La nostra folle, furiosa città: il primo romanzo di Guy Gunaratne

Guy Gunaratne La nostra folle, furiosa città

Melting pot è un termine preso in prestito dalla lingua inglese che definisce un gruppo eterogeneo di persone di diverse provenienze sociali e geografiche, religione e condizione, che convivono nella stessa area. Un calderone, un amalgama culturale, si potrebbe dire senza ricorrere ad altre lingue. E proprio questo crogiolo è l’essenza di La nostra folle, furiosa città, opera prima di Guy Gunaratne. Siamo nella periferia degradata di Londra, nei palazzoni di cemento dove convive gente che arriva da tutte le parti, “giamaicani, pezzenti irlandesi, nigeriani, ghanesi, indiani del Sud, bengalesi. Veri figlioli del Commonwealth, tipo. Persino gli squadroni arabi degli Emirati”. Ognuno con la sua storia e i suoi drammi.

Nei palazzoni vivono Ardan e Yusuf. Ardan è appassionato di musica, di rap, scrive le sue rime su foglietti e cerca la bellezza guardando giù dalla cima dei palazzoni, in quel posto squallido e disintegrato. Yusuf, detto Yoos, è il figlio dell’Imam, rispettato da tutti. Poi c’è Selvon, che nei palazzoni non ci vive, ma non lo dà a vedere. I tre, come gli altri ragazzi dei palazzoni, sopravvivono allo squallore giocando a calcio, che per loro significa gloria, e aggrappandosi saldamente ai loro amici, che chiamano fratelli. Intorno a loro scorrono le vite di altre persone, ciascuna con le sue miserie, come quella di Nelson, adesso costretto sulla sedia a rotelle e in balia della sua memoria. I pensieri lo riportano alla sua giovinezza, quando per la prima volta è stato ferito da quel paese. In quel periodo, quando ancora credeva di adorare quel posto, lesse su un muro una scritta: “KBW”, Keep Britain White, teniamo la Gran Bretagna bianca, al riparo dagli stranieri. Tre lettere che lo mettono di fronte alla cruda realtà, riempiendolo di vergogna.

La nostra folle furiosa città

Il mondo esterno scorre parallelo alle esistenze di Ardan, Yoos e Selvon, finché qualcosa cambia: un soldato viene ammazzato da un terrorista. L’assassino è uno come loro, che indossa le stesse scarpe da ginnastica e parla il loro stesso slang. Il terrorismo diventa così qualcosa di estremamente vicino. La polizia è sempre più presente intorno ai palazzoni e vengono organizzati cortei antimusulmani. Per quei ragazzi cresciuti nei palazzoni, per i quali i paesi d’origine sono lontani ricordi o addirittura nomi privi di una consistenza reale, questo evento segna una svolta. Capiscono che, pur considerando Londra la loro città, sono distanti dai nazionalisti tanto quanto lo sono dai terroristi.

Londra. Questa città contamina i suoi giovani. Se eri di queste parti lo sapevi eccome. Le nostre facce, tutte, erano pizzicate dal disincanto. […] Dalle parti di queste torri ci siamo cresciuti, quindi la lotta era l’eco ricorrente dei nostri discorsi, dei pensieri e delle azioni.

È lacerante vivere in un paese che non ricambia il loro amore, in una città che sentono come loro ma che li respinge.

Ognuno di noi era preso nello stesso vortice, tutti tenuti insieme dalle nostre piccole furie in quest’unica, folle, mostruosa e malata città.

L’intero romanzo è un vortice di emozioni e disincanto, e anche il ritmo della narrazione è veloce, costruito da frasi brevi, incalzanti, che trascinano in modo frenetico e incessante. Sicuramente l’originalità stilistica ha contribuito a far arrivare questo romanzo d’esordio tra i finalisti del prestigioso Man Booker Prize, ma non è unicamente questo aspetto a renderlo un grande romanzo. In un mondo in cui è così facile cadere nelle generalizzazioni e nelle semplificazioni, ci ricorda che la realtà è così variegata e multiforme che può capitare di sentirsi estranei da ogni classificazione e che in uno stesso luogo, anche nel più spietato e crudele, ci si può aggrappare alla fratellanza e convivere con altre infinite sfaccettature di umanità.

 


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Vittoria Pauri
Vittoria Pauri

Alla domanda “Qual è il tuo motto?" non avrei esitazione a citare una frase di Gandhi: il miglior modo per trovare se stessi é perdersi nel servizio degli altri. Le due cose di cui non posso fare a meno sono la curiosità di capire ciò che mi capita intorno e un quadernetto su cui scrivo tutto quello che mi passa per la testa e su cui colleziono frammenti di libri, poesie e conversazioni.