Non coraggiosa
I coraggiosi sanno
Che non risorgono
Che non ricrescerà loro la carne
Nel giorno del giudizio
Che non ricorderanno più nulla
Non rivedranno nessuno
Che niente li aspetta
Nessuna beatitudine
Nessuna tortura
Io
Non sono coraggiosa
Quando alle aquile del nazismo furono spezzate le ali, la popolazione tedesca uscì dai rifugi e aprì finestre e portoni, lasciando entrare il sole, ma l’emozione della ritrovata libertà, in mezzo alle rovine fumiganti delle città bombardate, fu un battito di ciglia. Il rovello della colpa, cresciuta di giorno in giorno dalla conoscenza degli orrori nazisti, cominciò a insinuarsi, soprattutto negli intellettuali che non erano fuggiti, che non si erano ribellati e si erano rintanati nelle loro case, in attesa che passasse la bufera. Era la colpa per non aver voluto sapere, per aver chiuso i battenti alle spade roventi di un sole troppo prepotente e spaventoso, per non aver sfidato la sorte o meglio la tortura e la morte.
Marie Luise Kaschnitz scriverà nel saggio Sulla Colpa, pubblicato nel 1946, una domanda, posta spesso ai tedeschi rimasti silenti in patria e divenuta famosa: “E tu che cosa hai fatto?”.
Quesito che potremmo porre in ogni epoca anche oggi.
Del resto il mondo è fatto di donne e di uomini semplici, gli eroi sono pochi, per questo la poesia di Marie Luise c’è vicina, vicinissima. Noi come lei chiudiamo a volte le imposte della nostra finestra invece di affrontare il sole prepotente o la pioggia pungente, e viviamo il quotidiano con la colpa della nostra inerzia, da cui ci soccorre la poesia con i suoi versi scarni e veri, nei quali si riflette la nostra immagine di gente comune, di gente disincantata o più spesso delusa.
Ammettere il proprio limite, la propria paura è l’umile scalino su cui troneggia l’essenza migliore dell’umanità.
Ognuno
a Erich Kaufmann
Ognuno, una volta, deve
Cantare la sua patria,
Sputare nel piatto in cui mangia.
Anche io.
La terra natia, questo piccolo pezzo d’Europa,
Dove le ragazze non amano più i soldati,
Dove i soldati non si amano più.
Quanto è sconcertante.
…Di qua e di là dai confini
le parole hanno lo stesso significato
quello di patria e i vecchi
sensi di colpa hanno esaurito il loro ruolo.
Ho scelto le prime e le ultime strofe della lunga poesia Ognuno, dove dialogando poeticamente con un amico, la Kaschnitz denuda i valori spezzati dalla dittatura nazista e canta le macerie di un popolo che ha smarrito l’identità migliore di sé.
Non a caso fu definita “la poetessa delle macerie“, epiteto che a tutta prima, come ha raccontato lei stessa al ritiro del premio Büchner nel 1955, non le era piaciuto ma poi lo aveva fatto proprio, contestualizzandolo nella sua storia umana e letteraria.
Marie Luise nasce a Karlsruhe il 31 gennaio del 1901, da una famiglia aristocratica tedesca. Dimostra versatilità per le lettere e per i libri, così nel 1921 si specializza nell’attività di libraia. Collabora in quegli anni con una casa editrice di Monaco di Baviera e in seguito lavora nella libreria antiquaria di Leonardo Olschki a Roma, dove conosce l’archeologo viennese Guido von Kaschnitz – Weinberg con il quale si sposa.
Negli anni bui della guerra la coppia non se la sente di fuggire dalla Germania, in fondo non sono ebrei: lui insegnante austriaco di archeologia, lei tedesca libraia e studiosa di miti greci e della pittura di Courbert, di famiglie aristocratiche entrambi, restano patendo l’indigenza.
Negli anni 1942 e 1943 il giornale Frankfurter Zeitung, prima di essere chiuso dai nazisti, pubblica delle poesie di Marie Luise, nelle quali sembra che la realtà presente, oppressa dall’orrore e dalla guerra, svanisca, traghettando il lettore in un mondo diverso, fatto di miti perduti nel tempo. Un modo per parlare del presente senza mai nominarlo e per trovare nella letteratura una risposta al dramma e alla paura, una speranza, uno spicchio di sole nel cielo carico di nubi viola; dove tutto trova una giustificazione e una certezza di riscatto. Questa può essere considerata la sua piccola rivoluzione d’intellettuale, in controtendenza con gli ideali di morte e distruzione propalati dai nazisti.
Dopo la guerra, la coppia si sposta a vivere in diverse città, dove il marito di Marie Luise lavora come archeologo ricercatore, mentre lei si dedica alla scrittura di romanzi, saggi, poesie e programmi radiofonici.
Muore a Roma il 10 ottobre del 1974.
Ha pubblicato libri di poesie, di racconti, di saggi, due romanzi e interessanti e pungenti Dialoghi radiofonici, eppure è un’autrice pressoché sconosciuta in Italia, dove peraltro ha vissuto ed è deceduta. Il tempo oblia le voci meno possenti e la sua rispetto alla sua conterranea più famosa Ingeborg Bachmann, tale appare nel clamore dei versi che affollano le antologie.
Per questo ringrazio la sempre citata rivista Poesia di Crocetti editore, che mi apre orizzonti sconfinati e conoscenze preziose.
Torniamo a parlare della poesia, dei versi che Marie Luise ci regala, lasciandoci rapire dalle immagini, dai vuoti e dalle parole appese sull’infinito.
L’Iniziato
Ha mangiato dal tambourin
ha bevuto dal cembalo
unragazzo accovacciato nel campo di riso<
che solca col dito
la terra nera
unragazzo salta sopra
nubi rispecchiate
in qua in là
sotto le nubi
unragazzo alza la sua
voce e sciami
di parole escono
dal suo petto
come stormi di uccelli.Da qualche parte in mezzo
alle urlanti città
io
abbasso il volto<
scrivo.
Chi è se non il poeta, l’iniziato accovacciato che scrive, abbassando il capo, in mezzo alle “urlanti città“, umiliato dalla violenza e dall’arroganza?
Questo ragazzo quasi magico, un’immagine scolpita all’interno di un quadro che sembra suonare insieme al cembalo, evocando colori aranciati che sfumano e digradano nel finale, dove la parola s’apparta dal “mondan romore“, come direbbe Dante, e piega la testa per un’umiltà, tutta racchiusa nell’atto dello scrivere e quindi del pensare, guardando dentro il riflesso di tutto quello che fuori si proietta.
L’imperdibile
Roma. Veduta notturna.
mura brunoazzurre
travature illuminate
e i cedri
dalle cime sghembe
contro il cielo più chiaro.
Immagini imperdibili. Così
scorreva sul Danubio la corona
di fiori settembrini
a memoria dei suicidi
fiammeggiante verso la foce. Così
cadevano le gocce intrise di luna
dal remo
quando tornavamo al porto
e cercavamo giù nel fondo
nell’acqua nerochiara
i mercanti dei morti.
C’è poco di Roma, così come noi la conosciamo, perché è una città notturna, dove i colori sono spenti, i bianchi marmi ingrigiti e le mura brunazzurre . Il Tevere come il Danubio nella magia dei ricordi si confondono, non s’odono voci ma della vita si sente il rumore del porto e lo sciabordio dell’acqua nerochiara, e quella complicità di una vita trascorsa, segnata da una storia che ha lasciato un segno indelebile in chi l’ha vissuta.
Non detto
Quel che del sole sarebbe stato da dire
o del lampo, non una sola cosa giusta,
figuramoci dell’amore.
Tentativi, Ricerche, Fallimenti
inesatta descrizionetrascurato il rosso dell’alba
non parlato del seminatore
e solo annotato a margine
il ranuncolo e la violetta.Non vi ho rincuorato
con l’eterna beatitudine
non rinnegato la decadenza
e neppure la disperazionenon dipinto il Diavolo più brutto
perché io non ci credo
non lodato Dio<
ma chi sono io per
>Quante cose avremmo voluto dire e non abbiamo detto?
Quanti gesti, quante immagini, quanti interrogativi sono rimasti nascosti nei nostri ricordi che riaffiorano d’un tratto in quell’età della vita umana, chiamata maturità, quando il sole comincia a volgere al tramonto, spezzando, come un vento impetuoso, le nostre misere certezze?
Tutta la nostra vita si riflette in questi versi, le nostre incomprensioni e le nostre paure. L’Io che fa capolino è un Io fatto di molte anime, il verso rimane incompiuto con una preposizione, che si perde nel deserto bianco della pagina non scritta.
È nei vuoti che la poesia lascia lo spazio al pensiero, affinché il lettore possa trovare una parte di sé, del suo mondo, della sua storia.
Purtroppo la maggior parte della gente rifugge la poesia, proprio perché in questo tempo accelerato, scardinato dal suo naturale fluire, costruito ad arte per la fortuna di pochi e l’illusione di molti, nessuno ha voglia di pensare, di perdersi nel vuoto di una preposizione, nel quale vede riflessa la sua vita frenetica e insulsa, dove la sera arriva quando è già mattina.
Chiudiamo questa chiacchierata su questa poetessa con una poesia, in cui Marie Luise parla della sua passione per la scrittura, con ironia, sincerità e schiettezza, doti che hanno contraddistinto tutta la sua opera e la sua vita.
Scrivendo
Scrivendo, volevo
Salvarmi l’anima.
Tentai di fare versi
Non funzionò.
Tentai di raccontare storie
Non funzionò.
Non si può scrivere<
Per salvarsi l’anima.
Lei, data per persa.
Per approfondire:
Rivista Poesia n.343 Crocetti Editore, Articolo a cura di Nino Muzzi (alcune delle poesie sono tratte dalle sue traduzioni)
Le miniature Romane di Kaschnitz a cura di Giuliano Lozzi Univ. Della Tuscia
Atti del Convegno In Fuga, Temi Percorsi e Storie -tenuto a Milano nel 2013 a cura di Bellini e Segato
Su La presenza di Erato un articolo a cura di Anna Maria Curci con una bella selezione di liriche da lei tradotte, alcune delle quali sono state riportate nell’articolo.
Su Poetarum Silva un articolo su Marie Luise Kaschnitz
Poesie di Marie Luise Kaschnitz su Biancheggiando
Cronache di Mutter Courage