Jannis Kounellis: l’Arte Povera e l’espressività della materia

Jannis Kounellis

Il 1900 è quasi per definizione il secolo delle grandi ed innovative correnti artistiche: dalle cosiddette Avanguardie storiche della prima metà del secolo alle Neo-avanguardie di seconda generazione, vennero posti in totale discussione i canoni abituali dell’arte. Alcuni fra questi movimenti sovversivi nacquero e si diffusero proprio in Italia, ma l’unico che seppe guadagnarsi una visibilità internazionale fu quello teorizzato nel 1967 dallo storico dell’arte e curatore Germano Celant, noto con l’appellativo di “Arte Povera”.

Storicamente siamo negli anni di piombo, anni caratterizzati da un’estremizzazione della politica, delle lotte armate e delle grandi manifestazioni; anche nel campo delle arti visive questi decenni hanno rappresentato un momento di passaggio e di nuove necessità che si sono tradotte in una sorta di ricerca e indagine degli archetipi del linguaggio artistico. L’Arte Povera infatti propone semplicità nei contenuti e nei materiali, usa elementi primari e spesso di recupero, talvolta deperibili, attribuendo un significato artistico proprio alla fase di attuazione dell’opera e ponendosi oltretutto in un confronto serrato con movimenti artistici d’oltre oceano – come la Pop Art e la Minimal Art – legati maggiormente all’oggetto prodotto.

Pappagallo, 1967 arte povera
Pappagallo, 1967 arte povera

Arte Povera è un’espressione così ampia da non significare nulla. Non definisce un linguaggio pittorico, ma un’attitudine. La possibilità di usare tutto quello che hai in natura e nel mondo animale. Non c’è una definizione iconografica.

(Germano Celant, intervista a Repubblica del 7 maggio 2017)

Inizialmente non venne ritenuto un vero e proprio movimento, riprendendo le parole di Celant il gruppo era composto da 13 artisti – Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Mario Merz, Jannis Kounellis, Pino Pascali, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio – che lavoravano ciascuno nella propria città, con mezzi differenti, elaborando tuttavia tematiche simili. Ciò che li accumunava era piuttosto la possibilità di creare attingendo da un bacino comune: l’utilizzo di ogni materiale presente sul pianeta.

Nel ricorso a materiali poveri e definibili “antiartistici” (legno, pietra, terra, vegetali, stracci, plastiche, neon, scarti industriali), l’Arte Povera può essere quindi definita come una presa di coscienza delle infinite possibilità espressive racchiuse nella materia.

Arte Povera: Jannis Kounellis, Senza titolo, sedie
Jannis Kounellis, Senza titolo, sedie

Importantissima nella definizione di queste manifestazioni fu l’attività di alcune gallerie che diedero spazio e sostegno alla nuova ricerca – tra le più importanti troviamo a Torino la galleria Gian Enzo Sperone, la galleria Stein, la galleria Il Punto, la galleria LP 220, mentre a Roma la galleria L’attico e la galleria La Salita.

Fu proprio da uno di questi spazi espositivi che Jannis Kounellis (1936 – 2017) sconvolse il suo pubblico: nel 1967 alla galleria L’attico presentò infatti un pappagallo vivo che come sfondo aveva una lastra di metallo. L’intento era quello di far interagire una “struttura rigida”, ovvero la galleria emblema di una società chiusa e borghese, con una “sensibilità”, rappresentata in questo caso dall’animale.

Sulla stessa scia verterà anche l’esposizione del 1969 dove dei cavalli vennero inseriti nello spazio in questione al fine di rendere ancora più evidente tale contrapposizione.

I cavalli di Kounellis del 1969
I cavalli di Kounellis del 1969

Di origini greche ma romano di adozione, Kounellis, sin dagli anni ’60 divenne figura cardine nel panorama dell’Arte Povera, portando nei musei e nelle gallerie internazionali gli elementi di un mondo fatto di esseri viventi, prodotti del lavoro dell’uomo e di oggetti tratti dal quotidiano.

L’artista in realtà proviene dall’espressività tipica dell’Espressionismo astratto, affascinato dall’automatismo gestuale, seppe mescolare quel flusso alla sua esigenza comunicativa.

Se infatti la sua attenzione si rivolse inizialmente ai segni tipografici: quali frecce, numeri, lettere, inseriti su fondali bianchi, successivamente formulò un nuovo interesse per la materia e per gli elementi naturali. È all’interno di questa preponderante fase espressiva che la sua arte verrà pienamente enfatizzata.

Arte povra, Jannis Kounellis, senza titolo, 1959
Jannis Kounellis, senza titolo, 1959

Anche l’incontro tra i materiali non fu mai casuale o illogico, non ci sono valori onirici e inconsci, ma al contrario una precisa volontà compositiva: gli oggetti vengono congiunti come parole in un componimento andando a formulare un linguaggio innovativo e liberatorio.

In tutta la sua ricerca, attraverso tutti i materiali utilizzati e i significati ad essi attribuiti, Kounellis sviluppò una relazione tragica e personale con la cultura e la storia, prendendo le distanze da atteggiamenti aulici e reverenziali.

Affrontare in poche righe il poderoso lavoro di questo artista sarebbe pressoché un’impresa, tuttavia la Fondazione Prada sta per inaugurare la prima, ampia retrospettiva a due anni dalla sua scomparsa: la mostra sarà curata proprio da Germano Celant e aprirà l’11 maggio, nella sede veneziana della fondazione, a Palazzo di Ca’ Corner della Regina e sarà visitabile fino al 24 novembre 2019. Il progetto, sviluppato in collaborazione con l’Archivio Kounellis, riunirà 70 lavori dal 1958 al 2016. Un’ottima occasione quindi per presentare al pubblico le vicende artistiche ed espositive dell’artista evidenziando gli sviluppi fondamentali della sua intramontabile poetica.

Francesca Mavaracchio
Francesca Mavaracchio

Nata a Venezia nel 1992 e diplomata presso il liceo classico Marco Polo. Successivamente mi sono trasferita a Pavia dove ho conseguito la laurea in lettere moderne (indirizzo storico-artistico). Dopo la triennale ho scelto di spostarmi a Bologna per frequentare la magistrale in Arti Visive (indirizzo contemporaneo) dove tutt’ora studio. Il mio amore per l’arte contemporanea, è nato al liceo quando rimasi affascinata dall’opera di Lucio Fontana e dalle realtà che seppe costruire attraverso i tagli nelle tele. Da allora la mia curiosità verso il panorama artistico non si è mai esaurita, ed è stata in questi ultimi cinque anni il moto propulsore dei miei studi e delle mie passioni.