L'Eternauta fumetto

L’Eternauta: il sergente nella neve (radioattiva)

Arrancano con fatica sotto la nevicata.
Sono armati, tutti: e dai vari livelli di familiarità con le armi
è possibile distinguere i soldati dai semplici scampati.
I mezzi corazzati che li accompagnano sembrano condividerne il peso;
i cingoli stridono come di rassegnazione.
Arrancano con fatica sotto la nevicata;
ricoperti delle goffe tute ermetiche che ormai hanno assunto
le parvenze di un’uniforme.
Di fronte a loro Buenos Aires, o ciò che ne resta.
A rifrangere il panorama urbano in una miriade di frammenti,
i fiocchi di neve incessanti.
Leggiadri, eterei, bellissimi.
Fosforescenti, alieni.
Letali.

È in questa introduzione melodrammatica e non scevra di rassegnazione esistenziale (mia, va da sé) che si sostanziano le premesse de L’Eternauta: fumetto a episodi apparso sulle pagine dell’argentino Hora Cero Semanal nel 1957, e soggiornatovi fino al 1959. Spezzoni in bianco e nero settimanali, sottomessi alle esigenze di continui sommari e ricorrenti cliffhanger, andati a confluire solo in seguito nella monumentale graphic novel di cui andiamo trattando oggi.

Un caso più unico che raro, oltretutto, di opera tradotta in italiano ma non in inglese.

Nella sua natia Argentina, L’Eternauta è un vero e proprio cult. E come cult si configura anche, con tutta probabilità, nella percezione dei pochi lettori occidentali che siano arrivati a mettere le mani sulla sua esclusiva versione cartonata del 2017, curata da Antonio Scuzzarella e pubblicata da 001 Edizioni: stampata in orizzontale e restaurata per riportare alla luce tutto ciò che il formato periodico posticcio le aveva sottratto.

Filologia del fumetto, nientedimeno.

Questa misconosciuta pietra miliare della letteratura a nuvolette nasce dalla mente di Héctor Germán Oesterheld, e trova concretizzazione grazie alla mano del disegnatore Francisco Solano López. Il secondo si è spento nel 2011, consapevole di aver regalato al mondo dei fumetti uno dei suoi più fulgidi esempi.

Al primo è andata diversamente. Héctor Oesterheld è scomparso nel nulla il 21 aprile del 1977. Anzi, non è scomparso: è desaparecido. Fatto sparire da una delle squadre armate al comando del dittatore Jorge Rafael Videla, propugnatore della Guerra suciaGuerra sporca») con cui il neonato regime argentino, dal 1976 in poi, si premurava di rimuovere i “sovversivi”. Oesterheld è prelevato all’apice di un’agonia durata un anno, che gli ha visto sottrarre nel medesimo modo tutte e quattro le figlie – due delle quali incinte. Desaparecidos, dalla prima all’ultimo. Genitori e figli, figli destinati a diventare genitori. Tutti entrati nel nulla.

E sull’ignominiosa dittatura argentina di là da venire, forse, L’Eternauta aveva avuto modo di esprimersi ben prima del tempo.

L'Eternauta

La vicenda, anticipata dalla narrazione iniziale, è semplice: una bella sera d’estate, una sonnolenta Buenos Aires si scopre improvvisamente coperta da una nevicata fuori dalla norma. Il tratto più appariscente della birbante precipitazione estiva è il barlume fluo dei suoi fiocchi; il più notevole, d’altra parte, è la capacità di causare la morte immediata di quanti vi entrino a contatto. Licenziati in maniera letale i meteorologi che avevano previsto cielo sereno, la nevicata massacra indistintamente la popolazione, congelando ovunque i civili nella quotidianità spezzata della loro dipartita.

È uno scenario replicato ovunque nel mondo. Si tratta, dopotutto, di una manovra ponderata: della prima, primissima manovra di un’invasione aliena, atta a indebolire le difese terrestri in vista della conquista del pianeta.

 

Alla disfatta atmosferica scampa, va da sé, il gruppo dei protagonisti. Esponenti della classe media occupati nei lavori più svariati, ma uniti tutti dalla passione per il fai da te nel solaio dell’amico Juan Salvo: colui che, di lì a poco e tramite varie peripezie, è destinato a diventare l’eternauta del titolo.

Ma sugli sviluppi successivi, per non rovinare l’esperienza, si taccia.

Sappiate solo che, scoperto nel loro amore per il bricolage in compagnia un’ottima abilità da possedere durante un’Apocalisse aliena, lo sparuto gruppo abbandona gradualmente la sicurezza della villetta di Juan. O, come sostiene eloquentemente un altro Juan, Juan Sasturain, nell’introduzione al testo, apre le porte all’Avventura con la A maiuscola.

I protagonisti entrano in contatto con invasori alieni sempre più minacciosi, interagiscono con altri superstiti, si scoprono riuniti in un esercito improvvisato per contrastare la minaccia extraterrestre. Proprio dall’ultima caratteristica deriva il paragone col titolo di Mario Rigoni Stern: dall’attenzione dedicata ad azioni militari romanzate, alla disastrosa avanzata in un territorio nemico insidioso ed estraneo. Gli invasori rivelano via via il loro arsenale sovrannaturale, e i terrestri non possono affrontarlo che con “rudimentali” mitragliatori, cannoni, carri armati.

Hanno qualcos’altro, però.

Lealtà, coraggio, generosità e astuzia: sono le virtù dell’Eroe. Degli Eroi, anzi. Perché Juan non sopravviverebbe senza Fava, senza Pablo, senza Franco; e lo stesso vale per loro. È una collettività eroica, quella di Oesterheld e López, che assume sostanza nelle sfaccettature dei suoi singoli componenti. Ne fanno parte l’introspezione riflessiva di Salvo, il raziocinio asettico del fisico Favalli, l’avventata vitalità di Franco: esponenti di una popolazione che, a scapito delle sue differenze, è pronta a dare il meglio per opporsi all’invasione e all’oppressione.

L'Eternauta

Gli sforzi di Juan e degli altri esseri umani si snodano tra l’azione bellica e la ricognizione, tra la tragedia del setting e la naivëte avventurosa dei singoli episodi: picareschi incontri con la minaccia aliena dominati dall’iniziativa e dalla furbizia dei terrestri, dalla loro capacità di adattarsi a situazioni strane e diverse.

Gli invasori osteggiano i protagonisti con ogni mezzo, facendosi gradualmente più insidiosi, ma non tardano a divenire parte integrante di una nuova, apocalittica quotidianità: i Cascarudos, i Gurbos, gli angoscianti Hombre-robots e i tragici Manos sono rapidamente fagocitati dall’immaginario dei sopravvissuti, e con altrettanta rapidità divengono ostacoli familiari, comuni, prevedibili. Sono entità aliene a misura d’uomo, che accettano senza proteste l’onomastica loro attribuita (magicamente – e comodamente – coincidente coi loro veri nomi) e arrivano a dimostrare un’impensata serie di somiglianze con le loro vittime.

Non c’è da sorprendersi. Gli “invasori” non sono che ingranaggi delle macchinazioni di qualcun altro; aguzzini inquadrati in una piramide di aguzzini. Su tutti costoro incombono le eminenze grigie dei los Ellos: le menti amorfe dell’invasione, troppo immateriali ed evanescenti per essere evocate se non in assenza, in una lontana terza persona. Entità nella cui minacciosa latenza materiale non sarebbe fuori luogo cogliere riferimenti a un’America latina governata dall’alto, da una serie di regimi dittatoriali la cui sola menzione poteva far scomparire le persone nel nulla.

Come riferirsi a un simile sistema di aguzzini se non come a “Loro[1]?

La narrazione bellica dell’invasione aliena, la cronaca che lo storiografo Mosca tenta di stendere con una puntigliosità comica e incurante del contesto, è lo specchio di un Paese avviato verso il regime, verso un’oppressione che avrebbe messo a tacere ogni voce contraria. Finzione e realtà si incontrano, fanno coincidere le loro distopiche – e dispotiche – prospettive in una desolante convergenza di universi.

Entrambe le vicende, d’altra parte, sono incastonate entro una cornice percettiva autobiografica pressoché univoca. Entrambe sono oggetto dello sguardo di uno sceneggiatore di fumetti argentino[2]: ora testimone del racconto dell’eternauta palesatosi inaspettatamente in casa sua, ora preoccupato osservatore di un regime di cui già si potevano scorgere le avvisaglie.

Nella narrazione di Juan, l’Oesterheld disegnato ha modo di sperimentare l’invasione dalla sicurezza della sua villetta di periferia: una casa in tutto e per tutto paragonabile a quella dello stesso eternauta.

L'Eternauta

Il vero Oesterheld, come sappiamo, non potrà fare altrimenti.

Sulla desolazione di un’esistenza sudamericana sconvolta dal cataclisma si stagliano i virtuosi disegni di Solano Lòpez. Dal candore della nevicata – e della pagina – emergono volti, ombre, dettagli. Lineamenti maschili scavati nella pietra, fattezze femminili di infinita delicatezza, avversari delineati da dense masse nere. Lo sguardo talvolta si allontana, arrivando ad accogliere i panorami della città immersa nel silenzio e le battaglie che vanno a turbarne la quiete funerea.

E la capitale argentina, pur immersa nel sonno dell’eccidio nevoso, si scopre rianimata nella precisione dei luoghi, delle vie, dei landmarks della sua controparte reale: una geografia rielaborata e modificata dall’invasione, eletta a palcoscenico della morte e dell’avventura.

L’Eternauta ha ricevuto una revisione nel 1969, venendo riscritto in chiave maggiormente politicizzata da Oesterheld e reso più violento dalle tavole del disegnatore Alberto Breccia.

Ha poi avuto un sequeldal titolo fantasioso, L’Eternauta II, nel 1975, quando l’avvento del regime di Videla aveva assunto sembianze ben più concrete. E, nella collettività eroica protagonista di questo secondo capitolo, i tratti di opposizione al regime sono stati ulteriormente evidenziati: fino alla concretizzazione in un Juan Salvo concettualmente non troppo dissimile da un Ernesto Che Guevara.

L’entusiasmo dei lettori per la continuazione dell’opera, qui come altrove, è stato inferiore a quello per il cult originale.

Una terza parte, sorprendentemente intitolata L’Eternauta parte terza, risale al 1983. Ad accompagnarla, tristemente, un ulteriore abbassamento nella percezione del pubblico: nella convinzione che una grande e impegnata serie di fumetti, connessa visceralmente alle alterne vicende di un intero Paese, si sia spenta nella semplice narrazione di una buona storia fantascientifica.

L’Eternauta, con tutta probabilità, nelle meccaniche di brand ha visto diluita la sua originaria autenticità, l’impegno sapientemente nascosto tra righe e vignette.

Ciò che il suo primo volume ha rappresentato per un’Argentina in cerca di risposte e per un mondo del fumetto in cerca di capisaldi, tuttavia, non verrà mai meno.

Buon viaggio, Juan. Nello spazio e nel tempo, fino alla tua meta.

E se tu avessi una tomba, Héctor, ti porteremmo dei fiori.

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