Isaac Asimov: il machine learning prima che fosse mainstream

Asimov

Per scrivere questo articolo è stato fondamentale il confronto con Tommaso Cavandoli, System Application Engineer presso un’azienda che si occupa di programmazione e integrazione di robot industriali. 

 

Quando si parla di scrittori di fantascienza che scrivono di robot, Isaac Asimov è certamente il primo nome che viene in mente.

Tutti conosciamo il nome di Asimov, anche chi ha letto solo un paio di suoi racconti, magari a lezione di inglese al liceo, o chi si è limitato a guardare L’uomo bicentenario con Robin Williams e Io, robot con Will Smith. Meno persone sanno che Asimov è stato anche un grande divulgatore scientifico, nonché vicepresidente del Mensa, associazione con cui però ebbe sempre un rapporto conflittuale a causa dei metodi e, soprattutto, dell’arroganza dei mensani. Il suo QI si aggirava attorno al 160.

Nato in una famiglia di ebrei russi nel 1920, all’età di 3 anni Isaak Judovič Azimov emigra a New York con i genitori. Pubblica a 18 anni il primo di una lunghissima serie di racconti su una rivista di fantascienza e, parallelamente, si dedica alla carriera accademica. Nel 1948 ottiene un Ph.D in biochimica. Quando muore, nel 1992, si lascia alle spalle oltre 500 libri tra fiction e saggistica, scritti di proprio pugno o curati, e un archivio stimato di oltre 90.000 lettere e cartoline.

Tutti i miei robot è il libro in cui Asimov raccoglie 30 racconti precedentemente pubblicati su rivista in un arco temporale di oltre 35 anni, dagli anni Quaranta ai Settanta. Leggere oggi questa raccolta fa uno strano effetto per diversi motivi. Innanzitutto è un tipo di fantascienza molto diversa da quella a cui siamo abituati oggi: mancano la spettacolarità e le scene di azione a cui ci hanno abituati le grandi saghe fantascientifiche come Star Wars, ma mancano anche le atmosfere inquietanti che spesso sfociano nell’horror di Black Mirror o di capolavori cyberpunk come Ghost in the Shell. I robot di Asimov ci parlano innanzitutto di loro stessi e la domanda che dobbiamo porci leggendo i suoi racconti non è solo“cosa rappresentano i robot in questa storia?”, quanto “come funzionano?”. Non per nulla Asimov è considerato il padre della robotica, termine che ha coniato lui stesso e che successivamente è stato adottato dalla comunità scientifica.

Isaac Asimov tutti i miei robot

I protagonisti dei racconti di Asimov sono uomini di scienza e tecnici, e non secondo l’archetipo dello scienziato-avventuriero à l’Indiana Jones. I personaggi che tornano più spesso nei diversi episodi di Tutti i miei robot sono per lo più impiegati della U.S. Robots and Mechanical Men Corporation, multinazionale americana che nell’universo di Asimov detiene il brevetto esclusivo del cervello positronico, la tecnologia per costruire robot intelligenti. Abbiamo Susan Calvin, una sciatta signora di mezz’età incapace di provare interesse per gli esseri umani e concentrata unicamente sul suo lavoro di robo-psicologa. E abbiamo il duo di tecnici collaudatori Greg Powell e Mike Donovan che più volte si ritrovano obbligati dalle circostanze a salvare il mondo, ma a cui l’unica cosa che interessa davvero è non perdere un comodo posto di lavoro e potersi concedere una lunga vacanza al termine di ogni missione.

Perdendo di rilevanza la caratterizzazione dei personaggi, l’intreccio e l’aspetto avventuroso, il focus si sposta tutto sull’esercizio mentale della speculazione scientifica. In ogni capitolo, partendo da solide basi fantascientifiche che restano fisse in (quasi) tutti i racconti, come ad esempio le tre famose leggi della robotica, Asimov invita il lettore ad armarsi di ragionamento logico per imparare qualcosa di più non solo sul mondo fittizio da lui costruito, ma sulla robotica. È davvero sorprendente la quantità di temi oggi attualissimi nel campo degli studi sulle intelligenze artificiali di cui Asimov parlava già 50 o 60 anni fa, tanto che a volte si ha l’impressione che la forma narrativa sia solo una scusa per parlare di robotica ad un pubblico più ampio. Eccone alcuni esempi:

Reti neurali

neural network

Come abbiamo già accennato, il “cervello positronico” è la tecnologia su cui si basa l’intelligenza dei robot di Asimov. Anche se non sappiamo esattamente come questo dispositivo funzioni dal momento che non viene mai descritto dettagliatamente all’interno dei racconti, alcuni dettagli lo avvicinano alle cosiddette reti neurali. Le reti neurali sono modelli matematici che si ispirano alle reti neurali degli organismi biologici, impiegate nell’ambito delle intelligenze artificiali e machine learning. Come avviene all’interno di una rete neurale biologica, le reti neurali artificiali elaborano le informazioni immesse dall’esterno (per il cervello umano attraverso i sensi) in parallelo e distribuiscono l’informazione nei diversi nodi della rete, anziché in una memoria centrale.

Il cervello positronico dei robot di Asimov non viene semplicemente programmato per svolgere una determinata funzione ma, in anticipo di parecchi anni sui tempi, ha la facoltà di imparare e modificarsi in base alle informazioni che elabora dal mondo esterno. Ancora più sorprendente il fatto che questo processo di apprendimento risulti estremamente simile a quello umano. Questo appare con chiarezza in racconti come Lenny, del 1957, che racconta la storia di un esemplare difettoso del nuovo modello di robot LNE (per gli amici Lenny), destinato a lavorare nelle miniere di boro della fascia degli asteroidi. A causa di un difetto di fabbricazione, il cervello positronico di Lenny risulta gravemente danneggiato, rendendolo inadatto al lavoro. Gli uomini della U.S. Robots and Mechanical Men Corporation sono già pronti a distruggerlo, quando la robo-psicologa Susan Calvin si oppone e decide di prendere l’automa difettoso sotto la sua ala protettrice. La scienziata è l’unica a capire che la soluzione per rendere Lenny “funzionante” non sta nel cercare di riparare l’errore inscritto nel suo cervello, ma nel guidarlo, come un bambino, per insegnarli un nuovo modo di relazionarsi col mondo.

Machine learning

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Il machine learning (o apprendimento automatico) è il metodo attraverso cui un’intelligenza artificiale riesce a migliorarsi progressivamente grazie a modelli matematici e statistici.

Nell’episodio di Black Mirror Torna da me, la protagonista riesce a creare un A.I. con la personalità del suo defunto compagno dando “in pasto” alla macchina chat, e-mail e registrazioni di telefonate dell’uomo: uno di quei casi in cui la Science Fiction riesce ad anticipare la realtà, come possiamo leggere in questo articolo di Wired.

Allo stesso modo il robot del racconto di Asimov Soddisfazione garantita, nutrito con riviste di moda e manuali di arredamento, si trasforma in un perfetto viveur che scatena la gelosia di tutte le vicine di casa della protagonista, una casalinga poco sicura di sé. Proprio come le intelligenze artificiali più avanzate, i robot di Asimov possono sfruttare l’enorme potenza di calcolo del proprio cervello positronico per digerire grandi quantità di informazioni, che si tratti di manuali di fisica, classici della letteratura mondiale, o frivole riviste da casalinga degli anni Cinquanta. Quello che Isaac Asimov non poteva immaginare nel 1951 era il modo in cui queste informazioni potevano essere fornite al computer.

Al lettore di oggi non può che far sorridere leggere di un robot che prende in mano un librone, si siede su una comoda poltrona e inizia a sfogliarlo con calma, fotografando con le camere nascoste nei suoi occhi prima una pagina e poi l’altra. Oggi le informazioni possono essere trasferite da un device all’altro con una velocità di decine di megabit al secondo… quasi 70 anni fa, invece, il meccanismo più veloce per immagazzinare informazioni che si potesse immaginare era quello di fotografare una pagina alla volta. Operazione comunque sorprendentemente più veloce che leggere il libro da cima a fondo, come tutt’ora siamo costretti a fare noi esseri umani.

Big Data

big data

Altro tema molto di moda oggi, già ampiamente anticipato da Asimov nei suoi racconti. Elaborando quantità enormi di dati, le intelligenze artificiali di Tutti i miei robot sono in grado di trarre conclusioni inaspettate, scovando grazie alla statistica legami di causalità incomprensibili per la mente umana. Questo emerge chiaramente in Intuito femminile: uno dei racconti più divertenti e più suggestivi della raccolta, non solo per la struttura della storia e per il processo logico-deduttivo che porta alla risoluzione del “caso”, ma anche per il modo inaspettato in cui il tema della femminilità viene introdotto e sviluppato. Nella letteratura di Asimov i personaggi femminili non abbondano e, quando appaiono, vengono relegati a precisi stereotipi, come nel caso della casalinga di Soddisfazione garantita.

La robo-psicologa Susan Calvin è un’eccezione, ma nella maggior parte delle sue apparizioni il suo personaggio appare talmente freddo e distaccato da finire per risultare asessuato, più vicino ad una macchina che a una donna. In questo racconto del ’69, invece, Clinton Madarian, il discepolo proprio di Susan Calvin, decide di creare un inedito robot donna. Questo robot non solo dovrà avere voce e fattezze femminili ma, come è facile immaginare dal titolo, dovrà essere dotato di “intuito femminile”. Un tipo di “intuizione”, però, che non ha nulla a che fare con l’istinto o la casualità, ma che è generato dalla capacità di analizzare e mettere a confronto una quantità di dati giganteschi, per trovare legami inaspettati e formulare deduzioni geniali. In poche parole: big data.

Reti antagoniste generative

Asimov

Nel racconto Che tu te ne prenda cura, per risolvere un problema apparentemente insormontabile, cioè fare accettare agli esseri umani le macchine al di là delle loro irrazionali paure, uno scienziato crea il robot con il cervello positronico più avanzato che sia mai stato costruito e gli fornisce informazioni su tutto lo scibile umano. Il robot impara in fretta ed elabora questa immensa mole di informazioni, ma poi si rende conto che per arrivare ad una conclusione gli manca ancora qualcosa: un suo pari che possa validare o smentire le sue tesi. Chiede quindi al suo creatore di costruire un secondo robot, esattamente identico a sé.

Quella di creare due A.I. e di metterle a confronto, come i due partecipanti di una discussione, è una pratica comunemente utilizzata per rendere gli algoritmi più efficienti. Un’applicazione, ad esempio, è nel campo dell’arte generata dalle intelligenze artificiali. Alla prima A.I. vengono forniti dati su tutti i quadri di un determinato artista o periodo storico, con il compito di produrre un nuovo quadro che si avvicini il più possibile a quello stile. La seconda A.I. ha il compito di capire se l’opera d’arte che gli viene sottoposta è il frutto del lavoro umano o di un’altra intelligenza artificiale. La prima A.I. viene premiata quando riesce ad ingannare la seconda, facendo passare il suo lavoro come l’opera di un essere umano, la seconda quando scova un falso, cioè quando riconosce correttamente il lavoro che le viene sottoposto come il prodotto di un algoritmo. Le due A.I., in questo modo, si migliorano reciprocamente, diventando sempre più brave ad ingannarsi. Il risultato sono quadri sempre più umani.

A volte, tuttavia, questo tipo di processo può portare a risvolti inaspettati. Alla fine del racconto di Asimov, le due A.I. riescono effettivamente a elaborare una strategia a lungo termine per fare in modo che gli umani accettino i robot. Ma allo stesso tempo escogitano anche un piano segreto, che si realizzerà solo molti secoli dopo, quando il loro creatore sarà già morto da tempo ma loro continueranno ad esistere… Casi altrettanto inquietanti esistono anche nella realtà.

Complesso di Frankenstein

Opera creata da un'intelligenza artificiale
Opera creata da un’intelligenza artificiale

Interfacce vocali, fuzzy logic, la creazione di algoritmi talmente avanzati da decidere il destino dell’umanità… la quantità di tematiche anticipate da Isaac Asimov decenni fa e al centro del dibattito scientifico solo oggi, più di mezzo secolo dopo, è sorprendente. Ma la visione premonitrice di questo prolifico scrittore non si limita alle sole innovazioni scientifiche: egli è riuscito ad anticipare anche il dibattito etico e filosofico generato da queste innovazioni. Con il termine “complesso di Frankenstein” Asimov identifica la paura degli esseri umani per i robot che infatti, anche all’interno dei suoi racconti, risultano spesso rifiutati dalla società e costretti ad operare in campi limitati e sotto la stretta supervisione umana.

Questo timore si riferisce però a due sentimenti molto diversi. Da una parte, alla fobia irrazionale dell’essere umano per la macchina antropomorfa, il mostro artificiale con cui lo scienziato sovverte l’ordine naturale e sfida Dio, proprio come nel caso del mostro di Frankenstein creato da Mary Shelley da cui il complesso prende il nome. Lo scrittore, attraverso le parole dei suoi personaggi, etichetta questa paura come sciocca e irrazionale, frutto dell’ignoranza e del naturale terrore per l’ignoto degli esseri umani. Ma, dall’altra parte, Asimov è anche consapevole di un secondo tipo di paura del robot, basato invece su osservazioni assolutamente razionali. Si tratta dello spettro della piena automazione, della possibilità che un giorno le macchine diventeranno talmente efficienti da rendere il lavoro umano obsoleto.

Che lo sviluppo tecnologico cambierà profondamente il mondo del lavoro e che molte professioni spariranno nel prossimo futuro è ormai una certezza. La possibilità che questi cambiamenti ci obbligheranno a ripensare l’idea stessa di lavoro e, in generale, il sistema capitalistico è una possibilità discussa da molti autori contemporanei, ad esempio dal filosofo Franco Bernardi (Bifo) nel suo ultimo libro, Futurabilità. Sicuro è che queste trasformazioni già in atto genereranno un forte rigetto della tecnologia da parte della società lo abbiamo visto nel 1779, quando il giovane Ned Ludd si gettò contro un telaio meccanico per distruggerlo in segno di protesta contro la rivoluzione industriale.

La risposta di Asimov è la stessa di diversi pensatori contemporanei, come è possibile ascoltare in questa interessante intervista del ’91. È vero che molti lavori non esisteranno più, ma questa non deve essere vista come una minaccia, ma come una opportunità. I lavori che spariranno saranno quelli ripetitivi, noiosi e logoranti, quei lavori che una macchina può svolgere sempre uguali all’infinito, senza stancarsi e senza calare in efficienza. In questo modo gli esseri umani potranno dedicarsi ad impieghi più alti, tutto ciò che richiede l’utilizzo dell’immaginazione e del pensiero creativo, un tipo di intelligenza di cui un computer è sprovvisto.

Le macchine permetteranno l’emancipazione dell’umanità dal lavoro manuale e la guideranno verso un futuro radioso senza povertà e senza guerre, come quello descritto nel racconto Conflitto evitabile. E non ci resta che sperare che sia così. Perché se ci troviamo in un futuro diverso, un futuro in cui l’intelligenza artificiale riesce davvero a replicare, se non a superare, quella umana anche per quanto riguarda fantasia e creatività, allora potremmo essere davvero fottuti. Una linea temporale in cui le A.I. dipingono quadri, scrivono le sceneggiature dei film e arrivano perfino a comporre un canto di Natale.

Un futuro molto simile a questo, che nemmeno Asimov poteva immaginare.

 


In copertina: Illustrazione di Martina Trotta

Giovanni Luca Molinari
Giovanni Luca Molinari

Dopo avere studiato Humanities tra Italia e Germania, oggi lavoro a Milano nel campo della Comunicazione. Appassionato di lingue e letteratura, ma anche arti visive, anime, meme, giochi da tavolo... In questo momento sono particolarmente affascinato da come le domande del presente prendano forma in nuove e vecchie forme espressive.