Sono uno stereotipo, scocciato di essere uno stereotipo.
Se si potesse recensire un romanzo con una sola frase, Tuff e la sua banda di Paul Beatty sarebbe perfettamente riassumibile dalla citazione iniziale, una frase pronunciata da Winston, ventiduenne di East Harlem, il protagonista della storia. Winston Foshay vive in bilico tra due vite: da un lato è un padre giovanissimo e marito di Yolanda – sposata per telefono mentre era finito in carcere – e dall’altro lavora come picchiatore nel giro dello spaccio. Vive a East Harlem, la zona ad di là della 125ma, meglio conosciuta come il Nilo dell’America nera.
Frugando nel portafoglio di Winston, Yolanda capì cosa lo rendeva attraente, oltre al suo bel nasino. Si trovava bene con sé stesso, accettava quello che era, e quello che non era. Non si incontrano molti neri con questo atteggiamento. Winston era onesto, forse non con il resto del mondo, ma era onesto con lei e con sé stesso. Non abbelliva né razionalizzava le proprie imprese, usando espressioni scontate tipo che lui e i ragazzi “andavano forte”, “ci davano dentro”, “inculavano tutti” e “vivevano alla grande”. Niente lagne pietose su come ti infogna la città […]
Per il ragazzo, la prima svolta avviene con la presa di coscienza della necessità di cambiare la direzione della propria vita; dopo una sorta di epifania decide di cambiare, e per farlo aderisce al Programma Fratello Maggiore, che gli assegna un mentore: Spencer Throckmorton. Spencer è un rabbino ebreo, nero e con i dreadlock, che, alla ricerca di materiale per poter scrivere qualche articolo sulle minoranze svantaggiate di periferia, si lancia nell’assurda avventura di guidare un ventiduenne picchiatore di più di centocinquanta chili nella disperata ricerca di una vita migliore. Proprio grazie a lui Winston riuscirà a raccogliere intorno a sé tutti gli amici e le persone fidate per riflettere con il loro aiuto sulla strada da prendere, fino ad arrivare ad una svolta completamente inaspettata…
Un romanzo ben scritto, con uno stile indubbiamente graffiante e a tratti quasi disturbante nel suo essere prosaico, specialmente in alcuni passaggi: per citare un esempio, Beatty narra un episodio in cui Winston, senza alcun motivo valido, decide di sparare al cane dei poliziotti del quartiere; dopo lo sparo, dalle narici nere del cane schizzava «un misto di sangue e muco», e la pistola, dopo essere stata estratta dall’orecchio della carcassa, rimane «sporca di cerume e sangue».
Forse però non c’è altro modo per farci immergere nei quartieri popolari e nelle insormontabili barriere culturali e sociali della cultura americana se non raccontarle senza omissioni o edulcorazioni; inoltre, al di là delle decine e decine di parolacce, non mancano anche riflessioni profonde:
Ho capito che per capire non devi cercare di capire, è la comprensione che trova te. Capito?
È a questi barlumi di lirismo che si riferisce il The Guardian quando afferma cbe «Beatty continua a trovare la poesia nei quartieri popolari, la dignità nella strada».
Alla fine di questo romanzo, rimangono inevitabilmente appiccicate alla memoria alcune immagini estremamente realistiche e brutali, che delineano bene il quartiere di East Harlem, il tentativo di riscatto e un senso di grande disparità, il tutto condito da brillanti scambi di battute e una buona dose di ironia.
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Paul Beatty è uno scrittore e docente alla Columbia University. Nel 2016, è stato il primo scrittore statunitense ad essere premiato con il Man Book Prize con il suo romanzo The sellout. Tuff e la sua banda è il quarto romanzo di Beatty pubblicato da Fazi Editore, dopo Lo schiavista, Slumberland e Il blues del ragazzo bianco.