AVANGUÀRDIA: sf. [sec. XVI; dal francese avant-garde].
Fig., ogni movimento, scuola, corrente artistica o ideologica che si pone fuori della tradizione propugnando concezioni nuove e rivoluzionarie: letterato, scrittore d’avanguardia; pittura d’avanguardia.(Fonte: sapere.it)
Prima di approdare nel mondo artistico, il termine “avanguardia” era di uso militare, in quanto indica un reparto che precede un corpo di truppe in marcia, dalle funzioni difensive e di protezione. Dunque così come audaci erano i soldati in prima fila, così lo erano alcuni artisti del XX secolo. Infatti questi ultimi apportarono un rinnovamento, attraverso l’utilizzo di linguaggi artistici inediti, contrapponendosi alla cultura ufficiale; alimentati da ideologie politiche, misero in discussione la natura dell’arte e il tradizionale rapporto con la società.
Il primo ad utilizzare il termine “avanguardia” fu Charles Baudelaire, indicando ironicamente gli scrittori francesi di sinistra. Difatti a livello politico-ideologico venivano riconosciute come avanguardiste le correnti della sinistra radicale e anarchica, poiché si opponevano al senso comune e alla mercificazione dell’arte, proponendo una nuova visione alla società borghese.
L’intento era quello di uscire dalle istituzioni e di organizzare una contro-egemonia, che nell’ambito letterario significava sperimentalismo e “trobar clus”. Lo sperimentalismo si traduce con la ricerca di nuove forme d’arte, attraverso il sabotaggio dei canoni; mentre “la difficoltà del canto” si incarna nell’oscurità del significato, in quanto sempre più legato alla soggettività ma anche perché nello scopo sussiste la necessità di proporre un atto di lettura diverso, più profondo, nuovo, quindi meno fruibile ma maggiormente interattivo.
Quindi si tentava di organizzare un’istituzione alternativa, che non vedeva più il singolo isolato davanti alla scrivania, bensì un lavoro collettivo: un nuovo approccio inedito alla letteratura già dalla creazione. Infatti diversi sono stati gli individui che hanno aderito ad attività di gruppo, strutturando vari movimenti completi di manifesti.
Ognuno di loro apportò una rottura dei paradigmi in tutti gli ambiti intellettuali; talvolta utilizzando applicazioni tecnologiche e dunque codici scientifici o informatici: le leggi ottiche dagli Impressionisti, l’aviazione e l’elettricità dai Futuristi e la psicoanalisi dai Surrealisti.
Dunque la domanda sorge spontanea: come si sarebbero mossi gli avanguardisti durante il millennio in cui la tecnologia è protagonista?
A raccontarlo è Francesca Grosso, un’artista romana, studiosa di musica e di arte. Infatti è una flautista professionista diplomata in conservatorio e perfezionata negli studi musicali, nonché diplomata al liceo artistico e laureata in Arte e Scienze dello Spettacolo.
La passione per la pittura è di eredità paterna: un padre che dipingeva nel tempo libero e che sin da piccola l’ha educata alla serenità dei colori e dei pennelli, accompagnandola in una favola ad occhi aperti. Lei stessa parla della pittura come «qualcosa che esiste nelle mie mani da quando ne ho memoria, cresciuta come una pianta in un modo che non saprei spiegare».
Dal 2017 ha incominciato a mostrare le sue creazioni tramite social: è nato così “Duemila voci”, un profilo che raccoglie i suoi progetti di arte calligrafica.
Infatti Francesca presenta in un nuovo codice la tecnica avanguardista del calligramma. Quest’ultimo ha radici antiche, risalenti al periodo ellenico (nominato allora “carme figurato”), ma caratterizzò una sfumatura dell’arte cubista nel momento in cui il poeta Guillaume Apollinaire ne fece la sua creazione principale. Dunque un connubio tra poesia e disegno, che infrange i confini tra le discipline; così l’artista romana ci presenta il progetto “Ritratti di Parole”, ossia volti di uomini e di donne che hanno contribuito a rendere il mondo un posto migliore.
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Tuttavia, l’avanguardia non si ribella soltanto ai dettami stilistici, bensì diviene un grido di rivolta alle atrocità terrene: nel corso del tempo i movimenti hanno attuato cambiamenti pratici nella società e nella politica. Anche nel 2020 le tecniche avanguardiste offrono una potenza comunicativa attiva e “Voci della Quarantena” e “L’urlo di Penelope” ne sono la dimostrazione.
Infatti il progetto “L’urlo di Penelope” racchiude l’esperienza del genere femminile tutto, delle discriminazioni che ha dovuto subire e del coraggio con il quale le ha dovute affrontare. Ognuno scrive la propria esperienza, ognuno lancia il proprio grido, che una grande tela racchiuderà. Mentre “Voci dalla Quarantena” è la vetrina dei sogni, delle speranze e degli sfoghi di chi ha vissuto il lockdown.
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Adesso come allora l’azione avanguardista ha gli stessi scopi, a cambiare sono la società, il contesto e i codici comunicativi. Quindi quale interazione c’è tra loro? Come si è sviluppata quest’arte nell’arco del tempo? A rispondere ai quesiti è stata la stessa Francesca Grosso in questa intervista:
Secondo la tua esperienza e i tuoi studi, quale evoluzione ha vissuto la tecnica avanguardista del calligramma? Come si sono sviluppate le avanguardie nel tempo?
Il calligramma nel tempo ha avuto quasi sempre la funzione di sfidare le potenzialità stilistiche della poesia, sperimentando nuove forme poetiche – nel caso degli antichi Greci del periodo ellenistico – superando le convenzionali frontiere linguistiche del simbolismo e del sentimentalismo in nome del progresso e della rapidità – nel caso di Apollinaire e del cubismo visuale. Nel momento in cui si crea una forma più o meno complessa di assemblaggio delle parole, immagino avvenire una sorta di dissacrazione del linguaggio precostituito, che porta ad esplorare nuove maniere di comunicare e stabilire fruizioni alternative.
Nel mio caso, il calligramma è nato inizialmente come gioco, come un semplice esercizio di stile ispirato dall’arte calligrafica araba, da alcuni madrigali del ‘500 e, per vie traverse, dalla musica contemporanea; ma guardando indietro riconosco soltanto i miei primi disegni come esercizi autoreferenziali: fin da subito ho pensato alla scrittura visuale come un gesto simbolico di riflessione sul tempo e sul rapporto con l’alterità, in relazione ai tempi che stiamo vivendo.
Mi sento molto vicina alle tematiche avanguardiste e neoavanguardiste per quel che concerne la sovversione dei limiti comunicativi tradizionali nella società di massa, la critica del potere e dei sistemi istituzionali, la riflessione sui rapporti arte-comunicazione, arte-cultura e arte-linguaggio, la ricerca di uno stato di autenticità dell’essere umano, il cambiamento e la sperimentazione di nuove modalità di fruizione dell’opera.
Tuttavia non potrei riconoscermi in nessun tipo di movimento chiuso che faccia capo ad un manifesto: mi darebbe l’impressione di fare della burocrazia e quindi contraddirmi nell’intera ricerca artistica. Uno degli obbiettivi che spero di raggiungere rispetto alla fruizione è la stimolazione del pensiero e del ragionamento, dell’empatia, dell’immedesimazione e del senso utopico di formazione di una sorta di autocoscienza.
Abbraccio l’idea dell’opera d’arte creata dalla partecipazione collettiva, ma senza stabilire contratti di appartenenza ad un manifesto di intenzioni: queste possono essere mutevoli e molteplici e stabilendo un codice assoluto potrei limitarne le inevitabili evoluzioni e la spontanea partecipazione delle diversità che invece desidero valorizzare.
Probabilmente sarebbe presuntuoso da parte mia pensare di poter fare di me stessa un movimento nell’accezione delle avanguardie: il movimento esiste ma come attività instancabile di pensiero e azione non come istituzione a cui dover rendere conto.
Mi sembra che la scrittura oggi stia diventando quasi una materia fossile in via di estinzione. Attraverso il gesto lento della scrittura spontanea in corsivo, in un’epoca così avversa alla riflessione ponderata, sento di ricongiungermi con il tempo. Nel dedicarmi con minuziosità quasi psicotica alla raccolta e alla riscrittura dei pensieri di qualcun altro mi sembra di creare uno spazio di presenza e di ascolto, di modellare e dare forma ai pensieri, di dare alle parole volto umano, una trama, un ritmo respiratorio di vita, di memoria, di tempo.
Cosa rende tanto efficace questa espressione da poter sussistere ancora?
Risponderò anche qui come portavoce dei miei pensieri più che come testimone di un movimento. A differenza del passato credo che vari per motivi, nonostante l’esistenza dei social, sia più difficile creare aggregazioni di artisti mossi da ideali e da talenti comuni.
Credo che la forza espressiva che resiste al soffocamento culturale rimanga potenzialmente invariata da parte di molti artisti a livello individuale, ma è continuamente e pericolosamente minacciata dai medium di massa che, attraversando ogni nuova piattaforma tecnologica, hanno interesse a depotenziare e appiattire ogni desiderio di stravaganza e reale ribellione ai canoni stabiliti dalle forze di potere dominanti.
Ultimamente la repressione culturale avviene attraverso la sua banalizzazione, l’umiliazione dei luoghi della cultura e di tutte le figure umane e professionali che producono cultura. Poter anche solo immaginare diversamente il mondo e sviluppare un pensiero proprio, libero, diventano concetti inutili e astratti in mancanza di strumenti di discernimento. Credo che coltivare la curiosità, l’inclinazione a formulare le domande, lo studio approfondito per cercare le risposte, la fantasia, permetterebbe di uscire dalla grotta dei linguaggi per induzione, dei pensieri preconfezionati dall’iper-informazione, di uscire dall’illusione di conoscenza, e dall’ignoranza riconosciuta come valore.
Purtroppo, per avere potenza comunicativa, qualsiasi gesto deve essere inserito negli stessi meccanismi tecnologici e frenetici che l’azione stessa critica. Oggi sarebbe impensabile non fare dei social uno strumento di divulgazione e di condivisione.
La portata del gesto artistico avrebbe la potenzialità di essere esplosivo attraverso l’uso dei social, ma al tempo stesso subisce il pericolo dell’appiattimento del flusso spietato di cui sopra, in cui inevitabilmente si inserisce, flusso in cui nulla sembra vero e nulla sembra falso e ogni cosa ha la stessa importanza. La cosa meravigliosa è che in passato gli artisti non dovevano fare i conti con tutto questo – hanno sicuramente avuto altri problemi, ma il gesto artistico era nitido e indiscutibile all’interno delle avanguardie.
In passato le avanguardie reagivano alle guerre mondiali, come trattano ora una tragedia storica causata dall’epidemia del covid-19?
Io credo che ogni gesto artistico autentico sia una reazione a qualcosa di interno e/o esterno. Le avanguardie reagivano all’oppressione, alla guerra, alla fame, all’abbondanza, alle società, alle crisi. Nel caso di voci dalla quarantena la mia reazione è stata dettata dalla necessità di rimediare alla distanza e all’isolamento fisico e psicologico che si stava creando nello stato d’eccezione durante la pandemia. Tutto il mondo di ciascuno si era ridotto a una stanza (ben che andasse), a una casa, a pochi metri quadri di solitudine o di affollamento. Chiusi, lontani da parenti sofferenti, da amici in difficoltà, nella difficoltà propria di continuare a vivere e sopravvivere, di lavorare nel pericolo o di non lavorare, di curarsi o di non contagiarsi, ognuno nella particolarità delle proprie situazioni.
Avevo bisogno di sapere che la gente continuasse a ragionare ed esprimersi e volevo la prova che si potessero creare delle connessioni autentiche nonostante tutto. Mi sono accorta da subito che si trattava di un gesto necessario per me e per tanti altri. Mi sono stupita nel veder nascere grandi energie, commoventi rapporti di confidenza e di amicizia a distanza. Persone che al di là dei testi inviati per i disegni, hanno sentito di potersi confidare con me, che avevano bisogno di essere pensate, di sfogarsi o di sorridere.
Ho capito che il contatto umano si sviluppa a livelli che possono andare oltre il contatto fisico tra persone, e che di questo c’è grande necessità. Non saranno di certo tre mascherine a fermare il pensiero e la capacità di restare umani, se abbiamo la capacità di ricordare e ragionare. Ho capito che nel caos dell’informazione, del vero/falso, l’unico rimedio è non interrompere il ragionamento, la capacità di ascoltare , di esprimersi e mantenere i tempi lenti, dedicare e dedicarsi il proprio tempo e ho capito che la partecipazione è qualcosa di importantissimo.
Infine l’arte avanguardista è solita criticare i dettami della società, cosa rivendica oggi?
L’urlo di Penelope rivendica una voce più umana della Storia. L’uomo ha sempre creato categorie e classifiche. Il potere si è sempre stabilito con la violenza quasi a fare della violenza un vezzo; se puoi esercitare la violenza allora puoi esercitare potere. Mi sono chiesta: se la Storia è la storia dei poteri che si succedono con il sangue, come suonava la voce di chi non ha mai avuto potere o voluto esercitare la violenza?
Ho scelto Penelope come esempio di un personaggio epico, simbolico, la cui voce umana è stata senza dubbio deformata dalla funzione della storia dell’eroe. Ho immaginato i suoni delle voci inascoltate della storia come urli secolari, dirompenti, sgraziati. Occupandomi del nostro tempo ho deciso di raccogliere le testimonianze di tutti quei gruppi di persone rinchiusi dal potere in definizioni categoriche anche arbitrarie. Questa volta i disegni sono pensati per formati molto grandi e realizzati a seguito di raccolte di pensieri e storie in performance dal vivo.
Per concludere, le tecniche avanguardiste rivivono nell’epoca digitale, mutano allo svilupparsi delle innovazioni tecnologiche.
Ad esempio la pratica cubista del collage nel Novecento era prodotta attraverso la sovrapposizione di carte, fotografie e ritagli di giornale; mentre nel nuovo millennio viene creato totalmente in maniera digitale, senza colla né forbice, nelle illustrazioni dell’artista tedesca Catrin Welz-Stein.
Lo stesso accade con metodologie dadaiste che incontrano codici comunicativi contemporanei. Infatti caratteristica del dadaismo è la distruzione da parte di una generazione che credeva che il mondo avesse fallito: la reazione brutale contro le assurdità della guerra nel Novecento, il rifiuto delle crudeltà e delle ingiustizie della società negli anni 2000.
Dunque come vennero danneggiati i capolavori classici e stravolti i canoni di bellezza estetica nell’opera L.H.O.O.Q. di Marcel Duchamp, così vengono stravolti e parodiati pezzi di arte o eventi di vita quotidiana e politica nelle illustrazioni del brasiliano Butcher Billy. Quest’ultimo fonde i suoi studi da graphic designer con la pop art, proponendo opere digitali stravaganti.
Lo stesso percorso venne affrontato dal misterioso Banksy durante l’autodistruzione dell’opera The Girl with the Balloon: un moderno meccanismo all’interno della cornice ha fatto sì che l’opera potesse triturarsi durante l’asta, sconvolgendo l’opinione pubblica e quindi diventando virale sul web. Anche in questo caso l’utilizzo dei social network diviene fondamentale per la fruizione dell’arte.
Dunque avanguardia nel 2020 significa provocazione e tecnologia, ma anche critica e sovversione sociale: carica di importanti messaggi etici, rivendica un mondo migliore.
Insegna che «leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto», come diceva Italo Calvino.