Frida Khalo

Frida Kahlo e i primi anni Trenta negli Stati Uniti d’America

Nel 1929 Diego Rivera, “colpevole” di aver accettato di dipingere un murale nel Palacio Nacional di Città del Messico, venne espulso dal Partito Comunista. Secondo il racconto di Baltasar Dromundo, fu lo stesso Rivera a presiedere la sua esclusione dal Partito:

Diego arrivò, si sedette, tirò fuori una grossa pistola e la mise sul tavolo. Poi la coprì con un fazzoletto e disse: «Io, Diego Rivera, segretario generale del Partito Comunista messicano, accuso il pittore Diego Rivera di collaborare con il governo piccolo borghese del Messico».

Nonostante l’espulsione dal Partito, Rivera rimase comunista e gli ideali marxisti continuarono ad essere il fulcro tematico delle sue opere: accettando incarichi affidatigli dal governo messicano e dai capitalisti nordamericani egli ebbe la possibilità di creare opere pubbliche destinate a glorificare il proletariato industriale.

Nel 1930 Frida e il marito partirono per San Francisco: Rivera era stato incaricato di realizzare alcuni murali nel club privato Stock Exchange Luncheon Club e alla California School of Fine Arts. Per Frida – che fino a quel momento aveva avuto modo di vedere solamente l’altopiano centrale del Messico – la città californiana, ricca di fascino e di bellezza scenografica, rappresentò un grande stimolo per la sua produzione artistica.

A questo periodo risale Frida e Diego: il famoso ritratto nuziale, dipinto un anno e mezzo dopo le nozze, si caratterizza per lo stile naif e popolare. Sull’angolo destro dell’opera appare un’iscrizione informativa, probabilmente ripresa dalla pittura coloniale messicana e rintracciabile in opere di entrambi i Rivera: «Ci vedete qui, io Frieda[1] Kahlo insieme al mio amato marito Diego Rivera. Ho dipinto questi ritratti nella bella città di San Francisco, California, per il nostro amico Mr. Albert Bender, ed era nel mese di aprile dell’anno 1931».

Frida Kahlo, Frida e Diego, 1931
Frida Kahlo, Frida e Diego, 1931

La raffigurazione del marito coincide con la descrizione fisica che Frida dà nel lungo saggio “Ritratto di Diego”, scritto anni dopo per il catalogo di una retrospettiva dedicata al muralista messicano: «La sua enorme pancia, liscia e tesa come una sfera, riposa su gambe forti, colonne bellissime, che finiscono nei grandi piedi che puntano ad angolo ottuso verso l’esterno come per abbracciare il mondo intero e sostenerlo invincibilmente sulla terra come un essere antidiluviano da cui emerge, dalla vita in su, un esempio di umanità a venire, distante da noi due o tremila anni». Nell’opera Frida ha l’aspetto di una giovane donna che, con orgoglio, presenta al mondo il suo nuovo compagno. Le mani intrecciate della coppia, collocate al centro della tela, suggeriscono l’importanza attribuita dall’artista al vincolo matrimoniale.

Nello stesso anno Diego Rivera venne contattato da William Valentier, direttore dell’institute of Arts di Detroit, per la realizzazione di alcuni lavori sul tema dell’industria moderna. Il muralista desiderava creare una rappresentazione dell’impero Ford, nel quale fossero presenti le sue convinzioni comuniste: «Marx ha fatto la teoria» scrisse Rivera «Lenin, con il suo senso dell’organizzazione sociale su vasta scala, l’ha applicata. E Henry Ford ha reso possibile il lavoro dello stato socialista».

Detroit al contrario, non entusiasmava Frida: «Questa città mi sembra un vecchio villaggio decadente» scrisse al dottor Eloesser[2] «Non mi piace affatto, ma sono felice perchè Diego ci lavora con grande allegria e ha trovato un sacco di materiale per gli affreschi […]. La parte industriale di Detroit è davvero molto interessante, il resto, come in tutti gli Stati Uniti, è brutto e stupido». Secondo Rivera, l’avversione di Frida per Detroit dipese soprattutto dalle sue condizioni fisiche. Nella città statunitense, l’artista messicana aveva saputo di essere incinta:

La questione più importante al momento […] è che sono incinta di due mesi, per questo ho rivisto il dottor Pratt; mi ha detto di conoscere le mie condizioni generali. Dato il mio stato di salute, pensavo che fosse meglio abortire. […] Per questa ragione adesso che sono nel mese giusto voglio sapere cosa ne pensa e fare quello che è meglio per la mia salute. Se crede che dovrei farmi operare immediatamente, le sarei grata se mi mandasse un telegramma.

(Frida Kahlo al dott. Eloesser)

Frida Kahlo, Ospedale Henry Ford, 1932
Frida Kahlo, Ospedale Henry Ford, 1932

Quando la risposta del dottor Eloesser arrivò, Frida aveva già deciso di continuare la gravidanza. Lucienne Bloch ricorda «Stava semplicemente sperando di essere incinta, così le dissi: “Hai visto il medico?” E lei: “Sì, ho un medico, ma mi dice che non posso fare questo, che non posso fare quello e sono tutte sciocchezze”. Non si faceva controllare come avrebbe dovuto». Frida perse il suo bambino dopo essere stata trasportata d’urgenza all’ospedale Henry Ford.

Ospedale Henry Ford è il primo di una serie di autoritratti sanguinari e terrificanti. L’opera si caratterizza per la sua qualità e potenza espressiva, come spiega lo stesso Rivera: «Frida cominciò a lavorare a una serie di capolavori che non avevano precedenti nella storia dell’arte; lavori che esaltavano le qualità femminili della resistenza alla verità, alla realtà, alla crudeltà, alla sofferenza. Mai fino ad allora una donna era stata capace di mettere sulla tela tanta disperata poesia».

Il letto d’ospedale, sul quale Frida giace nuda, sembra sospeso tra il blu intenso del cielo e l’immensa pianura spoglia. La pittrice, inizialmente, spiegò di aver dato al suolo il colore della terra con l’intenzione di esprimere un senso di isolamento e solitudine. Più tardi aggiunse: «La terra per me è il Messico, avere gente attorno […]; per questo mi fu d’aiuto, quando non avevo nulla, mettermi della terra attorno». Il corpo dell’artista, rappresentato senza ritocchi e abbellimenti, appare ancora gonfio per la gravidanza. Frida stringe contro il ventre sei nastri rossi ai quali sono legati sei oggetti, simboli delle sue emozioni al momento dell’aborto.

Ospedale Henry Ford fu anche il primo dipinto realizzato su metallo, nel quale l’artista – probabilmente su suggerimento di Rivera – prese chiaramente a modello, per stile, soggetto e scala, i retablos[3] messicani. Le opere di Frida, infatti, si caratterizzano per la presenza di immagini simboliche, per il disegno dettagliato e per l’uso di colori eccentrici. La narrazione, chiaramente leggibile e drammatica, presenta un’obiettività da cronaca. Questo tratto folkloristico, unito comunque ad una notevole competenza iconografica, portò Breton a considerare Frida un’esponente del surrealismo.

Frida Kahlo, Autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti, 1932
Frida Kahlo, Autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti, 1932

In Autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti (1932) il sole e la luna, raffigurati sul lato sinistro dell’opera, appaiono per la prima volta insieme. Tale giustapposizione, destinata a diventare uno dei simboli più potenti dell’opera dell’artista, rappresenta l’idea di dualità (vita-morte, luce-buio, passato-presente) propria della cultura azteca e messicana.

La bandiera statunitense fluttua all’interno di una nuvola di fumo industriale: la scena è dominata dalle fabbriche e dai grattacieli, tipici del mondo moderno, rappresentati in netto contrasto con la visione che Frida conservava dell’antico Messico agrario e contadino, nel quale desiderava tornare: «Se devo dirle la verità» aveva scritto al dottor Eloesser in luglio «no me hallo [qui mi trovo a disagio]! Ma devo fare leva sul mio coraggio e rimanere perché non posso lasciare Diego». Frida fu successivamente costretta a lasciare la città statunitense, in seguito alle condizioni di salute della madre. In questa fase si colloca probabilmente la realizzazione dell’opera La mia nascita, iniziato prima del viaggio in Messico e completato solo dopo il ritorno a Detroit.

Carmen Frida Kahlo Rivera è una pittrice a pieno titolo, anche se pochi lo sanno. «No» spiega lei. «Non ho studiato con Diego. Non ho studiato con nessuno. Ho semplicemente cominciato a dipingere». Gli occhi cominciano a brillare «Naturalmente» spiega «per essere un ragazzino se la cava bene, ma il grande artista sono io». Poi lo scintillio degli occhi scuri le esplode in una risata contagiosa. E questo è tutto quello che, sull’argomento, si riesce a farle dire. Se provate a essere seri, vi prende in giro e ride di nuovo. Ma i quadri della señora Rivera non sono affatto uno scherzo.

(Articolo di Florence Davies pubblicato sul “Detroit News”)

 

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Bibliografia:
H. Herrera, Frida. Vita di Frida Kahlo, La Tartaruga edizioni, Milano, 1983
A. Kettenmann, Kahlo, Taschen, 2015
M. Senaldi, Van Gogh a Hollywood: la leggenda cinematografica dell’artista, Booklet Milano, 2004

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