Sofija Parnok Santa Margherita Martina Trotta

Sofija Parnok, un’anima inquieta ed errabonda

Non c’è palazzo con cui il poeta
scambierebbe il vagabondare,
il cuculo canta,
perché non ha il nido.

Ho scelto questi versi per presentare una poetessa russa dei primi del Novecento, Sofija Parnok: omosessuale dichiarata, amante inquieta e appassionata, dall’intelligenza fervida e critica, artista scomoda e dimenticata.

Non chiedere di cosa è malato
E perché il poeta è distratto

Nata a Taganrog nel 1885, suo padre è un farmacista e la madre è una delle prime donne a laurearsi in Medicina in Russia. Sofija riceve un’ottima educazione culturale in famiglia e dimostra subito una predisposizione alla poesia, tanto che è stato conservato il suo quaderno di scritti risalente agli anni del ginnasio 1901/1903.

La madre di Sofija morì per le complicanze di un parto gemellare, cosa che a quei tempi era assai frequente, e il padre, un uomo chiuso e austero, si risposò con Aleksandra Levenson.

Sofija non accettò la matrigna ed entrò in conflitto con il padre. Nel 1906 la Parnoch ha ventuno anni, cambia il suo cognome in Parnok e sceglie di andare lontano dalla famiglia. Si sente incompresa e a proposito del suo rapporto con il padre scriverà:

«Agli occhi di mio padre sono una ragazzina strampalata e nulla più. Il mio modo di pensare e i miei gusti offendono le virtù patriarcali.»

Ivan Aivazovsky, veduta di s. Pietroburgo, 1888
Ivan Aivazovsky, veduta di s. Pietroburgo, 1888

Lei ama e amerà molto le sue donne e le sue poesie ne sono una sensuale testimonianza. La sua prima fiamma è Nadezda Poljakova. Una storia passionale ma brevissima alla fine della quale la Parnok lascia la città natale di Taganrog per trasferirsi in Svizzera, dove frequenta il Conservatorio di Ginevra.

Amo, come la musica, la tua mestizia,
il sorriso così simile alle lacrime, –
ecco, così risuona il cristallo screpolato,
ecco, così profumano.

La musica e la poesia s’intrecciano e illuminano la mente di questa donna, ribelle e molto critica.

Come il piffero dell’acchiappatopi,
come il mercurio azzurro della luna,
la parola quieta incanta,
richiamando sogni misteriosi.

Nella poesia della Parnok la parola è un tizzone infuocato, è un brivido di piacere lungo la schiena, che scuote e percuote l’emotività del lettore. Finito il breve periodo ginevrino, torna in Russia e s’iscrive ai Corsi Superiori Femminili a S. Pietroburgo ma non si diploma. È un’anima inquieta ed errabonda, una torcia interiore la divora. Improvviso quanto inatteso è il suo matrimonio nel 1907 con Vladimir N. Vol’kenstejen, (pare per questioni di eredità) che dura poco più di due anni, ma l’uomo, che è anche poeta e omosessuale, sarà un suo estimatore e l’aiuterà a trovare gli editori per pubblicare le sue opere, la loro sarà un’intensa e duratura amicizia. Sofija vive la letteratura come esperienza di vita e la sperimenta nei suoi vari generi. Scrive libretti d’opera, riscuotendo anche un buon successo; poesie, prose, favole e racconti, molte di queste opere andranno perdute.

Non il cielo, – una cupola senz’aria
sul biancore spoglio delle case,
come se qualcuno, indifferente, avesse
strappato il manto dalle cose e dai volti.

L’oscurità – quasi fosse l’ombra della luce,
la luce- quasi fosse il riflesso dell’oscurità.
Ma c’è stato il giorno? E questa è la notte?
Non siamo forse il sogno torbido di qualcuno?

[…]

Chiesa del Salvatore Sul Sangue Versato, San Pietroburgo
Chiesa del Salvatore Sul Sangue Versato, San Pietroburgo

In una notte bianca, questo è il titolo della poesia datata 1914, da cui ho tratto questi versi d’indicibile bellezza, dove oscurità e luce sembrano l’una il riflesso dell’altra. È il fenomeno naturale delle regioni nordiche, nelle quali l’orizzonte rimane chiaro, nonostante il buio della notte. È quel chiarore, o come dice Sofija quel «biancore spoglio delle case» a servire da pretesto al poeta, per mettere in relazione l’amore passionale, pieno di luce e cecità, con il dolore oscuro della verità. Quando cala la notte l’amore diventa «una cupola senz’aria» è come «se qualcuno, indifferente, / avesse strappato il manto dalle cose e dai volti» e ci si interroga se sia mai esistita la luce, la passione, l’amore sincero.

La fine di una storia comincia quando «Guardo con occhi indagatori, / … Guardo la tua bocca, su cui rimane / il sigillo di baci non miei.» come dirà sempre in questa poesia. Le avventure amorose saranno una costante nella vita di questa febbrile autrice, che collaborerà a diverse riviste letterarie con lo pseudonimo maschile Andrej Poljanin, scrivendo articoli su autori contemporanei come Mandel’stam o Achamatova. Si converte all’ortodossia e questo rappresenta un momento importante per la sua crescita spirituale, la Parnok è ebrea di sangue e di fede e riceve il battesimo negli anni tra il 1907 e il 1914.

Non amo le chiese, dove l’architetto
ha voce più forte di Dio,
dove, discutendo con la volontà del Padre,
il genio non è smarrito, né si è unito ad essa.

Dove il vanaglorioso spirito umano
pare elevarsi su di essa,
la sinuosa cupola bizantina
mi è più cara del gotico pungente.
[…]

L’esperienza mistica di Sofija è molto interiore e intellettuale, come si può capire da questi versi, scritti nel 1914 a Forte dei Marmi, ispirati dal Duomo di Milano.

Voi, torri! Uno spirito ribelle
vi ha innalzate ad altezza d’aquila,
siete come i pensieri, quando
non sono uniti da uno solo!

La sinuosa cupola bizantina della Chiesa Ortodossa accoglie in quelle sue rotondità, che ricordano la mammella o il ventre di una madre, lo smarrito fedele, il poeta errabondo, che sfugge al gotico pungente di queste torri così alte, così fredde, così lontane dai valori umili e poveri del vangelo. Risale al 1914 l’incontro con Marina Cvetaeva. Ne nasce subito una storia d’amore che dura circa tre anni passionale e travolgente, nella quale si alternano litigi furiosi a gite romantiche; di addii e di grande poesia. La Cvetaeva dedicherà a Sofija la meravigliosa poesia Podruga (Amica[1]), nella quale descrive la sua “amica“ come «una giovane lady tragica» sottomessa a un oscuro destino. La Parnok a sua volta dedicherà a Marina bellissimi versi appassionati, ma tra questi quelli che mi hanno colpito per lucidità e travolgente passione sono quelli della poesia Nella folla:

Cattedrale ortodossa
Chiesa del Salvatore sul Sangue Versato, San Pietroburgo, Russia

Sei entrata, come entravano a migliaia,
ma è spirato il fuoco dalla porta,
e ho scoperto: era inciso lo stesso
segno profetico sulla tua mano.
[…]

E sotto la cipria il volto è lacrimoso,
sulle labbra, sotto il belletto, c’è il sangue –
“Sì, sorella mia, sì, ecco così
Copre di baci – l’amore
[…]

Che cosa devo restituire? Su, prendi
il quaderno scritto rigo su rigo,
ma non restituirò il fuoco, l’acqua
e il vento dei bisbigli d’amore.
[…]

è una poesia lacerata dal rancore e dai ricordi recenti di una passione intensa, quale era stata quella per Marina. Bastano pochi elementi come il fuoco, l’acqua e il vento per raccontare l’emozione del primo giorno, la sensualità appassionata dei baci, la squallida resa dei conti, che solitamente segue alla fine di un amore.

Volubile e di carattere molto deciso la Parnok già nel 1917 è dietro a un nuovo amore. Si reca in Crimea e si cura la tubercolosi, di cui è già malata.

«Amavo», «amo», «amerò».
La mia ospite ha occhi di lupo
così il picchio colpisce l’albero
giorno e notte, giorno e notte senza tregua.
[…]

Nel 1918 in Russia scoppia la Rivoluzione bolscevica, Sofja, nonostante la povertà e le difficoltà dovute alle questioni politiche e sociali, vive un periodo d’intensa attività spirituale e poetica.

È del 1918 il libretto dell’opera Almast del compositore armeno Spendiarov.

Frequenta poeti come Volosin e le due sorelle Gercyk, poeta l’una e traduttrice l’altra, scrittori come Pasternak e Bulgakov, per citare i più conosciuti. Ha rapporti con attrici come la Butakova e la Erarskaja, alla quale scriverà:

Si chinerà un fiorellino sull’esile stelo…
Oh, mia amata, tutto ciò che ho amato,
e che lascerò su questa terra,
amalo per me, mia cara

Nel 1922 pubblica la raccolta poetica Rose delle Pieridi. Nel 1923 è tra i fondatori della Compagnia cooperativa di poeti e scrittori russi dal nome UZEL ed esce la seconda raccolta dal titolo Vita. In questo periodo Sofja è legata alla professoressa di matematica Ol’ga Cuberbiller, una scienziata e studiosa. Sarà proprio la loro povera camera la sede delle riunioni della compagnia. Dedicherà a Olga numerosi versi, ricchi di vibratile erotismo sottile e pungente, che affascinano ed eccitano l’anima del lettore:

Scorgere d’un tratto in un’altra anima
lo stesso orrore, la stessa notte, –
Ah, no! No, non ti immalinconirai
per la mia ebbra malinconia.
Che bello vederti tubare,
come una colomba sotto la mia mano!

Tu riscaldi le piume, come al sole…
E non ti brucerà il mio fremito,
il mio spirito oscuro sfrecci accanto,
senza sfiorare la tua anima.

Nel 1926 pubblica la raccolta dal titolo Musica e nel 1928 pubblica A mezza voce. Siamo in piena era staliniana, le tematiche trattate dalla Parnok, non sono apprezzate dalla censura, che le consentirà altre pubblicazioni. Sofja non perseguiva alcuna fama, era piuttosto affamata di poesia e d’amore, continuò la sua attività letteraria, mantenendosi con il lavoro di traduttrice. Nel 1930 la storia con la Cuberbiller è già finita, la Parnok è sempre più malata, nonostante provi a curarsi con ostinata passione per la vita, come lo rivelano le sue avventure amorose, come l’infatuazione per la cantante lirica Maksakova, a cui scrive:

Mi piacciono i tremori di queste spalle,
l’irruenza dell’incedere vigoroso,
la tua favella vuota e avara,
i tuoi turgidi fianchi di rusalka[2]

.

Nel 1932 conosce Nina Vedenceva che chiamerà «la sua musa canuta». Nina sarà l’amore maturo, quello dal quale la creatività della poetessa trarrà il suo maggior frutto. I versi di Sofija ricordano le cascate di montagna, con il gorgoglio delle fresche acque e la brezza gentile dei monti. Carezzano la mente del lettore, lo avvolgono in una tiepida e sensuale coperta emotiva.

Non sei gelida, ma fresca,
non sei ardente, ma tiepida.
Perché come un’onda enorme
sei sfrecciata nell’immaginazione!…

(13/3/1932)

Le sue più belle poesie le conosciamo perché furono ritrovate nel cosiddetto «Quaderno della Vedenceva».

Ecco così, tiranna … finalmente!…
Non ci affretteremo invano.
Corra pure il giovane inesperto, –
Io amo il quinquennio nel bacio!

(febbraio 1932)

Sofja Parnok si spense nel 1933 nei pressi di Mosca. Ai suoi funerali parteciparono personalità come Pasternak e Bulgakov e altri letterati e artisti del tempo, che l’avevano conosciuta e apprezzata.

Questa autrice fu volutamente dimenticata dal regime e dobbiamo essere riconoscenti alla filologa russa Sofija Poljakova (1914-1994), che ha salvato i manoscritti e negli anni Settanta ha raccolto e pubblicato le poesie negli Stati Uniti. Solo nel 1998 le liriche di Sofja sono state pubblicate in Russia.

«Saremo felici, qualunque cosa accasa…»
Sì, amica mia, è giunta la felicità nella mia vita.
Ecco la stanchezza mortale
mi chiude gli occhi e l’anima ecco, senza ribellarmi, senza oppormi,
sento il cuore che batte la ritirata.
Mi indebolisco, si indebolisce la corda,
che ci ha legate saldamente.

Ecco, il vento spira libero sempre più in alto,
tutto è in fiore, è tutto quieto intorno,-
Arrivederci, amica mia! Non senti?
Mi congedo da te, amica lontana.

(31/7/1933)

 

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In copertina: Illustrazione di Martina Trotta

Per approfondire:
Paolo Galvagni, La Saffo russa, “Poesia” n. 316, anno 2016, Crocetti.
www.culturagay.it,
www.leswiki.it – archivio di cultura lesbica. 

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