Gli Stati Uniti e l’espressionismo astratto: una nuova potenza

New York, Stati Uniti, una nuova potenza

Recentemente ho avuto occasione di analizzare un aspetto molto particolare e curioso dell’arte del secolo scorso, ossia il modo in cui la politica ha influenzato l’arte e la vita degli stessi artisti.

Ovviamente arte figurativa e potere politico non sono mai stati due mondi molto separati, e tanto meno il fenomeno è nato solamente a partire dai primi anni del Novecento: sin dalle origini, infatti, l’una è stata inevitabilmente legata all’altra diventando tramite di messaggi ideologici e politici.

Proprio per il fatto di essere argomento così vasto non basterebbe un ciclo di articoli per esaurirlo in tutte le sue sfaccettature. Tuttavia, in quanto appassionata di arte contemporanea, ho trovato interessante potermi soffermare su un aspetto a mio avviso poco conosciuto: il legame tra Espressionismo astratto, corrente artistica fiorita a seguito della seconda guerra mondiale negli Stati Uniti, e la Central Intelligence Agency meglio nota come CIA.

Nell’affrontare tale argomento in cui inevitabilmente si trovano a dialogare fra loro arte, storia e politica, la mia unica finalità è quella di poter dare uno spunto per riflettere sul ruolo dell’arte e degli stessi artisti in una prospettiva diversa dal solito; tenendo sempre presente che ieri come oggi, l’artista in quanto persona non è mai estraneo a ciò che accade nel mondo ma ne è parte attiva e molto spesso utilizza quello stesso linguaggio figurativo per essere partecipe della vita politica e sociale.

Per capire le dinamiche che hanno portato New York negli anni Cinquanta a diventare la capitale indiscussa dell’arte surclassando Parigi, occorre fare un breve cenno storico partendo proprio dal 1956.

Mark Rohtko
Mark Rohtko, Untitled 1952-53

L’anno in questione infatti segna una svolta in quanto appare chiaro come il mondo fosse definitivamente diviso in due grandi aree di influenza, da un versante i russi che ristabilirono l’ordine del socialismo e dall’altro gli americani.

All’interno di questa nuova suddivisione, anche il mondo dell’arte si trovò a dover identificare un nuovo centro che inevitabilmente non poteva essere più identificato in Parigi[1].

Già a partire dal Seicento e dal Settecento, la Francia si era affermata come una grande potenza dominante in Europa, ma a dare la svolta che avrebbe incoronato Parigi capitale mondiale dell’arte moderna era stato Napoleone, consapevole del fatto che a un’egemonia politica dovesse seguirne anche una culturale. Il suo più grande investimento in questo senso, fu la raccolta di opere d’arte, perlopiù requisite nel corso delle campagne militari in Europa, che fecero del Musée Central des Arts, che aveva sede al Louvre, uno dei più importanti musei al mondo[2].

È nell’era napoleonica che l’artista per la prima volta iniziò ad affrancarsi dalla committenza, ampliando la scelta dei soggetti da rappresentare e non fu più costretto a muoversi in un contesto regolato da ordini, divieti, provvedimenti, come invece avverrà anni dopo nell’Unione Sovietica di Stalin e nella Germania di Hitler.

Nel 1934 l’Unione Sovietica affermò infatti che il Realismo socialistaEsige dall’artista una descrizione veritiera, storicamente concreta della realtà nel suo sviluppo rivoluzionario”, mentre nella Germania di Hitler veniva definita “Arte Degenerata” qualunque espressione artistica che non rispondesse ai canoni imposti dal regime[3].

Proprio in questo contesto, mentre anche in Italia e in Spagna la libertà di espressione subiva pesanti limitazioni, emerse New York come nuova capitale dell’arte.

Gli stati Uniti hanno imposto all’Occidente, attraverso una serie di meccanismi federali efficaci quanto i loro meccanismi economici, un insieme di valori culturali propri, con la stessa determinazione con la quale l’URSS ha imposto, non solo al popolo russo ma anche ai popoli europei del blocco sovietico, i valori ideologici del realismo socialista, con la violenza in più.

(Jean Clair, Critica alla modernità, Allemandi, Torino, 1984, p.47)

Foto dell'Armory Show negli Stati Uniti del 1913, A sinistra è riconoscibile il Gruppo mobile di Brancusi
Foto dell’Armory Show del 1913, A sinistra è riconoscibile il Gruppo mobile di Brancusi

Ciò che produsse un’effettiva distinzione tra arte americana ed europea prese avvio proprio a New York a seguito dell’Armory Show nel 1913, una grande fiera d’arte che, su modello dei Salon parigini, permise agli artisti di esporre liberamente.

Il dibattito a seguito di tale fiera e a come essa avrebbe dovuto testimoniare l’autonomia o addirittura la supremazia dell’arte americana su quella europea, divenne un punto fermo anche per la politica americana.

Il ruolo giocato in questo progetto dalle grandi famiglie imprenditoriali fu fondamentale e il lustro che esse ottennero legando il proprio nome alle più prestigiose istituzioni museali e culturali statunitensi non è da sottovalutare: furono infatti proprio questi privati a finanziare economicamente i grandi musei americani che sarebbero diventati il moto propulsore della politica legata alle arti figurative. Basti pensare al legame tra la famiglia Rockefeller e il MoMa, o al peso avuto dalla famiglia Guggenheim nella fondazione di quello stesso museo newyorkese e di molti altri, che recano il loro nome[4].

Ma quali sono stati quindi i passaggi successivi che hanno spinto moltissimi studiosi ad attestare che ci fosse un effettivo legame tra il successo internazionale degli Espressionisti astratti e la CIA? Perché si può parlare di Espressionismo astratto come un’arte di matrice ebraica? È giusto chiedersi fino a che punto l’intervento della politica abbia inciso sulla valutazione di alcuni linguaggi artistici piuttosto che di altri?

Sono questioni complesse che molto hanno fatto discutere, questioni sulle quali si sono espressi moltissimi pensatori e che nei prossimi articoli cercheremo di affrontare molto semplicemente, cominciando proprio con l’approfondire quella stessa corrente artistica, l’Astrattismo, che tanto ha affascinato, dai suoi colori, dal suo modo diverso di considerare la tela, alle personalità che la animarono e la fecero conoscere al mondo.

 


Se l’articolo ti è piaciuto, leggi anche Le origini ebraiche dell’espressionismo astratto

Francesca Mavaracchio
Francesca Mavaracchio

Nata a Venezia nel 1992 e diplomata presso il liceo classico Marco Polo. Successivamente mi sono trasferita a Pavia dove ho conseguito la laurea in lettere moderne (indirizzo storico-artistico). Dopo la triennale ho scelto di spostarmi a Bologna per frequentare la magistrale in Arti Visive (indirizzo contemporaneo) dove tutt’ora studio. Il mio amore per l’arte contemporanea, è nato al liceo quando rimasi affascinata dall’opera di Lucio Fontana e dalle realtà che seppe costruire attraverso i tagli nelle tele. Da allora la mia curiosità verso il panorama artistico non si è mai esaurita, ed è stata in questi ultimi cinque anni il moto propulsore dei miei studi e delle mie passioni.