Esiste una letteratura che sotto il manto allegorico-morale cela un potenziale significato iniziatico: è una letteratura incandescente, che spesso si rivela in letture fortuite, incontri accidentali, scoperte e scelte fatali che avviano all’individuazione del Sé tra una selva di simboli e segni di non immediata comprensione, ma di intensa manifestazione; una letteratura epifanica e forgiante quindi, e in questo senso formativa. Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi è uno dei capolavori che meglio si presta a questa interpretazione.
Quando viene al mondo, intagliato, creato da un vecchio falegname, Pinocchio, fragile e dinoccolato, è una creatura insaziabile, senza misura né disciplina; deve andare a scuola, per studiare o imparare un mestiere, per consolidarsi attraverso una formazione che lo incanali nella vita; tuttavia, quello di diventare un figliuolo buono e ubbidiente, uno scolaro modello, è un proposito troppo esile, vago e impersonale, perché egli, affamato e ingordo, rinunci a più immediati piaceri.
Il cammino di Pinocchio, vulnerabile e disarmato, si lastrica quindi di buone intenzioni e promesse disattese: al minimo soffio di vento avverso, l’instabile castello di carte crolla, e il burattino è punto e a capo. Così, pur riproponendosi di andare a scuola alla vista dell’abbecedario scambiato dal babbo con l’unica casacca da lui posseduta, desiste tuttavia alla vista del teatro di Mangiafuoco.
Ora, quando incontra le marionette – le note maschere popolari tra cui spicca Arlecchino – Pinocchio viene subito riconosciuto e acclamato a gran voce. Il burattino è tuttavia diverso: non ha fili, il che segnala una libertà di cui i fratelli non dispongono. Pinocchio, pur fragile e acerbo, ha la possibilità di plasmare il proprio destino; è effettivamente una maschera, ma non è (ancora) condannato a replicare una storia estemporanea, priva di sviluppi, sino alla fine dei suoi giorni, restando uguale a se stesso, vuoto e involuto, buono solo ad alimentare il focolare una volta spremuto il personaggio che interpreta.
In altre parole, Pinocchio è libero di autodeterminarsi, di uscire dal teatro per creare la sua storia. Ma pur essendo un burattino senza fili, egli è pur sempre di legno, e come tale esposto, preda dei propri istinti e bisogni, che il Grillo cerca di mitigare con fallimentari interventi intimidatori. Non sarà infatti il Grillo a destarlo, ma la ferma dolcezza della Fata Madrina, che lo richiama all’ordine senza tuttavia abbonargli alcunché, perché pian piano si riconosca come unico responsabile delle sue scelte.
Le azioni del burattino hanno conseguenze immediate e concrete, e dolorosissime, spesso spurgate con un subitaneo contrappasso dantesco; lo spazio-tempo è infatti abbattuto, il che è narrativamente funzionale alla storia, infusa di una freschezza picaresca che non sminuisce la portata pedagogica dell’opera – a dimostrazione dell’inefficacia di certa pedanteria e certo moralismo, da cui Collodi sembra apertamente dissociarsi. E così come il lettore assiste alla creazione di Pinocchio, assisterà poi alla sua nascita, esemplificata dalla conquistata transizione da burattino a ragazzo vero, dal legno, materia grezza e inerme, cava e leggera, alla carne viva, promettente, piena e pulsante.
Osservando da questa prospettiva, è come se Pinocchio venisse al mondo due volte: per diventare un ragazzo vero, l’anima in legno deve effettivamente morire. Si apre qui un paradosso: per partecipare attivamente al ciclo della vita, per crescere e svilupparsi, espandersi e conoscersi, egli deve divenire un essere mortale. Da burattino Pinocchio non può morire – ma in effetti non è neanche mai nato. La morte, indissolubilmente legata alla carne come alla vita, scandisce il tempo a disposizione per realizzare se stessi – che per Pinocchio equivarrà a diventare un bambino con una prospettiva di crescita, figurata e letterale, che da burattino di legno è totalmente preclusa.
Le avventure di Pinocchio, così numerose, leste e scandite, assumono la caratura del rito: una serie di passaggi in funzione di un graduale risveglio che darà accesso a una nuova condizione. Emblematico a tal proposito l’episodio del pescecane: perché possa inabissarsi nelle profondità marine, dove si ricongiungerà al babbo, Pinocchio deve essere inghiottito da un pesce, che risale in superficie solo per cacciare e nutrirsi. Ed è nella pancia del pesce, sorta di grotta o caverna, al flebile lume delle ultime candele di Geppetto, che si svolgono gli ultimi atti della sua iniziazione, che culmina con la simbolica, per quanto grottesca, espulsione dal cavo orale: il burattino, col babbo in groppa, si trova nuovamente in mare aperto, e l’acqua lo consacra, lo battezza, riconsegnandolo a una nuova vita.
Ora, come detto prima, Pinocchio effettivamente non è mai morto, se non metaforicamente (nemmeno l’impiccagione riesce in tal senso), ma prima ancora dell’incontro col pescecane, reduce dal paese dei balocchi, subisce una prima trasmutazione dal legno alla carne, una trasmutazione tuttavia involutiva e, se vogliamo, degradante, poiché egli si ritrova nei panni di un asino, animale destinato, condannato alla fatica. Maltrattato, sfinito e oramai inutile, viene infine gettato in mare con una pietra al collo. Pinocchio affonda, ma un branco di pesci, mangiandone la pelle, lo spoglia da quell’identità meschina – che effettivamente muore – per ripristinare lo stato precedente.
Non un’evoluzione, ma un rientro, per il passo successivo. Ecco come l’incontro col pescecane, funzionale al necessario ricongiungimento col babbo, segue ad un già compiuto passaggio cruciale, la morte della parte istintiva, che tuttavia riconsegna Pinocchio al legno, poiché perché possa scendere in se stesso, dov’è anche Geppetto, salvarlo e salvarsi, il burattino deve lasciarsi trascinare, stare nell’ombra, e una volta toccato il fondo, e compreso, risalire. La gestazione all’interno di quella creatura mostruosa non è allora che l’ultima fase dell’incubazione del Sé, finalmente pronto a manifestarsi e a rivivere facendosi carne.
Ora, questa interpretazione del Pinocchio di Collodi, non nuova e già ampiamente avanzata, trova una sua risonanza in quello che Dante definisce il «sovrasenso» di un testo, val a dire il significato altro, chiaramente non immediato, che, trascendendo la lettera e lo stesso contenuto morale, vuole parlare direttamente allo spirito. È in questo senso che Pinocchio è anche un testo iniziatico: le avventure – le prove – del burattino di legno ci iniziano a un processo di conoscenza al di là di qualsiasi convenzione, al di là del contenimento sociale, in un punto localizzabile in noi stessi, ma che ci porta al contempo al di fuori di noi, in una dimensione priva di condizionamenti, svincolata, in virtù di un’emancipazione vertiginosa, perché totale e assoluta.
Senza prescindere dalla doverosa contestualizzazione del testo, l’interpretazione iniziatica lo rilancia quale modello e strumento formativo universale. È questo un approccio in cui certa letteratura, scandagliabile su più livelli, evidentemente stratificata e pertanto simbolica, offre un contributo alla ricerca sulla psiche umana e sulle esperienze di vita, che, strappate alla contingenza, mostrano la propria universalità.
Così il cammino di Pinocchio esemplifica archetipicamente il sofferto, rocambolesco ma ugualmente meraviglioso viaggio dell’uomo dentro se stesso per integrare le proprie ombre, superare schemi e automatismi, e giungere, non senza sforzo, alla luce del più autentico Sé, affrancato e riscattato.
Pinocchio può allora dividersi in due parti: nella prima (capp. I-XIV) nell’orizzonte del burattino non è ancora contemplata la possibilità di diventare un ragazzo vero, e il vago proposito di diventare più buono, soprattutto rispetto al babbo, risulta insufficiente a stimolarne una più ferrea volontà (la Fata è qui infatti una bambina, malata e prossima alla morte); nella seconda parte (capp. XV-XXXVI) aleggia al contrario una speranza nuova, nella cui tensione Pinocchio scopre una rinnovata energia, che lo fa muovere per se stesso e per la propria realizzazione; il burattino è qui supportato dalla Fata, ora donna e figura materna, che lo guiderà in assenza di Geppetto.
Paterno e materno, maschile e femminile, per quanto slegati da rapporti biologici, ma ugualmente necessari, sono per lo più asincroni in Pinocchio: dapprima egli conoscerà il padre, che lo crea, successivamente incontrerà la madre, che lo accompagna; solo alla fine i due si congiungeranno, proprio quando il burattino, passato attraverso la trasmutazione del legno, avrà raccolto tutti i suoi pezzi in un’unità di carne consapevole e presente a se stessa.
Il Pinocchio della prima parte è leggero, inconsapevole; galleggia, non può affondare né affogare: è sospeso, e fluttua, incapace di radicarsi, incapace di elevarsi. Non conosce profondità, né è in grado di sondarsi per cogliere e prendersi la responsabilità delle proprie azioni: al più acconsente alle punizioni paventate dal Grillo e dalla sua cieca morale.
Come un personaggio comico, egli si ripete di sventura in sventura, recidivo, sulla scia di un copione consolidato, senza capo né coda – come le marionette e i burattini, le maschere e i tipi della Commedia dell’Arte, costretti a replicare la propria parte in eterno, vincolati a un personaggio vinto dai propri automatismi, che non ha storia.
Divenuto un ragazzo vero, Pinocchio torna a scuola: ha qui inizio una formazione altrettanto impegnativa, ma forte della risorse raccolte, delle potenzialità scoperte e della presenza di un Sé integrato. È un percorso universale, che riguarda l’essere umano, chiamato a viversi consapevolmente, evolvere e gioire per sé e con sé.
Per questo Pinocchio siamo noi, caratteri e pezzi di legno di là dal trasmutare e manifestarci per quel che siamo realmente, per abbracciare il percorso dell’anima, individuale e inedito.
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Per approfondire:
Giacomo Maria Prati, Pinocchio esoterico. Mitopoiesi di un poema iniziatico, Edizioni Aurora Boreale, 2023.
Giorgio Agamben, Lo Spirito e la lettera. Sull’interpretazione delle scritture, Neri Pozza, 2024.
Arianna Brunori, Un’iniziazione al mistero dileguato. Il Pinocchio di Giorgio Agamben, su La Balena Bianca, 29 Novembre 2021.
In copertina: Locandina del film Pinocchio di Enzo d’Alò, 2012 (particolare) con i disegni e le scenografie di Lorenzo Mattotti.