Nato: Isola di Wight, 15 settembre 1807. Imbarcato come mozzo alla Florence J Marble, 1815. Arrestato per bigamia e omicidio a Port Said, 1817. Rilasciato nel 1820. Scrisse “Il racconto delle due città”. Sposò la principessa Anastasia del Portogallo nel 1931… scrisse “La capanna dello zio Tom” nel 1850… iniziò “Le Miserables” nel 1870, terminato da Victor Hugo… morì nel 1871. Sepolto nell’Abbazia di Westmister.
Questa è una delle tante strampalate (quanto false) biografie che Robert C. Benchley poteva fornire a chiunque gliene facesse richiesta. Ma chi era realmente? E perché proprio Woody Allen sostiene che sia tra i pochi che lo fa “ridere di gusto”? Per capirlo dobbiamo provare a ricostruire, questa volta seriamente, le fasi principali della vita di Benchley. Nato il 15 settembre del 1889 a Worcester, nel Massachusetts, da una famiglia benestante che voleva per lui un ruolo come amministratore delegato in qualche azienda dell’East Coast. Tuttavia, quella candida e rilassante vita alto-borghese preferisce deriderla.
L’animo irriverente di Benchley emerge già negli anni in cui frequenta la Philips Exeter, nel New Hampshire, una delle scuole secondarie più prestigiose degli Stati Uniti. Mentre i suoi compagni si affannano sugli scritti di Shakespeare e Milton, lui scrive una tesina di diploma intitolata “Come imbalsamare un cadavere”. L’esperienza universitaria non sembra correggere l’attitudine dello scrittore. Ad Harvard diventa direttore dell’Harvard Lampoon, una delle maggiori riviste umoristiche d’America, e sarà solito intrattenere i suoi compagni di confraternita raccontando storie divertenti e compiendo improbabili travestimenti.
Terminati gli studi, il giovane Benchley inizia a inviare i suoi scritti alle riviste del momento, la scelta si rivela di successo e la sua fama di grande umorista prende forma. Collabora con Vanity Fair, Life, e dal 1925 fino al 1940 scrive per il New Yorker, la prestigiosa rivista statunitense che ha fatto della satira e dell’umorismo raffinato uno dei suoi marchi di fabbrica.
Inoltre, Benchley, insieme all’amica intima Dorothy Parker, è uno dei fondatori dell’Algonquin Round Table. Un circolo di letterati, giornalisti che tutti i giorni si incontravano all’Algonquin Hotel di Manhattan e si scambiavano opinioni sull’attualità, battute fulminanti, giochi di parole ecc. È forse qui, nello scambio con altre menti letterarie dell’epoca, che lo stile e la comicità di Benchley si definiranno maggiormente.
Anche se già dal periodo universitario emergeranno due di quelli che sono i filoni principali dello scrittore. Nel primo troviamo un uso maggiore del dialetto e del disprezzo nei confronti delle istituzioni e delle regole e nel secondo un uso più raffinato del linguaggio, vicino alle espressioni e ai modi con i quali si poteva esprimere un membro dell’upper class del tempo.
Al di là delle distinzioni, per buona parte della sua opera, Benchley parodizzerà su “l’uomo comune” e sul suo rapporto con la massa e la società contemporanea che lo porteranno a sviluppare insolite nevrosi. Ne è un esempio lampante il racconto Lettura ad alta voce dei fumetti, nel quale un padre di famiglia, molto probabilmente alienato dalla routine quotidiana, è costretto a soddisfare le richieste di suo figlio che, petulante, gli chiede se può leggergli i fumetti presenti nel giornale della domenica.
L’uomo, invece di godersi il momento di riposo con suo figlio, legge annoiato e meccanicamente le diverse vignette senza neanche badare alla trama. Sostiene di aver elaborato un sistema che gli permette di leggere e contemporaneamente pensare a qualcosa di più concreto, evitando così che il “tempo sia completamente sprecato”. Ed è qui che inizia a riflettere a dei modi con i quali potrebbe migliorare la sua posizione sociale, lavorativa ecc.
Ho raggiunto una fase in cui utilizzo una sorta di seconda vista nella lettura, in cui le parole vengono viste e pronunciate senza che il mio cervello le registri affatto. E, mentre siedo con Junior impassibile sulle mie ginocchia […], ho sviluppato un sistema che mi permette di portare avanti un po’ di pensiero costruttivo mentre leggo ad alta voce.
Oppure, in altri casi, sembra quasi che l’uomo comune di Benchley si senta oppresso da quella che potrebbe essere definita un’altra manifestazione della società metropolitana degli anni Venti: la stampa. In questo periodo sta assumendo connotati molto simili a quelli attuali. Si sta facendo sempre più frenetica e petulante e provoca nei personaggi di Benchley spaesamento e confusione. Ed è su questi due elementi che l’autore innesca quello che egli stesso definirà «dementica praecox humour».
In altre parole, la voce narrante esordisce citando il frammento di una notizia, o parafrasandolo, e successivamente trarrà delle conclusioni dallo stesso che diventeranno man mano sempre più assurde e sconclusionate. È il caso dello scritto Digressioni sul risparmio energetico. Inizialmente il protagonista afferma di aver letto diverse riviste che parlano di come far funzionare la caldaia risparmiando carbone, e poco dopo proporrà dei metodi totalmente strampalati per risparmiare energia.
Un altro consiglio utile è quello di evitare che il fuoco si spenga. Questo può essere fatto in un modo che conosco bene. Ovvero, portando al piano di sotto un libro, una tavola ouija o qualche altro intrattenimento al chiuso e rimanendo seduti a un metro e mezzo di distanza dal forno per tutto il giorno, per poi essere sollevati da tua moglie la sera (o, inutile dirlo, viceversa). Non ho mai visto fallire questo metodo per mantenere vivo il fuoco, tranne quando l’osservatore si addormenta per dieci o quindici minuti. Si tratta di un tempo sufficiente per far sì che un fuoco ardente si spenga tranquillamente, e posso dimostrarlo.
In pezzi come questo, l’autore recupera quel lessico altolocato del quale si parlava in precedenza e aumenta ancora di più l’effetto comico: il registro entra in contrasto con quanto viene detto. Il tono posato della voce narrante lascia intendere che il protagonista abbia realmente padronanza del tema trattato ma in realtà, com’è possibile notare nel passo sopracitato, è esattamente l’opposto.
Un percorso simile viene compiuto anche nei saggi comici di Benchley, genere del quale potrebbe essere definito l’inventore. Trovate simili a quelle di Digressioni sul risparmio energetico, quindi, è possibile riconoscerle in altri piccoli capolavori dell’autore come Il sesso tra i polipi, dove un presunto trattatello di zoologia ha tutto fuorché delle informazioni esatte.
Sebbene non voglia fare del gossip, credo che i lettori di questo trattato debbano essere informati del fatto (se non lo sanno già) che un polipo non è né una cosa né un’altra in fatto di sesso. Un giorno può essere un polipo maschio, un altro giorno una femmina, a seconda del suo capriccio o di considerazioni pratiche di politica. […] Credo che se noi grandi cugini umani del piccolo polipo seguissimo l’esempio dato da queste creature più basse di Dio in questo campo, alla fine staremmo tutti molto meglio.
Benchley parodizzerà anche su un genere ampiamente esplorato dalla già citata Dorothy Parker: la recensione letteraria. Con la differenza che egli non parlerà dell’ultima fatica di Scott Fitzgerald, ma dell’elenco telefonico.
La trama, nonostante le virtù che possono derivare dall’acuta delineazione dei personaggi e delle vivaci immagini d’azione, è la parte più debole dell’opera. Manca di coerenza. Manca di stabilità.
La grande spinta innovatrice di Benchley è stata quella di inserire l’umorismo in contesti accademici, colti e pseudoscientifici. Ambiti nei quali la comicità e il wit non trovavano molto spazio.
Tuttavia, il tempo è nemico della comicità, perché per ovvi motivi i contesti cambiano e, di conseguenza, gli oggetti della satira e dell’ironia, i contenuti sui quali ci si diverte. Forse è per questo che lo scrittore è stato in parte “dimenticato”. Ma, dovendo rispondere a una delle domande che ci siamo posti all’inizio, le soluzioni collaudate da Benchley sopravvivono ancora in artisti come Woody Allen, che a sua volta continua a ispirare generazioni di umoristi.
Non è forse un figlio del saggio comico il mocumentario su Richard Nixon del 1971, Men of crisis: The Harvey Wallinger Story? Oppure, guardando a titoli decisamente più noti, in Harry a Pezzi, Manhattan o Io e Annie, non c’è parte di quella nevrosi urbana sulla quale Benchley si scaglia con la sua penna acuta e dissacrante?
Forse queste sono delle elucubrazioni per nerd, anche perché se Benchley fosse ancora vivo molto probabilmente ci ribadirebbe la sua semplice, ma per niente stupida, definizione di comicità: “Qualunque cosa faccia ridere”.
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Per approfondire:
Benchley R., Qualunque cosa faccia ridere, Sagoma Editore, Milano 2023.
D. Remnick, H. Finder (a cura di), Fierce Pajamas: An Anthology of Humor Writing from The New Yorker, Modern Library, New York 2002.