Massimo Troisi

Il miracolo da cento punti e quello da cinquanta

Massimo Troisi è uno dei comici degli anni Settanta e Ottanta che ricordiamo maggiormente, nonostante siano passati ventisette anni dalla sua morte prematura, avvenuta il 4 giugno 1994.

L’artista si inserisce in un panorama comico italiano che ritorna ad utilizzare il dialetto sullo schermo e questo gli ha permesso di trovare terreno fertile per la sua operazione comica. Sostanzialmente Troisi vuole portare in scena i drammi, le contraddizioni e i disagi della sua generazione. Non ha mai uno scopo rivoluzionario, di aperta contestazione: egli ha un atteggiamento molto più gentile se vogliamo, perché presenta solo un punto di vista alternativo, il suo, così da mettere lo spettatore nella condizione di godere dello spettacolo, di riflettere e di capire che esistono molte verità, molti modi di vedere diversi.

Per questo motivo la sua operazione è certamente più vicina a quella della leggerezza di Calvino e all’umorismo di Pirandello, che non ad una semplice azione comica.

Gli stessi argomenti che lui porta in scena, sono quelli che appartengono alla sua esperienza di vita, ma anche al bagaglio culturale di tutto il pubblico e, uniti al suo modo semplice e naturale di raccontare, sono universali.

Uno degli argomenti che maggiormente lo coinvolge è quello religioso, questo perché viene da un territorio e da una famiglia molto legati alla religione. In particolare a San Giorgio a Cremano (NA), suo paese natio, l’ambiente parrocchiale in quegli anni è l’unico luogo di aggregazione per i giovani del paese. Per questo motivo la religione entra a far parte della quotidianità delle persone anche nei più piccoli gesti. La famiglia di Troisi, in particolare la mamma e la nonna, ha un rapporto simbiotico con la religione. Dalle esperienze di vita quotidiana che egli vive con la sua famiglia, soprattutto durante l’infanzia, prende spunto per i suoi sketch teatrali e televisivi.

La smorfia massimo troisi lello arena enzo decaro
I componenti della Smorfia: Enzo Decaro, Massimo Troisi, Lello Arena

È fondamentale ricordare un fatto della sua vita teatrale per capire anche il suo rapporto con l’istituzione Chiesa. La sua prima rappresentazione teatrale, infatti, avviene all’interno del teatro della parrocchia, ma il testo portato in scena racconta temi che, per quanto attuali, erano inadatti al contesto, per esempio l’emigrazione e l’aborto. Così la rappresentazione venne bloccata dal parroco e gli attori mandati via. Questo evento ha portato Troisi ad allontanarsi dalle istituzioni cattoliche, pur rimanendo un fedele e ciò, unito alla morte della madre, definisce molto il suo pensiero riguardo questo tema.

Durante l’adolescenza conosce Enzo Decaro e Lello Arena, con i quali Troisi fonda il trio La Smorfia e comincia ad esibirsi prima nei teatri e poi in tv. Successivamente il trio si scioglie, ma l’argomento religioso rimane una costante per Troisi, che lo porta anche nella sua esperienza cinematografica.

Chiaramente, col passare degli anni, evolve il suo pensiero a riguardo, ma gli aspetti che lui prende in considerazione sono sempre gli stessi: le Sacre Scritture, il rapporto tra Dio e l’uomo e il miracolo. Quest’ultimo in particolare porta il comico ad una critica più aspra.

All’inizio della sua esperienza televisiva, Troisi prende in esame proprio le Scritture e a volte le utilizza come contenitore per portare all’attenzione del pubblico argomenti di attualità, altre volte per fare una critica alla morale cattolica. Se prendiamo ad esempio il famosissimo Natività (Annunciazione! Annunciazione!), portato in Rai per la prima volta nel 1979 all’interno del programma Luna Park, dove viene raccontata l’annunciazione a Maria, ma in una veste comica: l’Arcangelo Gabriele e il cherubino sono buffi e goffi, ma soprattutto sbagliano casa.

Questa cornice comica racchiude un monologo di Troisi, che nello sketch veste i panni di Maria, nel quale avanza i problemi di Napoli, in particolare la disoccupazione. Sta qui il vero significato della messa in scena. La scelta religiosa in questo caso è quasi una casualità e il modo di rappresentarla serve solo per suscitare il riso. Nonostante questo lo sketch non è stato inizialmente accolto bene dalla Rai e il trio viene accusato di vilipendio alla religione di stato, per poi essere fortunatamente prosciolto. Questo evento è indice della novità e del contesto in cui si inserisce l’operazione del comico.

Diversamente l’Arca di Noè (1970) e il momento in cui viene criticato apertamente un passo biblico, quello del Giudizio Universale. In questo caso Troisi e La Smorfia si pongono una grande domanda: su che base si stabilisce chi è giusto e chi è empio al punto da non meritarsi di salire sull’arca? Nuovamente ritorna la scelta comica di umanizzare i personaggi rendendo più semplice scatenare la risata e i personaggi più comprensibili al pubblico.

L’umanizzazione è indispensabile anche per proporre la loro risposta, incarnata dal personaggio di Noè e da tutte quelle confuse domande che pone a Troisi per stabilire se è giusto o empio, per esempio: «baci con gli occhi aperti o con gli occhi chiusi?», ovvero la morale borghese cattolica, cioè un modo di fare interamente basato sull’apparenza e sui falsi comportamenti. La critica perciò è più a come noi interpretiamo i dettami della Chiesa, che non ai principi stessi.

Nel Monologo con Dio (1979) fa un passo ulteriore, perché si pone completamente da solo sul palco e si rivolge a Dio. Mette in scena sì dei passi biblici, ma con l’obiettivo di parlare anche del rapporto quotidiano dell’uomo partenopeo con la divinità. Dio non risponde, non viene reso umano nel concreto, ma le sue risposte le capiamo dalle battute di Troisi, sia per non cadere nella blasfemia, sia per rappresentare la quotidianità tra l’uomo e Dio, che per i partenopei si basa su un concreto dialogo con la divinità. Qui l’attore arriva a criticare il passo del peccato originale e a sostenere che i comandamenti siano più semplici da rispettare per chi è ricco che per chi è povero. Questa volta è una critica molto più aperta alla morale cattolica, al punto che sembra quasi sfidare Dio a rispondergli.

Vi sono ovviamente altri sketch televisivi in cui ricompare il rapporto tra Dio e l’uomo infarcito di quell’ambivalenza per cui da una parte avviene la critica sociale e la cattiva interpretazione dell’uomo riguardo il mondo dell’Aldilà, dall’altra avviene la critica proprio a quel mondo.

In San Gennaro (1977) per esempio, viene esposto il tema del lavoro e della povertà attraverso le richieste di due uomini al santo di fargli vincere la lotteria, i quali allo stesso tempo criticano il fatto che non cambi niente nonostante tutte le offerte e preghiere, perché la percezione che ne hanno gli esseri umani, almeno secondo La Smorfia, è di una divinità che risponde alle tue richieste come e quando vuoi tu. Se ciò non avviene, ci si lamenta esattamente allo stesso modo di quando si è in coda alle poste o si viene rimbalzati da un ufficio all’altro per risolvere fastidi burocratici. Tutto ciò al punto che nello sketch di Angelo e Diavolo, Troisi fa di tutto per abbandonare il suo Angelo Custode e stringere un patto con il Diavolo.

L’ultimo aspetto analizzabile è quello del miracolo, di cui fa una critica più aperta e più legata all’intimo dell’animo umano. In questo caso Troisi quasi si mette in dubbio la sua stessa fede. Pur portando rispetto, assimila il miracolo alla magia ed al misticismo. Innanzitutto Troisi affronta questo argomento prevalentemente in solitaria: quando giunge al grande schermo, ottiene lo spazio narrativo sufficiente per esprimere quello che vuole e nel quale si delinea meglio la sua evoluzione di pensiero.

Nel suo primo film, Ricomincio da tre (1981), Ugo il padre di Gaetano (Troisi) chiede continuamente alla madonna di fargli ricrescere la mano. Gaetano lo critica e lo guarda con pietà per questa sua ostinazione quotidiana e per le continue giustificazioni. In questo caso lo scopo è proprio quello di sottolineare la differenza tra le due generazioni e di far capire che quella dei giovani si sta muovendo verso un’emancipazione dalla cultura paterna, un’emancipazione che ancora non si è completata, per cui i giovani si ritrovano in una sorta di limbo.

Diversamente in Pensavo fosse amore… invece era un calesse (1991), l’oggetto del miracolo non è più così delineato, ma l’intero film è intriso di misticismo. Si perde la critica alla cultura cattolica e si comincia a considerare l’interiorità dell’animo umano. Il protagonista Tommaso (Troisi) si affida alle mani di una fattucchiera per far innamorare Cecilia, non ci pensa minimamente alla preghiera. Uno degli aspetti più interessanti è che uno dei suoi più cari amici è invece un fervente cattolico, mentre la sorella di quest’ultimo inventa un trucchetto dopo l’altro per far innamorare Tommaso di lei. Insomma è un continuo passaggio dalla preghiera al mistico, per rendere al meglio una società che è molto cambiata da quella del primo film, è più libera ma anche più confusa.

Prima di giungere agli anni Novanta, Troisi compie un ultimo riferimento assolutamente esplicito al miracolo cristiano con il film Le vie del Signore sono finite (1987). In questo caso l’oggetto è il miracolo che Camillo ritorni a camminare. Siccome la vicenda è narrata negli anni Venti, Troisi può permettersi di creare un’ambientazione molto più fedele e meno scettica. L’unico scettico rimane il protagonista, interpretato proprio da Troisi.

Quest’ultimo è bloccato sulla sedia a rotelle e già mostra i primi segni di una fede vacillante, perché non c’è mai il suo personaggio in preghiera, ma sempre qualcuno a cui lui chiede di pregare e agire per lui, per farlo guarire. La fede non riesce ad essere pura fede nemmeno in questa occasione, deve sempre avere un fine concreto che, se non si vede arrivare, finisce per destabilizzare il personaggio. Alla fine Camillo riesce a camminare nuovamente, ma pur di non dare un merito alla grazia divina, lo attribuisce ad una malattia psicosomatica. Per la prima volta, però, viene a perdersi l’elemento comico, quello che suscita spontaneamente la risata, come se Troisi avesse ormai analizzato questo argomento così a fondo da non avere più bisogno del filtro che usava per compiere un’indagine interiore del suo personaggio.

In conclusione direi che Troisi è un comico gentile ma soprattutto concreto. Non è un intellettuale, è un attore e pensatore estremamente intelligente e sensibile nei confronti della realtà circostante. La sua sensibilità si muove con il mutare della società, al punto che non giunge mai ad una conclusione, il suo pensiero e il suo modo di raccontarlo cambia continuamente i base alla realtà. Mescola continuamente il miracolo cattolico con la magia e il misticismo, non solo perché è una caratteristica della cultura partenopea, ma perché è qualcosa in cui lui si identifica e che non riesce mai ad abbandonare.

Il tema religioso dal suo punto di vista è qualcosa che condiziona profondamente il comportamento umano, perché è un fatto culturale; inoltre, sembra dirci che, nonostante tu possa emanciparti, rimarrai sempre legato a quella cultura che ti ha cresciuto, così come è successo a lui.

Nel corso degli anni si vede che Troisi pone sempre più in un angolo questo tema, anche perché la società muta e si apre ad altre visioni che vedrebbero una sua critica alla religione come qualcosa di superato, ma la mia domanda è: se Troisi fosse ancora vivo, come descriverebbe il rapporto che noi italiani abbiamo con la nostra cultura cattolica? Sarebbe inadatto parlarne? Ne parlerebbe ancora come prima? Oppure ne parlerebbe riprendendo quei temi sociali che ancora creano contrasto nell’opinione pubblica come l’aborto e l’omosessualità?

Forse, se consideriamo i temi della sua prima rappresentazione teatrale all’oratorio Sant’Anna, non si farebbe sfuggire l’occasione di dire come vede comportarsi il nostro popolo e chissà forse riuscirebbe a farci riflettere molto di più di tanti intellettuali.

 


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