Qui nella penombra, di Carlotta Benedetta Bragaglia

Edward Munch I soli

Quale musica più azzeccata dei famosi Notturni di Chopin, suonati solo al pianoforte per lasciarsi ispirare alla presentazione del libro di Carlotta Benedetta Bragaglia Qui nella penombra, che come dice già in copertina è Una storia vera.

È la sua storia, la sua grande tragedia familiare e personale, che scuote la coscienza, non solo perché ci mette davanti all’orrore di una violazione impensabile, che travalica anche il semplice concetto di abuso sessuale: l’incesto.

Orrore che noi viviamo nel corpo di questa bambina come bambine che fummo, come madri che siamo.

Madri che chiudono gli occhi per tanto dolore; bambine che tacciono, per tanto amore, per l’utopia di famiglia, intesa come guscio armonico, una proiezione gigante dell’utero, nel quale tutto è iniziato.

Io, Benedetta, sono nata nel 1989. I miei genitori, Franco e Giulia, decisero di trasferirsi a C. abbandonando la caotica città, per permettermi di crescere in un posto pieno di verde e di aria pulita.

Solo nel terzo capitolo l’autrice si presenta, quasi casualmente, mentre srotola il papiro insanguinato dei ricordi, apparsole davanti sotto forma di albero in una mattina piovigginosa a Londra, mentre con le sue amiche si sta recando all’Università. Il contatto e la vista di quell’albero maestoso e solitario, l’aria umida, basta poco a riportarla indietro in un tempo magico, qual è quello dell’infanzia.

Carlotta Benedetta Bragaglia
Carlotta Benedetta Bragaglia

Piangeva l’albero spoglio
solitario in mezzo al campo.
Piangeva,
ascoltando il dolce sospiro
del vento che lo cullava.
Sotto il sole lui sperava,
aspettando l’ultimo giorno
della sua ormai triste vita.
Così, solo sconsolato,
vide cader l’ultima foglia ai suoi piedi
e con un ultimo sospiro disse …
«Addio»

Questi versi Carlotta li compose a otto anni, per quell’albero tanto amato in fondo al giardino della sua casa d’infanzia e d’orrori.

Rileggerli dopo aver finito il libro, destano impressione per quanto sembrino presagire il dramma che di lì a pochi anni le sarebbe accaduto.

La poesia, soprattutto quella spontanea, esce da noi ma le parole, che esistono prima di noi, si compongono autonomamente, diventando profeti che gridano nel deserto. Perché hic et nunc offusca la vista, perché la vita ha imperscrutabili sentieri nei quali ci si perde, per poi avere la gioia di ritrovare la strada maestra. La strada maestra dell’Addio, dell’abbandono del lutto e del dolore ed è quella strada che tra poesie e narrazione snella, percorriamo insieme all’autrice, penetrando nel suo smarrimento, nella sua paura, nella sua infinita tristezza.

Ogni volta mio padre ci portava in un posto diverso: radure, tombe sommerse da un’onda di sterpaglie, alberi al centro di grandi campagne… Ogni volta era un’avventura nuova ed io adoravo passeggiare con loro. Mamma però, rimaneva sempre indietro.

In quel rimanere indietro della madre, c’è un passo avanti del padre, un passo verso un perverso, quanto folle amore, costruito fin dalle fasce di quella figlia. Un amore malato che giorno dopo giorno con l’avanzare della pubertà assume contorni sempre più oscuri e torbidi. Eppure quel padre, stimato professore di matematica… Quel padre tanto amato, così sapiente, così saggio, così dolce, userà il fascino e l’amore di sua figlia, come invisibili corde, come impalpabili percosse, vischiose come bava e appiccicose come miele, da cui è davvero difficile venirne fuori, soprattutto per una ragazzina.

Edvard Munch, Angoscia, 1894
Edvard Munch, Angoscia, 1894

Questo libro ci trascina dolcemente all’inferno e poi sempre con passo lieve, poetico, ripercorre la difficile risalita alla luce del sole.

«All’età di 18 anni non riuscivo più a vedere nessun aspetto positivo nel percorso verso la liberazione. Al contrario mi sentivo in trappola, mi mancava l’aria. Non dormivo più, mangiavo pochissimo. Ero arrivata “alla frutta“»

Già il percorso di liberazione, dovete leggere come lo descrive Benedetta, perché non è il punto di vista di un adulto, ma quello di una bambina di 11 anni. Percorso di liberazione dai pregiudizi e dai tabù del sesso.Una raffinata operazione di plagio, complice il grande amore figliale e il rispetto, messa in atto da un uomo, che definirlo padre è davvero difficile.

«Come ti dicevo prima, la cosa che mi fa più arrabbiare è che in questa società, così falsa e ipocrita, anche la cosa più naturale del mondo viene complicata e nascosta dietro tabù e paure!…»

«Le persone hanno la mente nella stia non riescono a uscire fuori dai soliti schemi mentali…»

Ci sono state figure importanti che hanno permesso a questa bambina, diventata donna vivendo due vite parallele e contraddittorie, di uscire fuori dalla penombra.

L’importanza della figura professionale degli insegnanti, soprattutto di quella di lettere, a intercettare il malessere ormai diventato evidente.

L’importanza di avere all’interno delle scuole la figura di uno psicologo preparato.

L’importanza di una rete di servizi di supporto ai giovani, spesso vittime di abuso di ogni genere. L’importanza di avere intorno delle amicizie solide e accudenti.

A tutto questo diamo merito all’intelligenza, al coraggio e alla caparbietà di Carlotta, se questa storia è uscita dalla penombra ed è stata schiacciata dalla luce.

Incontriamo l’autrice, che conosco dagli anni del liceo, quando la incontravo spesso nei corridoi con i suoi begli occhi gonfi di pianto. Purtroppo o per fortuna nella scuola sono solo un’impiegata un po’ strana e delle sue disavventure, ne venni a conoscenza diversi anni dopo, durante una Notte Bianca contro il femminicidio.

Edvard Munch, Pubertà 1894-95
Edvard Munch, Pubertà 1894-95

Quando raccontò a una platea di donne la sua storia, con una voce distaccata di chi ormai ha fatto i conti con il passato.

Allora Carlotta, io da sempre ho usato solo il primo nome, come ho detto conoscevo la tua storia, ma leggerla è stata un’altra cosa. Intanto complimenti perché a dispetto del tema piuttosto impegnativo, hai saputo giocare con i ricordi, riuscendo a non straziare il lettore ma strappandole pure qualche sorriso.

Quando hai deciso che la tua storia poteva essere un buon argomento per un libro?

Grazie mille Silvia per le tue belle parole. Non c’è stato un momento preciso… il libro si è creato da solo perché la mia psicoterapeuta ha sfruttato il fatto che mi piacesse scrivere come strumento di “sfogo” nei momenti difficili che mi capitava di affrontare nella quotidianità. Più scrivevo meno la mente sembrava annebbiata. Ci sono voluti anni e molta pazienza. Tutto il materiale creato durante il percorso psicoterapico è stato poi riordinato,  ricollegato da una trama, da una narrazione. Dopo tante prove e grazie anche ad aiuti di diversa natura da parte di amici e parenti, alla fine il libro ha preso forma.

La letteratura classica ci ha lasciato pezzi memorabili, sul dramma dell’incesto, argomento spinosissimo, per quanto sia un abuso subito da molte figlie, che si preferisce sottacere. Tu, invece hai avuto il coraggio e con la levità e la poesia degli antichi, sei riuscita a parlarne. In tutti questi anni hai capito che era necessario lasciare ad altre bambine e ad altre madri degli strumenti, utili a prevenire piuttosto che a provvedere?

La risposta risiede nella tua stessa domanda. Se noi abusati parlassimo invece di nasconderci, schiacciati da sensi di colpa provenienti da una colpa che non abbiamo. Se la rete di persone che ci circonda la smettesse di girare lo sguardo per paura. Se ci fosse meno ignoranza sull’argomento… allora la grande rete di brave persone che ci circonda si trasformerebbe in aiuto, assistenza, guida e protezione. Se le persone fossero maggiormente informate sulle dinamiche dell’argomento, alla minima avvisaglia di problematica,  chi fa del male si ritroverebbe da solo, scrutato dagli occhi non più assopiti della gente, anziché protetto dal silenzio della paura e dell’omertà! È così che, a mio avviso, il nostro parlare diventa prevenzione.

Essendo madre e neppure di due figli facili da gestire, il tuo libro snocciola con spietato realismo quali sono spesso i punti molli del ruolo materno. Sono le debolezze umane che d’istinto chiudono gli occhi davanti all’orrore che sia l’abuso, che sia la droga o altro.

Quegli occhi chiusi senza premeditazione, quelle orecchie che non interpretano i suoni, che non si interrogano, che lasciano cadere nel vuoto evidenti segnali.

Qui nella penombra Carlotta Benedetta Bragaglia

Non credi che il tuo libro possa essere un buon punto di partenza anche per riflessioni sulla genitorialità e la capacità di saper vedere e ascoltare?

Ancora non sono genitore e quindi non mi posso esporre su un argomento che non conosco così profondamente. Sono stata figlia però. Figlia di una madre che pur amandomi moltissimo non ha saputo vedere, non ha potuto ascoltare. Se le mie parole possono in un qualche modo aiutare un genitore in questa ardua impresa, posso solo che sentirmene onorata.

La scuola prima, la rete dei servizi e gli amici sono stati i tuoi veri punti di forza. La famiglia alla fine risulta la grande assente, a parte i tuoi fratelli. Quello scrigno di felicità, quell’utero caldo e accogliente che era la famiglia, ti si è frantumato nelle mani, e sei rimasta sola. Credi ancora alla famiglia o è finita in quei cocci irreparabili, che per tanti anni ti hanno solo ferito e null’altro?

La mia famiglia si è ammalata a causa di un tumore: mio padre. Non significa che ci fosse solo lui e solo il negativo. Mia madre, i miei fratelli, i nonni, gli zii sono state figure positive. Lo stesso mio padre ha saputo trasmettermi nozioni positive durante l’infanzia. Nel corso della mia vita poi ho avuto la fortuna di conoscere molte bellissime persone, amici, che hanno allargato il mio concetto di famiglia, ma anche partner gentili, premurosi e buoni.  Ritengo ancora bellissimo ed essenziale il ruolo della famiglia (di origine e scelta) in tutto l’arco della vita di ogni persona.

Ora prima di lasciarci, raccontaci il tuo presente di donna rinata a una nuova vita, costruita con dolore, fatica e caparbietà; esempio che accende un arcobaleno di luce nel buio cielo del nostro inquieto presente.

La mia vita di oggi? È fatta di incertezze, ansie, progetti come quella di tutti. Ho un compagno dolcissimo con il quale faccio progetti e col quale bisticcio almeno 5 volte a settimana, altrimenti non siamo contenti. Ho 2 cagnoline simpaticissime. Un lavoro stressante e al contempo appagante. Famiglia, amici, nipotini bellissimi. Bollette e tasse da pagare. È quella vita che mai avrei creduto di riuscire a raggiungere. Una vita che erroneamente credevo di non avere il diritto di vivere. La nostra vita appartiene solo a noi e dobbiamo proteggerla da chiunque non la rispetti. Mi sono circondata di persone che mi vogliono bene SINCERAMENTE. Sono loro a gettare l’arcobaleno di luce sulla mia vita.

Con questo messaggio positivo di Carlotta Benedetta Bragaglia, con la speranza di avervi invogliato alla lettura, ci lasciamo, ricordando che il libro Qui nella penombra – Una storia vera – è possibile acquistarlo su Amazon.

Silvia Leuzzi
Silvia Leuzzi

Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.