Andy Warhol locandina per il film querelle

La statua di sale di Gore Vidal: Be Gay in the USA

Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato [in cima al monte], quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.

(Genesi, 19, 23-26)

Il significato più profondo del terzo romanzo di Gore Vidal, La statua di sale (The city and the pillar, 1948), riedito da Fazi è tutto racchiuso in questa manciata di parole, in quell’unico gesto compiuto dalla moglie di Lot, quel guardarsi indietro che le risulta fatale.

È il ricordo di un momento, di una passione percepita come naturale e al tempo stesso proibita ad animare e strutturare l’intera vicenda di Jim Willard, ragazzo “normale” – bello biondo atletico educato – ossessionato dall’estasi di quel momento.

Sullo sfondo compare la tipica famiglia americana del sud, immersa nel giallo paglierino dei campi, soffocata nel grigio di case anonime; appare Hollywood tinta di mille colori e mille finzioni, più falsa di quei soldati/impiegati ipocriti e insicuri barricati nella caserma in Colorado, tutti intenti a raccontarsi scemenze, a fingersi – (in)consapevolmente – meno mediocri di quanto in realtà non siano agli occhi degli altri.

Giulio Durini, Gustavo e Clayton, 2006
Giulio Durini, Gustavo e Clayton, 2006

Tutto questo non conta, non ha importanza per Jim che li osserva, li attraversa – i soldati, gli attori – come uno spettatore passivo animato da uno sguardo ironico ma distante, un giovane uomo che rimane in fondo indifferente a ciò che lo circonda:

Poi la conversazione [dei soldati] si spostò sulle donne. Ad alcuni piacevano le donne formose; alcuni amavano le donne piccole; altri le bionde, altri le brune, e ad alcuni piacevano le donne con i capelli rossi. Ma tutti erano d’accordo sul fatto che gli piacessero le donne e, mentre parlavano, i loro occhi brillavano ripensando alle mogli, alle amanti, ai sogni. Jim era divertito e perplesso: ma davvero quegli impiegati avevano successo con le donne? Nessuno aveva n aspetto attraente. […] Poi uno cominciò a parlare di checche.

(G. Vidal, La statua di sale, pg. 149, Fazi Roma 1998- trad. A. Osti)

All’indifferenza al mondo, alla ricerca di quell’attimo passato si somma la difficile accettazione di sé. Jim non corrisponde affatto allo stereotipo di omosessuale tanto caro alla cultura occidentale: non è effeminato e non è attratto dalle “checche”, frequenta i locali e le feste gay ma allo stesso tempo gioca a tennis, entra nell’esercito, si mimetizza perfettamente tra gli etero.

Jim è un ragazzo comune, senza particolari qualità, non dichiarato al mondo e dunque perfettamente integrato nell’America degli anni Quaranta. Il suo dramma passa da tutte quelle tappe canoniche di chi in fondo sa di essere gay ma che, in quanto così diverso dall’immagine che la società gli fornisce, fatica a capirsi e quindi ad accettarsi.

Dopo aver scoperto che c’erano davvero molti uomini che amavano gli uomini, Jim passò attraverso varie fasi. La sua prima reazione fu di disgusto e di allarme. Esaminava tutti con attenzione. Era uno di loro? Dopo qualche tempo riusciva a identificare quelli palesi, in particolare quando si muovevano, con il collo e le spalle rigide. Quando poi i giovani si abituarono a Jim, cominciarono a parlare francamente di sé. Alla fine, uno cercò di sedurlo. Jim si innervosì, e reagì con violenza. Eppure, in seguito continuò ad andare alle loro feste, anche solo per poter sperimentare ancora il piacere di dire di no

(pp. 83-84)

Gore Vidal la statua di sale

Soggetto incompiuto, la sua natura risulta e rimane ambigua a quasi tutti i personaggi che lo incontrano durante la sua Ricerca. C’è sempre qualcosa di non detto, di inespresso che soggiace in lui, che non si percepisce neanche fissandolo negli occhi.

Ed è proprio l’oggetto del desiderio di Jim, quel Bob con cui ha condiviso l’esperienza più intensa e bella della sua vita, quell’attimo – quella serie di attimi – in cui i corpi dei due si sono fusi in uno, uniti in un atto d’accoppiamento giudicato come autentico tra il giallo di un fuoco morente e il grigio del cielo trapunto di pallide stelle a non permettergli di ritenere ciò che lo circonda reale, importante.

Jim e Bob sono due giovani uomini che si sono amati profondamente, anche se per poco, anche se nessuno dei due sembra essere gay.

Non c’è da stupirsi, dunque, che l’America della fine degli anni Quaranta rimase sconvolta dal romanzo di Vidal: la normalità di Jim, il suo piccolo desiderio, ha reso gay la più grande nazione del mondo, strappando quelle tende che li nascondevano in ogni settore della vita associata, dall’industria cinematografica all’esercito più macho di sempre – dopo quello spartano, ovviamente – e rivelandone al contempo la normalità, l’altezza e la bassezza dei loro sogni, dei loro desideri.

È un documento umano profondo e crudele quello che ci consegna Vidal attraverso la storia di Jim, attraverso la sua ricerca di una felicità modesta motivata dal desiderio e dal ricordo, da quell’incapacità di lasciarsi il passato alle spalle, di costruire un futuro nuovo partendo dal presente, da ciò che è e non da ciò che è stato.

Jim, come la moglie di Lot, non ha mai smesso di guardarsi indietro e, come una statua, si è lasciato scivolare tutta la vita addosso in attesa che ritornasse quell’attimo, che il passato ritornasse a riempire i suoi polmoni e non più solo i suoi occhi.

 

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