Paul Cezanne, Le grandi Bagnanti, 1905

Paul Cézanne: la geometria del reale

Paul Cézanne nasce a Aix-en-Provence, città a nord di Marsiglia, il 19 gennaio del 1839. Questi sono gli anni in cui nasce, più o meno, tutta la generazione degli impressionisti, tra cui ricordiamo Manet, Degas, Renoir, Pissarro. I biografi collocano l’origine della famiglia Cézanne nel piccolo borgo di Cesana, paese che sorge sul versante italiano del Monginevro, sopra Sestriere. Il padre di Paul, Louis-Auguste, estraneo a Aix-en-Provence, prima proprietario di una fabbrica di cappelli, diviene poi banchiere nel 1847. La passione per la pittura in Cézanne cresce sempre più intensa sin dagli anni Cinquanta, sin da quando comincia a frequentare i corsi di disegno del professor Gibert, presso la Scuola d’arte di Aix. I suoi lavori sono, in quegli anni, accademici; nessun indizio traspare ancora di quelle anomalie e esitazioni che lo renderanno uno dei più sensibili e acuti interpreti della natura del secondo Ottocento.

Ormai ventenne, in un primo momento, seguendo il volere paterno, si iscrive alla facoltà di Legge. Grande amico di Émile Zola, progetta di seguirlo, al principio degli anni Sessanta, a Parigi. Si manifesta già in questi anni quella «ostinazione nel lavoro e ombrosità, determinazione e contraddittorietà di umori» che condizioneranno, sino a tracciarne, con forti chiaroscuri, i momenti cruciali della sua vicenda artistica.

A Parigi, all’Académie Suisse, incontra Guillaumin e Pissarro; al Louvre ammira (e studia) dai più antichi Veronese, Caravaggio, Rembrandt, Rubens sino ai più recenti e contemporanei Delacroix e Courbet. Abbagliato e stordito dal fervente ambiente parigino ritorna ad Aix, dove inizia a lavorare all’interno della banca paterna. Questo periodo non durerà a lungo, sarà piuttosto una parentesi, una pausa avvilente, del suo percorso: ritornato a Parigi ricomincia a dipingere intensamente, stavolta abbandonando completamente i dettami accademici, stravolti e annullati da una emozionalità insolita, sebbene ancora incerta e confusa, poco definita.

Paul Cezanne, Autoritratto con la bombetta, 1885 circa
Paul Cezanne, Autoritratto con la bombetta, 1885 circa

Nel 1874 partecipa alla prima mostra impressionista, dopo essere stato folgorato, diversi anni prima, dal Déjeuner sur l’herbe di Manet di cui aveva apprezzato la naturale fragranza e vivezza del colore. Nascerà però, solo negli anni successivi, in Cézanne il bisogno, sorto da un problema riconosciuto poi particolarmente contingente negli impressionisti – qui il giudizio della critica d’arte successiva – di superare il provvisorio. Se infatti l’impressionista usa la luce solo come un brillante respiro che guizza e avvolge ogni oggetto, in Cézanne questa viene assorbita dagli oggetti, diviene essa stessa forma insieme al colore.

Il pittore scava la realtà, ne ricerca l’essenza, ne indaga le forme, cerca di mantenere unita, solida, una realtà, costituita dai valori ottocenteschi, che stava andando in frantumi. Con quest’atto guarda al futuro, in profondità e in complessità. Cézanne, così come Van Gogh, riconosce la posizione dell’artista come quella di un emarginato, un individuo opposto alla società in cui vive: il secondo si lascia vincere dall’emozione, il primo comprime il sentimento, lo isola nella solidità della forma, pur non soffocandolo del tutto. Entrambi sono oggetto di studio di Picasso, rappresentando per il pittore spagnolo i due volti tormentati di un’epoca di grandi cambiamenti.

Lo stile di Cézanne, acutamente descritto da Jacques Rivière già pochi anni dopo la morte del pittore (1906), richiama sia la classicità, una classicità che negli anni in cui opera il pittore sta affrontando moltissime crisi e l’arte giapponese (di rimando Cézanne influenza l’arte del sol Levante ancora oggi): il tratto che segna la linea, il colore, vuole scattare, ma Cézanne imbriglia l’impulso sino a cattivare lo sbalzo fremente del sentimento. Cèzanne vuole scolpire l’eterno:

Tutto quello che vediamo, non è vero, si dilegua. La natura è sempre la stessa, ma nulla resta di essa, di ciò che appare. La nostra arte deve dare il brivido della sua durata, deve farcela gustare eterna. Che cosa c’è dietro il fenomeno naturale? Forse niente; forse tutto. Dunque io intreccio queste mie mani erranti. Prendo a destra, a sinistra, qui e là, dappertutto, i suoi colori, le sue sfumature; li fisso, li accosto fra di loro, e formano linee, ‘diventano’ oggetti, rocce, alberi, senza che io ci pensi. Assumono un volume. La mia tela intreccia le mani, non vacilla, è vero, compatta, piena.

Paul Cézanne, la montagna Saincte-Victoire, 1904-1906
Paul Cézanne, la montagna Saincte-Victoire, 1904-1906

Il procedimento creativo di Cézanne non si può in realtà ridurre ad uno schema scientifico: l’astrazione comincia da una profonda conoscenza del soggetto, una conoscenza che esclude l’elemento narrativo, costituita com’è da i colori, come quelli della montagna Sainte-Victoire, dall’odore dei pini, dal verde dei prati che deve cogliersi sulla tela, mai dalla letteratura. «Il colore è il mezzo unico, specifico, del pittore.» Non è la natura stessa colore? Il pittore scrive ancora che «i colori sono l’espressione di questa profondità alla superficie, salgono su dalle radici del mondo.» Il quadro è dunque il risultato di conoscenza e emozione insieme, è l’uomo che studia la natura di cui fa parte, è l’uomo che la ricerca nel profondo; una natura non più positivistica ma immanente.

Io sono la coscienza soggettiva di questo paesaggio e la mia tela ne è le coscienza oggettiva. La mia tela e il paesaggio , l’un e l’altro al di fuori di me, ma il secondo caotico, casuale, confuso, senza vita logica, senza qualsiasi razionalità; la prima duratura, categorizzata, partecipe della modalità delle idee.

Con questa affermazione Cézanne pone in essere un modo moderno di intendere l’opera d’arte, ne coglie una qualità, ovvero ne riconosce la sua autonomia: il quadro è un ente a sé, una nuova realtà, un fatto altro che non nega i rapporti d’origine, anzi li conferma. Tale posizione potrebbe sembrare astrattista, colma di echi simbolisti e psicologismi vari; in verità quello del pittore provenzale sembra più un nuovo classicismo, un classicismo moderno.

Se è il colore a costituire la natura, l’opera d’arte non può che sostanziarsi di forme, di volumi: ecco la pittura plastica dell’autore provenzale, ecco la sua pennellata asciutta, costruttiva, densa, basilare. Ne deriva la riduzione della natura a solo tre figure fondamentali: la sfera, il cilindro, il cerchio.

Come metterli in relazione?

La nuova soluzione della prospettiva cézanniana è, secondo il giudizio di De Micheli, il più grande lascito di Cézanne all’arte contemporanea. Questi osserva e rende gli oggetti da più punti di vista, secondo diverse prospettive simultaneamente. Ciò conduce ad inevitabili deformazioni: oggetti allungati, allargati, la linea dell’orizzonte spesso compare asservita alle esigenze del pittore, dello sguardo che coglie il mondo. Un mondo dove il pittore è disposto a sacrificare la convenzionale esattezza del contorno, senza rifarsi ad alcuna tradizione precedente.

Paul Cézanne, La casa dell'impiccato, 1873
Paul Cézanne, La casa dell’impiccato, 1873

L’intensa ricerca di una nuova e vera rappresentazione della natura continua sino agli ultimi giorni di vita; sempre diviso tra la turbinosa vita parigina e la più placida Aix – sino all’isolamento a Jas-de-Bouffan, ceduta dopo la morte della madre nel 1898 – Cézanne negli anni Settanta riprende, intensificandoli, i colori del Veronese e del Tintoretto (i rossi e i gialli sono più luminosi), sceglie temi tragici, incline ad ascoltare il suo animo romantico: così Il dolore, le nubi fosche su innumerevoli paesaggi, una pittura che all’epoca è il risultato di innumerevoli influenze. Tra queste alla fine vincerà il realismo courbettiano (L’orologio nero).

Negli anni successivi ulteriori cambi di rotta: La casa dell’impiccato, con cui partecipa alla prima mostra degli Impressionisti del 1874, dove il nuovo rapporto con la natura, meno incline alle pulsioni romantiche, tende ad una tavolozza chiara, ad una geometria delle forme che si fa strada tra la casa e il colle, nella retta del viottolo. Ancora Il Ritratto della signora Cézanne (1877) è un saggio del metodo che persegue il pittore per dipingere: non rapidi tocchi di pennello bensì colore steso a zone, strisce e accenti puri plasticamente costruttivi. Dalla fine degli anni Settanta Cézanne studierà ancora più attentamente gli oggetti, nel reiterarsi degli stessi soggetti come la già citata Montagne Sainte-Victoire o ancora nelle Bagnanti, plastiche e monumentali, ma inserite in un contesto arioso, e condurrà le fila di nuove e continue ricerche.

È solo durante l’ultimo decennio del secolo però che Cézanne perviene al periodo che più lo qualificherà nei decenni successivi come un pittore particolarmente originale e innovatore sebbene isolato: è il sintetismo de I giocatori di carte, dove ciò che abbiamo scritto sopra si compie definitivamente. Sintesi di forma e visione. Realtà colta nella sua essenza più fonda.

I primi del Novecento sono ancora dominati da due temi ricorrenti: la montagna Sainte-Victoire e le Bagnanti (assieme ai continui dubbi). La solidità della figura resta ma, se possibile (e lo è), il colore diviene ancora più brillante e arioso, l’aria sembra solida, sembra quasi potersi toccare sulla tela. L’apice di questo momento è costituito da Le grandi bagnanti del 1905, un quadro classico, romantico e impressionista; un quadro senza classicismo, senza romanticismo e senza impressionismo. Cézanne compie un balzo prodigioso, ricrea e ridisegna il volto dell’arte occidentale.

 


Per approfondire:
M. De Micheli, Idee e storie di artisti, Feltrinelli Editore, Milano 1982.
E. H. Gombrich, La storia dell’arte, Phaidon Press, Milano 2016 (1950)
G. S. Keyes, Reconsideration of Late Variants of Cézanne’s “Theme of Sainte-Victoire”, in Bulletin of the Detroit Institute of Arts, Vol. 77, No. 1/2, Nineteenth-Century French Art (2003), pp. 32-37.

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