Jan Rose Kasmir

Danilo Dolci: la poesia maieutica

Con la bocca piena di capitali
investimenti prodotti rendite
non si sa calcolare:
la spenta fantasia rumina
necrofilia.
Vivere costa:
ma troppo costa sprecarsi, troppo
guarire, troppo
iniettare veleno inquinando
pure il latte materno, troppo
condensare l’astio in ordigni
per fessurare il mondo.
Economia è imparare
a costruire la citta terrestre –
ambiente e sguardo coloniale.

(Creatura di creature. Poesie 1949–1978)

Il 30 dicembre del 1997 si spense Danilo Dolci nella casa di Partinico, egli con la sua esistenza ha tracciato un solco profondo, che è nostro dovere morale conoscere e trasmettere.

Questi versi d’apertura sembrano la sua spiegazione a questi giorni di clausura forzata, a causa di un Virus che ha messo in ginocchio la salute e l’economia globale, la logica conseguenza, una tragedia annunciata, volutamente non ascoltata.

Le immagini di tutte quelle bare allineate, o di quei morti senza epitaffio, seppelliti alla rinfusa, nell’isola vicino a New York, sono il trionfo della cultura della necrofilia, coltivata in questi decenni. Ora restiamo attoniti e ci sentiamo prigionieri senza colpa, quando invece ognuno ha fatto la sua parte per seppellire con il proprio vissuto i valori fondamentali del vivere in armonia con il creato, della salute come diritto per tutti. Ognuno ha visto erodere conquiste, ottenute dopo lotte durate anni nel lavoro, nella sanità e nella scuola, ma è solo davanti alla grande emergenza, che si toccano con mano i tagli devastanti, perpetrati sconsideratamente.

Danilo Dolci, classe 1922, nasce a Sesana, vicino Trieste, annessa poi alla Slovenia; studia Architettura ma a vent’anni, a un passo dalla laurea, molla gli studi, perché, come disse in un’intervista a Mao Valpiana nel 1995, «un architetto avrebbe lavorato soltanto per i ricchi, per chi aveva soldi, e non per chi non aveva né casa né soldi. Occorreva fare un altro lavoro»

Danilo Dolci

Nel 1950 si reca presso la Città dei ragazzi di Nomadelfia, fondata da Don Zeno Saltini, nata sulle rovine di un campo di concentramento nazista a Fossoli, vicino Modena, con il quale attivamente collabora per due anni, conosce e frequenta padre Turoldo, praticando un cristianesimo attivo.

In questi anni trascorsi nella comunità, matura l’idea di trasferirsi a Trappeto, un paese dimenticato e poverissimo della Sicilia, che aveva conosciuto nel 1940 con il padre capostazione, che per un paio d’anni fece servizio in quei luoghi.

La Sicilia che conosce Danilo è ancora una terra rurale, dove il tasso di analfabetismo è altissimo. Siamo nel 1952 ed è l’inizio di una magnifica avventura, piena di peripezie, processi, intimidazioni di ogni genere compreso l’arresto e la prigione.

Dolci rimane colpito dall’alta mortalità infantile di quei territori dimenticati e il primo sciopero della fame è proprio dovuto alla morte di un bimbo di appena un mese. Darà voce a questo dramma nel suo libro: FARE PRESTO (E BENE) PERCHÈ SI MUORE.

La mafia locale, che già da allora intrecciava affari con la politica, tentò in tutti i modi di fermare le lotte di Danilo, che fu subito appoggiato da Aldo Capitini, filosofo conosciuto, fondatore del movimento Non Violento, nato nel 1898 e morto nel 1968.

Quando si parla di Dolci, parliamo di Sociologia e di Maieutica, perché è stato il suo prioritario compito, non appena arrivato tra gli umili siciliani, avviliti dalla povertà, dall’ignoranza e costretti a lavorare per un padrone senza scrupoli, privi di qualsiasi diritto e dignità. La maieutica di Dolci però non ha nulla a che vedere con quella di Socrate. Potremmo però sempre leggerla come un’evoluzione, voluta dai tempi, in cui non ci sono discepoli né maestri, ma semplicemente l’umiltà e la capacità di ascoltare e di confrontarsi. La figura pacioccona e bonaria di Danilo Dolci, un omone gigantesco dalla voce delicata, ha saputo integrarsi nel tessuto sociale più povero della Sicilia del secondo Novecento, facendo conoscere a tutto il mondo il degrado civile e culturale nell’Italia del boom economico, di queste terre martoriate.

«Quali specifici vantaggi offre la struttura maieutica reciproca?
Molto e ancora da scoprire ma, essenzialmente:
– ognuno che è riconosciuto si apre a riconoscere e via via cerca
più fiducioso, operando gioioso;
– nell’ascoltare, essendo interessato, e più intensamente fecondato
da quanto sente vero: nell’esprimersi sboccia alla scoperta;
– si sente responsabile ciascuno, ognuno cerca, ognuno scopre,
ognuno costruisce: si ridesta il bisogno di interrogarsi e di sapere,
troppo spesso sopito;

– articolando il rispetto reciproco si impara pure a comunicare,
a dissentire nonviolentemente;

– si diviene coscienti che nessuno, solo, o non sapendo comunicare,
si potrebbe maturare cosi… naturalmente;
– cresce un’altra visione della vita.»

(La struttura maieutica e l’evolverci, 1996)

Nel 1955 pubblica Banditi a Partinico, che gli valse l’attribuzione del Premio Lenin nel 1958, i cui proventi Dolci utilizzò per finanziare il suo Centro studi e iniziative per la piena occupazione.

La pratica della Non Violenza, lo Sciopero alla Rovescia del 1956 furono battaglie importanti e originali, così come i suoi digiuni, contro lo strapotere della mafia locale, nella gestione delle acque, assetando i poveri e rendendoli schiavi e sottomessi.

Nel 1968 ci fu il terribile terremoto, che finì di straziare le terre del Belice, la cui ricostruzione ebbe dei tempi biblici, proprio per gli intrecci Stato-Mafia, di cui Dolci fu tra i primi a denunciare pubblicamente.

Danilo Dolci

La maieutica e la non violenza di Dolci attirarono in Sicilia personalità del mondo della cultura e dello spettacolo. Moltissimi intellettuali dell’epoca appoggiarono Danilo, tra cui Bobbio, Sartre, Fromm, Russel, Moravia, Pasolini, Huxley, Piaget, Levi, Calvino e tanti altri.

Alle numerose critiche che in quegli anni furono fatte al suo metodo non violento, Danilo rispose:

Sono uno che cerca di tradurre l’utopia in progetto. Non mi domando se è facile o difficile, ma se è necessario o no. E quando una cosa è necessaria, magari occorreranno molta fatica e molto tempo, ma sarà realizzata. La diga sullo Jato, sarà realizzata per la semplicissima ragione che qui la gente vuole l’acqua.

Questa sua semplicità, unita alla testardaggine e all’entusiasmo, sarà la sua arma vincente. Rileggere Dolci nel 2020 ai tempi del Coronavirus, del populismo gridato e spacciato per politica, non solo è essenziale per la conoscenza, ma è un esempio vincente da imitare.

Chi si spaventa quando sente dire
rivoluzione,
forse non ha capito.
Non è una sassata a una testa di sbirro,
sputare sul poveraccio
che indossa una divisa non sapendo
come mangiare;
non è incendiare il municipio
o le carte al catasto
per andare stupidi in galera
rinforzando il nemico di pretesti.
Il dominio è potere malato –
cresci soltanto quando ti maturi
corresponsabile:
la gente non è suolo ma semente.
Quando senza mirare ti agiti
la rivoluzione viene a mancare;
se raggiungi potere e la natura
dei rapporti rimane come prima,
viene tradita.
E conquistata ad ogni istante quando
creature si organizzano
estinguendo ogni zecca.

(Se gli occhi fioriscono, 1997)

Ricordano nel concetto i versi della poesia di Pasolini: Il P.C.I. ai giovani, scritto dopo i fatti di Valle Giulia. Così come Pier Paolo anche Danilo difende il “poveraccio/ che indossa una divisa “. Un poveraccio che di solito viene dal Sud più estremo, da cui è fuggito e deplora la violenza, che distrugge e non costruisce dialogo.

Scontri di Valle GIulia
Scontri di Valle Giulia

C’è bisogno di una rivoluzione, che parta da dentro, costruita sulla consapevolezza di cosa vuol dire essere cittadino e non suddito, padrone di se stesso e servo di nessuno.

In poesia tutto è più armonico, semplice e Dolci è poeta, umano, troppo umano, per perdersi nei meandri della tecnica e dello stile, che fanno parte del suo sangue, ma che, come le sue mani, irruvidite dagli attrezzi di lavoro, lasciano al cuore e ai suoi battiti violenti e testardi la parola, che si vivifica, intensificando il messaggio etico, da non dimenticare e da lanciare in pasto al futuro.

Talvolta una voglia mi attrae
a vivere esperienze che non so
giustificare appieno, e incerto resto
se obbedire al programma prefissato
o seguire il richiamo che ignoro
a quale fine possa coordinarsi.
Mi sono salvato talora lasciandomi
andare,
talora non lasciandomi:
sopra questo frammento di galassia
cerco di apprendere con nuovi sensi
quando e come lasciarmi rapire.

(Sopra questo frammento di galassia)

Siamo parte di un frammento di galassia, di cui spesso ci dimentichiamo, oberati da impegni e programmi, che ci impediscono di ascoltare, di vedere, di lasciarci andare al ritmo della natura, che assomiglia al battito del nostro cuore.

La poesia di Dolci insegna al lettore a guardarsi dentro, per tirare fuori dai meandri della sua mente il lato oscuro e migliore della natura umana. Insegna l’umiltà e nello stesso tempo lo sdegno per il potere corrotto e corruttibile, che fonda la sua forza sulla codardia e l’acquiescenza, di tutti quelli che non hanno mai avuto la coscienza, per rivendicare il proprio diritto a una vita dignitosa e giusta.

Per rimanere servi:
annegare lo sdegno in lamentose chiacchiere:
non imparare ad interrogarsi,
non imparare a distinguere
vero da falso,
giusto da ingiusto,
non imparare a comunicare;
inventare paradisi privati.
Per ogni caso, a intombare
eventuali rimorsi germoglianti,
appestare i prativi rapporti
tra fiori e api,
tra farfalle e fiori.

(Se gli occhi fioriscono, 1997)

Nel corso dei colloqui con contadini e pescatori nacque l’esigenza di costruire una diga sul fiume Jato, che avrebbe dato un notevole contributo allo sviluppo economico della zona e una spallata al potere mafioso, che si era appropriato delle esigue risorse idriche. L’idea dell’acqua democratica, cioè dell’acqua pubblica, è una battaglia che fu combattuta duramente da Dolci e i suoi.

In Sicilia, oltre alla diga di Jato, ne sono state costruite tante altre, che hanno risolto in buona parte il problema dell’approvvigionamento idrico, consentendo lo sviluppo e la nascita di cooperative agricole e artigianali. Nonostante tutte queste battaglie, per molti oggi quasi dimenticate, il problema dell’acqua pubblica è ancora un tema assai dibattuto e non più solo in Sicilia, ma in tutta Italia. È opportuno ripartire dalle lotte di quegli anni, per comprendere il valore delle conquiste democratiche del secondo Novecento, messe gravemente in pericolo da politiche scellerate e asservite al potere dell’economia e del profitto.

Danilo Dolci
Danilo Dolci al centro educativo Mirto

Nel 1970 nasce il Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. È sul tema dell’educazione che Dolci incentra i suoi studi, le sue esperienze di dialogo e ricerca. Nello stesso anno esce il libro di poesie Il Limone Lunare – Poema per la radio dei poveri cristi, che vinse il premio Prato.

Un limite dell’uomo:
è piu esperto in rapine
che nel valorizzare, fino ad ora.
Ed i piu esperti nel valorizzare,
presi dal loro impegno ed incapaci
di analizzare, e concentrare i lampi,
di organizzare strategie vincenti
sono rimasti sotto.

(Il limone lunare, 1970)

Il 26 marzo del 1970 all’interno del Centro Studi di Partinico: Danilo Dolci, Franco Alasi e Pino Lombardo, suoi stretti collaboratori, diedero vita alla prima Radio Libera, che grazie alla strumentazione in loro possesso, era in grado di raggiungere non solo tutta Italia ma anche l’estero, compresi gli Stati Uniti d’America. In sole 27 ore di trasmissione, tante furono prima di essere chiusa e sequestrato tutto il materiale, i nostri eroi riuscirono a rendere noto a tutto il mondo o quasi, la vergogna delle terre del Belice, dello Jato e del Carboi dopo il tragico terremoto del 16 gennaio 1968.

L’esperienza delle radio libere nel giro di poco tempo proliferò in tutta Italia; in Sicilia ricordiamo Radio Aut, fondata da un giovane di Cinisi: Peppino Impastato, che condivise e divulgò le battaglie intraprese da Danilo e dai suoi collaboratori, pagando con la vita il suo impegno politico, sociale e culturale.

Tantissime furono le pubblicazioni di Danilo Dolci di saggi, poesie e racconti e tutti editi da case editrici minori, per sua scelta, nonostante fosse corteggiato da molte case editrici importanti.

Danilo fu uno di quelli che il messaggio del Vangelo non l’ha sbandierato, come vuoto vessillo, ma ha rivalutato l’importanza della Parola, del Logos filosofico, spirituale, politico, antropologico e morale.

Ringrazio la professoressa Tina Coppola, per avermi fatto conoscere questo autore, così importante per il mio cammino di conoscenza, che percorro insieme a voi, cari lettori.

Vince chi resiste alla nausea
alla voglia di vendicarsi
vinci se resisti alla tentazione di evadere,
alle lusinghe infinite del suicidio
smania di sonno, talora, per non lasciare
riaffondare nell’anima non
lasciare nello squarcio diffondere
unghie
vampiri

(Se gli occhi fioriscono, 1997)

 

In copertina: Marc Riboud, Jan Rose Kasmir, Washington, 21 ottobre 1967


Per approfondire:
Joshua Madalon, Una grande lezione da Danilo Dolci, per una riflessione “pasoliniana”;
Andrea Manzi, Nel dialogo socratico il corpo della libertà, La Città di Salerno;
Pietro Polito, Per una rivoluzione nonviolenta, Centro Studi Sereno Regis;
Michele Ragone, Le parole di Danilo Dolci, Edizioni del Rosone, da cui sono tratte le poesie sopra riportate;
Susanna Dolci, Danilo Dolci… o dell’eterna ricerca della fraternità, Arianna Editrice;
Centro Sviluppo Creativo Danilo Dolci, Bozza di manifesto;
Danilo Dolci, Poema Umano, Edzioni Mesogea, postfazione di Silvio Perrella.

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