Nell’undicesimo rapporto dell’Economist sullo stato della democrazia del mondo, l’Italia si trova al 33° posto, la Cina al 130° su un totale di 167 paesi. Il fatto che in Cina viga un avanzatissimo sistema di censura è noto ai più: il Ministero della Pubblica Sicurezza della Repubblica Popolare Cinese, tramite il Golden Shield Project – definito ironicamente Great Firewall – mette in atto un immenso processo di sorveglianza e blocco dell’informazione.
Circa cinquantamila persone sono impiegate dal governo per rafforzare la censura, facendo sì che i motori di ricerca blocchino i contenuti ritenuti pericolosi o inaccettabili, secondo parametri piuttosto discrezionali: è recentemente stato bannato l’ultimo film di Winnie the Pooh per le troppe somiglianze con il presidente Xi Jinping. Vi sono inoltre decine di influencer che postano ogni anno oltre 500 milioni di post a favore del governo sui social media. La Cina sostiene che tali restrizioni siano volte al mantenimento dell’ordine sociale e alla salvaguardia della sicurezza nazionale. Ciò che rende il Great Firewall molto efficace, oltre ai sofisticati meccanismi tecnologici, è la cultura di autocensura che va a generare.
Il regime non si limita però ad impedire i flussi di informazione in ingresso ed in uscita, tra i quali le notizie sul massacro degli uiguri o i dati sul numero di condannati a morte ogni anno, che pare essere il più alto del mondo, ma si dedica anche al passato, mettendo in atto una minuziosa opera di cancellazione della memoria collettiva.
Esempio lampante di ciò è l’eliminazione del ricordo della strage di Piazza Tiananmen del 1989, quando i carri armati dell’esercito cinese aprirono il fuoco contro i manifestanti, che chiedevano riforme sociali ed economiche: non esistono dati precisi del numero delle vittime, e digitando 1989 sulla Wikipedia cinese, Baike, appaiono soltanto due voci: “nome di un virus informatico” e “numero compreso tra il 1988 e il 1990”. Anche il termine Tiananmen naturalmente non restituisce risultati, se non informazioni turistiche sulla piazza.
Alla luce di questo scenario è possibile comprendere meglio il romanzo Fuga di Morte di Sheng Keyi, pubblicato per la prima volta in inglese perché censurato dal governo cinese, che racconta l’impatto che la risposta da parte del governo agli eventi di Piazza Tiananmen ha avuto sullo spirito e la psiche delle persone.
Il romanzo narra la deriva totalitaria del paese attraverso un viaggio nell’immaginifico, che conduce il protagonista Yuan Mengliu nella Valle dei Cigni, un luogo in cui, almeno apparentemente, regna il benessere assoluto: gli abitanti, di estrema intelligenza e levatura morale, senza alcun tipo di preoccupazione quotidiana, si dedicano al proprio benessere, a coltivare le arti e a compiere buone azioni. Presto però Yuan Mengliu si rende conto che il mondo utopisticamente perfetto in cui si trova è controllato in ogni suo aspetto dal governo, che si premura di controllare ogni pensiero che attraversa le menti dei suoi abitanti e di far svanire pian piano la loro memoria facendogli bere uno speciale tè nero.
Accostato dal The New York Times a Il mondo nuovo di Aldous Huxley, Fuga di morte è un’opera in cui la realtà dei fatti e l’utopia si intrecciano, riflettendo le contraddizioni e le controversie della società cinese. Al tema centrale della distopia, narrato con uno stile armonico e scorrevole, si aggiunge un’articolata riflessione sulla poesia, sulla necessità di non scendere a compromessi.
Yuan Mengliu stava sul ponte, l’acqua del mare era leggermente increspata e una corrente si agitava nella sua mente. Voleva scrivere una poesia, i versi gli erano già sgorgati in gola, no, erano sulle sue labbra e stavano per spiccare il volo come un uccello che abbandona il nido. No, non poteva farlo. Guardò in lontananza cercando di mandare giù quelle parole.
Nella Valle dei Cigni, Yuan è invitato più volte a comporre poesie, talvolta anche come mezzo di scambio per ottenere qualcosa, come la possibilità di dormire con una donna da cui è attratto, o l’opportunità di andarsene da quel luogo da cui vuole fuggire dopo averne compresa la natura dittatoriale; nonostante l’insistenza delle richieste, egli decide coraggiosamente di non ridurre la propria arte a mero strumento.
La lettura dell’opera di Sheng Keyi riesce a far venire a galla interrogativi sulla democrazia, l’arte, la vita tutta; Fuga di Morte scuote le coscienze e porta il lettore ad aprire gli occhi su cosa significhi vivere senza libertà. Senza anticipare altro, oltre a raccomandarvi questa lettura, vi lascio con l’epilogo del romanzo, che ne racchiude lo spirito e l’essenza:
La democrazia è il più grande impulso alla sopravvivenza della vita umana, la libertà è un diritto inalienabile dell’uomo, ognuno di noi ha il diritto di conoscere la verità…
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Per approfondire:
Undicesimo Rapporto Economist sullo stato della democrazia nel mondo
Griffith Review 49, Intervista a Sheng Keyi
Jane Perlez, Chinese, Writer, Tackling Tiananmen, Wields “Power to Offend”, in “The New York Times”, 10 ottobre 2014