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La Bibbia di Borso d’Este e le miniature del Quattrocento

Immaginatevi un cielo blu, di un blu profondissimo e perfetto: le stelle una a una stanno bucando la volta mentre la luna, sulla sinistra, assume un contorno sempre più definito. E all’improvviso passa una cometa, brillantissima, che rapisce il nostro sguardo e cattura tutta la nostra attenzione.

Se il cielo è il rinascimento italiano, quella cometa è la pittura ferrarese del Quattrocento, e in particolare un’arte spesso dimenticata e invece ricca di grande fascino: la miniatura.

Siamo nel 1455, in primavera. Borso d’Este, signore di Ferrara, fratello del compianto Leonello, figlio del possente Ercole, ha deciso di spendere un po’ di denaro e di farlo regalandosi la più sontuosa copia che si sia mai vista di uno dei pochi bestseller millenari, la Bibbia.

Il buon Borso non è ancora Duca, o meglio, non ha ancora sborsato fior fiori di lire per acquisire il titolo che gli dovrebbe conferire l’imperatore. Sa, però – è un politico raffinato – che per legittimarsi non bastano solo le corti ammantate d’arazzi e rivestite d’affreschi o feste e pranzi luculliani per acquisire agli occhi del mondo uno status di grande rispetto. Servono anche i libri, dei bei libri da mostrare in determinate occasioni.

Indi per cui affitta una casa a un paio di miniatori: Taddeo Crivelli, ferrarese, nato circa trent’anni prima da un notaio e dalla sua simpatica moglie e Franco dei Russi, un mantovano profondamente suggestionato dall’opera di Pisanello e di Belbello da Pavia – miniatore tardogotico dallo stile raffinato e dai colori sgargianti.

Franco dei Russi, Principio del libro di Giosuè, Bibbia di Borso d'Este, II, f. 88, v, Biblioteca Estense di Modena
Franco dei Russi, Principio del libro di Giosuè, Bibbia di Borso d’Este, II, f. 88, v, Biblioteca Estense di Modena

I due si mettono immediatamente a lavoro: i sei anni di tempo che gli sono concessi per preparare l’opera sembrano molti, ma passano in un lampo, se si conta la mole dell’opera: due volumi, per un totale di seicento carte di cui dovranno miniare ogni singola pagina. Un’impresa notevole e dispendiosa: se di fatti un normale manoscritto non costa di certo poco, questo finirà certo per avere dei costi esorbitanti: in effetti, il potere costa.

I due, ovviamente, non possono eseguire l’immane compito da soli. Chiamano, a seconda delle necessità, una serie di aiuti a cui vengono affidati, di volta in volta, lavoretti da eseguire: ripassare a inchiostro i disegni precedentemente stesi con lo stilo, stendere i primi strati di colore. Pare che fossero ben diciassette gli artisti all’opera, di cui non conosciamo i nomi, a parte qualcuno, e tra questi spicca anche un protetto di Andrea Mantegna, tale Girolamo da Cremona, virtuoso della miniatura che lavorerà nientemeno per la marchesa di Mantova Barbara di Brandeurgo, e per alcuni libri liturgici della Libreria Piccolomini.

Oggi, chi ha la fortuna di osservare il codice conservato a Modena, non può non strabuzzare gli occhi osservando la varietà dei colori e la ricchezza, sfrontatamente esibita, delle decorazioni che incorniciano il testo su ogni pagina, per le scene che si distribuiscono sulla stessa con varietà e originalità del tutto straordinarie.

Sfogliando il codice si possono osservare la diversità di linguaggio che caratterizza la mano di ogni miniatore e, nel caso dei due artisti principali, l’evoluzione che esso subisce nell’arco di un lustro.

Se, da una parte, Taddeo Crivelli traccia forme arrovellate, nervose, i cui colori saturi disegnano un mondo non di certo allucinato ma sicuramente molto esuberante in cui i personaggi del testo sacro sono immersi in un’atmosfera cortigiana, dall’altra il buon Franco dei Russi non è da meno, nel tratto metallico delle sue figure. Sembra un mondo fiabesco – rocce simmetriche, alberi lussureggianti – quello tracciato da questo mantovano, un mondo in cui il colore sembra quello delle gemme preziose. Un mondo in cui gli animali sembrano soffici, chiusi come sono in dei tondi che si inseriscono nelle ricche cornici preziose che avranno grandissimo successo nei decenni successivi nel Nord Italia.

Gerolamo da Cremona, Annunciazione e natività della Vergine, Bibbia di Borso d'Este, II, f. 157 v.
Girolamo da Cremona, Annunciazione e natività della Vergine, Bibbia di Borso d’Este, II, f. 157 v. Biblioteca Estense di Modena.

Una delle pagine più belle si trova all’interno del secondo volume, alla carta 157. Siamo all’inizio del Vangelo di Luca, come possiamo leggere in alto. Dopo l’esuberanza delle opere dei due miniatori principali possiamo immergerci in un ambiente più ampio, dalla prospettiva profondissima. Questa pagina, infatti, è stata eseguita da Girolamo da Cremona il cui rapporto con Andrea Mantegna si palesa in una serie di citazioni che il giovane miniatore fa delle opere del suo maestro.

Concentrandoci sulla miniatura in basso possiamo notare come le colonne che reggono il portico in cui si svolgono le scene dell’Annunciazione (ai lati) e della Nascita della Vergine (al centro) siano modellate su quelle che incorniciano lo spazio della Pala di San Zeno, una delle opere più note del Mantegna conservate a Verona nell’omonima basilica. Il fusto scanalato, il capitello composito sono una diretta citazione della pala d’altare del maestro, a loro volta un recupero archeologico dell’antico. Non solo. Inoltrandoci nello spazio possiamo osservare le pieghe rettificate degli abiti – osservate l’angelo a sinistra! – che richiamano le statue togate dell’antichità o, ancora, i dettagli domestici che si possono scorgere nella stanza centrale: in alto a sinistra, sopra il letto, si possono osservare dei piatti esposti in quella che dovrebbe essere una credenziera. Poi, oltre lo spazio dell’edificio, si estende un paesaggio roccioso, anche quello mantegnesco.

Tutto ciò dimostra come Girolamo e i diversi miniatori che hanno partecipato all’impresa della decorazione della Bibbia non stavano operando lontani dal resto delle novità che arricchivano il nord della penisola, ma al contrario erano profondamente immersi nella vita artistica del tempo. Erano infatti artisti che si spostavano da una corte all’altra, che piegavano la propria arte al committente di turno: come abbiamo detto Girolamo qualche anno dopo lavorerà a Mantova per i Gonzaga, Crivelli si sposterà a Bologna, dei Russi a Padova. Ognuno di loro farà tesoro delle proprie esperienze e, nel corso degli anni, diffonderà le novità sviluppate a Ferrara.

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