Cerca di pensare che la vita è una scatola di biscotti. […] Hai presente quelle scatole di latta con i biscotti assortiti? Ci sono sempre quelli che ti piacciono e quelli che no. Quando cominci a prendere subito tutti quelli buoni, poi rimangono solo quelli che non ti piacciono. È quello che penso sempre io nei momenti di crisi. Meglio che mi tolgo questi cattivi di mezzo, poi tutto andrà bene. […]
Solitamente ho un metodo infallibile nello scegliere un libro da presentare: quando mi accorgo dei lembi sgualciti, delle frasi sottolineate più volte e accompagnate da commenti lungo tutto il margine e delle parole che mi suonano tanto familiari nella testa come un ritornello; quando sospetto bonariamente di aver scritto io stesso quella miriade di pensieri in carta dato il perfetto combaciarsi di emozioni tra autore e me medesimo, lì capisco quale sarà il prossimo libro.
Il mio Norwegian Wood, di Haruki Murakami, è in uno stato pietoso, pace all’anima sua. Questo nonostante il metodico rispetto verso i libri da bibliotecario bisbetico. Ma è una questione di feeling, dopo tutto: l’intensità con cui mi ha conquistato mi ha travolto in un vortice passionale senza freni, obbligandomi a strapazzarlo.
Mi spiace sembrare un adolescente di fronte al poster del cantante preferito: vorrei essere obiettivo tanto quanto nelle precedenti chiacchierate su Gipi e Moehringer, ma il libro di quest’oggi rappresenta uno snodo fondamentale per me. Cercherò nonostante ciò di invogliarvi alla lettura con la sola arma a mia disposizione: le parole. Sempre, lo ripeto anche in questa terza puntata, senza svelarvi la trama: quasi fosse una sfida, per me. In fondo, a buttar giù tre righe di trama e inquadrare l’autore son bravi tutti.
Immaginate di essere a teatro: siete lontani dalla scena, distaccati. Potreste apprezzare l’acustica, il piacevole tepore dell’ambiente, le poltrone, la stessa messa in atto dell’opera, eppure non riuscite a fare a meno di focalizzare la vostra attenzione su un dettaglio insignificante: una ragazza, in penultima fila, sembra essere assorta nella visione dello spettacolo. Quando una luce di scena, di riflesso, le illumina gli occhi, notate che sta piangendo. Vi girate verso il palco, ma quella a cui state assistendo è una commedia. Lo capite in un attimo, forse nel momento stesso in cui volgete di nuovo lo sguardo altrove, verso la ragazza.
Avete speso dei soldi per venire questa sera a teatro, ma di guardare altro che il luccicare terso dei suoi occhi non se ne parla: vorreste alzarvi in piedi, chinandovi un po’ magari — permesso, scusi, ma allora…! —, raggiungere la ragazza e chiederle il motivo delle lacrime. Ma sarebbe complicato, forse addirittura patetico. Lei diventa l’oggetto ultimo del vostro essere, il fine della ricerca di senso.
In un altro momento, in un altro giorno, in un’altra vita non sarebbe così importante: ma lì, sospesi nell’attesa, diventa importantissimo. Incominciate a muovervi impazienti sulla poltrona, scomodi in ogni posizione perché scomodi e insoddisfatti in questo gioco mentale.
Passa un’ora, un’ora e mezza, poi le luci si riaccendono lentamente: la prima fila, la seconda, la platea… Arriva anche da voi in ultima, ma prima dalla ragazza. Si alza, prende il cappotto da sera, scambia due chiacchiere con un signore in ghingheri davanti a lei, un sorriso, e se ne va. Riallacciando i pensieri, insieme al filo del tempo e dello spazio, avete notato, nell’ultimo istante prima che scomparisse, come non presentasse traccia di pianto sul viso.
Quella ragazza, quel mistero, è Norwegian Wood. Un romanzo intimo, impalpabile, fumoso e, per quanto se ne dica, maestoso. Fino ad ora, ho trattato romanzi pressoché attuali: Murakami, invece, ha scritto questo capolavoro nel 1987, testimoniando come con il termine “rinascita della letteratura” non intendo una precedente morte di quest’ultima, ma una nuova presa di coscienza; un fil rouge di masterpieces che, sottilmente, non è mai terminato.
Leggendolo, sarete colpiti e catturati dai particolari insignificanti (all’apparenza, o forse no): un fermaglio a forma di farfalla, del fumo scomposto di una sigaretta, dei ritagli di giornale… Piomberete in un’atmosfera sospesa, ossessionati dal pensiero di star spiando la vita di qualcuno attraverso lo spioncino della porta. Ma, quello che più colpirà, sarà il frangersi silenzioso di questa bolla di sensazioni sospesa in aria: 370 pagine e puff. Vi girerete, in un istante, e noterete la vita quotidiana riprendere il sopravvento sull’immaginazione. E non ci sarà traccia di pianto sul viso: lo spettacolo sarà finito e rimarrete a guardare la copertina chiusa ancora per un bel po’.
Poi, come succede con i libri davvero belli, vi accompagnerà nei pensieri. Timido, in disparte, ma sarà lì. E custodirà un segreto indicibile che diventerà una di quelle sicurezze di cui siamo convinti senza nemmeno riuscire a spiegare. Intanto, però, il mistero sarà scivolato via come la donna del teatro insieme alle luci riaccese.