Le mie aspettative per questo film erano molto alte. Macbeth, diretto da Justin Kurzel, con protagonisti Michael Fassbender e Marion Cotillard, avrebbe potuto giocarsi tutto nelle prime battute, nei primi istanti. Una leggerezza di troppo, una libertà esageratamente eccessiva dall’opera originale e si sarebbe parlato di un film che funziona solo grazie al maestoso apporto visivo.
Invece hanno pensato bene di rendere questa pellicola interamente fedele al Macbeth di Shakespeare. Dialoghi, scene, drammi. Certo, qualcosa è fuggito dal controllo maniacale dell’intera sceneggiatura, ma il risultato globale è veramente accurato e soddisfacente.
Già così sarei stato contento. Kurzel, però, ha deciso di esagerare. In positivo, s’intende.
Nelle inquadrature iniziale e dalle prime transizioni, piano piano incominci a vedere che qualcosa è diverso dai soliti film. Intendo dalla concezione delle scene e della disposizione dei personaggi in azione e fuori campo. La prima transizione è verticale, apre sulla scena cruda e silenziosamente dolorosa della battaglia tra Scozia e Irlanda. È un sipario che si alza. Preso coscienza di questo, è facile osservare tutto il resto sapendo di essere di fronte ad una rappresentazione teatrale “messa su schermo”.
Con queste premesse sarebbe anche superfluo parlare della trama. È esattamente quella della tragedia shakespeariana, e non sarebbe potuto essere altrimenti. L’attenzione è posta su Macbeth (Michael Fassbender) e sulla sua sanguinosa ascesa al trono di Scozia. Nelle prime scene, Macbeth e Banquo (Paddy Considine), suo amico, sono due generali di re Duncan (David Thewlis, il grandissimo Prof. Lupin di Harry Potter) di Scozia. Essi hanno appena sconfitto in battaglia l’usurpatore Macduff (Sean Harris), che si era messo a capo degli eserciti di Irlanda e Norvegia.
Macbeth e Banquo, di ritorno dal campo di battaglia, incontrano tre streghe che predicono loro il futuro: Macbeth sarà signore di Cawdor e successivamente re di Scozia, mentre Banquo sarà progenitore di una stirpe di re. Nel momento in cui le streghe scompaiono i due vengono raggiunti da un messo regale, che annuncia la nomina di Macbeth a signore di Cawdor, dopo che questi è stato deposto e condannato a morte, in ricompensa del valore dimostrato in battaglia. Macbeth allora si rende conto che le streghe hanno detto il vero e informa dei fatti la perfida Lady Macbeth (Marion Cotillard). Questi sono i fatti iniziali: il resto non lo rivelerò per coloro che non hanno mai letto la tragedia.
Nonostante tutto, però, mi sono chiesto cosa rendesse questo film così interessante. E la risposta che mi sono dato rientra ancora nel discorso fatto fino ad adesso: ci sono elementi che ancora sono da richiamare alla bellezza originaria della tragedia (e di cui una trasposizione fedele ne assume quindi i caratteri e le virtù) e altri che invece sono puramente cinematografici.
Riguardo ai primi sarò breve, in quanto è tutto racchiuso nelle pagine del libro, la cui lettura risulta sempre emozionante e spettacolare. Macbeth è una tragedia in cui, per quanto si cerchi di combattere questa tendenza, le parole dominano sui fatti.
Finché minaccio lui vive: le parole
Gettano un fiato troppo freddo
Sul calore delle azioni.(W. Shakespeare, Macbeth, II.1,pag. 53, Universale Economica Feltrinelli, 1997, trad. di Agostino Lombardi)
Eppure su tutto regna il dominio delle parole. Sia chiaro, le azioni ci sono e risultano decisive sia per l’intreccio che per lo sviluppo psicologico dei personaggi, ma il linguaggio risulta il vero protagonista di questa tragedia. Nella stessa maniera in cui esso risulti così fondamentale nelle parole di Iago nell’Otello, ecco come anche in Macbeth venga ad assumere il ruolo di promotore essenziale delle situazioni e dei decadimenti psichici. Il film, sotto questo aspetto, risulta impeccabile: le parole sono il protagonista assoluto ed indiscusso della scena. Creano, sconfinano, racchiudono, distruggono, sollevano e spingono. I dialoghi sono incredibilmente forti. Da brividi.
L’altra questione legata alla mera tragedia è l’intera concezione della vicenda come un viaggio che porta alla perdita dell’umanità. Macbeth, al contrario di Riccardo III, riconosce il male dentro di sé; lo sente crescere e pulsare: ne ha paura, per quanto sappia di non poter tornare indietro dalle sue azioni. Sangue chiama sangue, recita spesso. Ed è così: le vicende sprofondano nell’abisso, nell'”Inferno che è sempre più buio”. E anche qui il film risulta ineccepibile: grazie alla superba prova attoriale di Fassbender si potrebbe analizzare frame per frame rintracciando i sintomi di questo decadimento nelle espressioni e nei gesti.
E alla fine, tutto quello che la tragedia non può più offrire, viene colmato da scelte registiche eccellenti. La fotografia è stata curata maniacalmente, lo si nota subito. Il linguaggio non verbale (le parole, come detto, le ha già messe Shakespeare e sono perfette; un fiore all’occhiello) spinge l’interpretazione ancora più in là: due tipi di spazi si susseguono durante la rappresentazione: spazi aperti e spazi chiusi. Solo questi due tipi, ed entrambi hanno una valenza e un significato loro specifico. Gli ambienti chiusi, asfittici e rigorosamente in penombra sono il nido da cui vengono generate le idee corrotte dal fiele dell’ambizione; sono l’antro indicibile del dolore e del male. Molto spesso, in queste scene domina il primissimo piano che spinge lo spettatore a concentrarsi (quasi in maniera fastidiosa) sui monologhi dei personaggi e sulle loro intenzioni che dipingono espressioni a tutto schermo.
Negli spazi sterminati e mozzafiato dei paesaggi (le riprese sono avvenute in Scozia e in Inghilterra) si scoprono invece le solitudini degli uomini, impegnati in battaglie fisiche e reali (con altri uomini, in guerra) e personali (la psicologia che si sfalda inesorabilmente). Gli uomini sembrano piccoli, insignificanti, così immersi in un qualcosa di infinitamente più grande, maestoso e indifferente. Alcune scene sembrano trasposte da un quadro di Friedrich, il che aggiunge qualche punto in più, ovviamente.
Insomma, questo 2016 è iniziato alla grande. Macbeth è un film da vedere e da sentire nell’animo. “Bello è il brutto e brutto è il bello”, dicono le Tre Streghe: significa che tutta la vita, e il suo dramma, sono lacerazioni infinitesimali di piccole immagini che solo riunite assieme possono donare un ritratto completo. Questo film è l’esempio perfetto di un qualcosa che è stato costruito curando ogni aspetto, ogni particolare che avrebbe senso anche da sé, ma che completa la visione della vita solo unendosi in un giorno di buio e di tempesta.