. Il suo ultimo libro è L’umanità gentile

Gabriele Stilli
Gabriele Stilli

In tenera età sono stato stregato da quelle cose che si scrivono andando a capo spesso, e gli effetti si vedono ancora. Mi sono rassegnato, da diversi anni, a includere l’arte tra le discipline umanistiche e non nel rigoroso ambito delle scienze. Nutro ancora qualche dubbio, però.

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