Zelda e Scott Fitzgerald

Zelda Fitzgerald, una voce dimenticata

Zelda Fitzgerald è la moglie di Francis Scott Fitzgerald: quasi non può esistere senza il marito, l’identità di Zelda Sayre (suo cognome da nubile) sfuma in quella onnipresente del famoso scrittore. La sua voce autentica è soffocata dall’immagine di lei che ci viene restituita dalle opere di lui: nei suoi romanzi infatti è sempre riconoscibile e anzi quasi esibita la vita reale condotta dalla coppia, intrisa di difficoltà e momenti oscuri che squarciano la patina dorata da cui erano celati.

In ogni donna descritta da Fitzgerald c’è sempre qualcosa di Zelda: ragazze bellissime che incarnano un ideale, ma che sotto la facciata di apparente perfezione si rivelano fragili e insicure[1], al pari degli uomini che stanno loro accanto. Se però la Daisy amata da Gatsby è un oggetto del desiderio quasi irraggiungibile, la donna di un altro da conquistare e trasformare in amante, nella maggior parte delle altre opere di Fitzgerald la figura femminile è quasi sempre moglie: un ruolo ben diverso, che permette quindi all’autore di mostrare tutte le fatiche e gli scontri che caratterizzano la quotidianità di un rapporto a due dopo il matrimonio.

Scott prova a fissare sulla carta la sua compagna di vita cogliendone ogni sfumatura e restituendoci di volta in volta aspetti nascosti del suo carattere, del suo atteggiamento, dei suoi pensieri. Ma non è mai la vera Zelda, è solo un’immagine riflessa attraverso il suo sguardo, trasfigurata non solo dalle esigenze narrative ma proprio dalla percezione personale che il marito ha della compagna: essere vicino, in comunione e quasi in simbiosi, ma che non può mai essere davvero sovrapposto o annullato.

Zelda e scott fitzgerald

Se vogliamo conoscere la vera Zelda allora dobbiamo ascoltare direttamente le sue parole, la sua voce: la sua più autentica rappresentazione letteraria è proprio quella che traccia lei stessa nell’opera semi-autobiografica Lasciami l’ultimo valzer (Save me the waltz, pubblicato in America nel 1932), unico suo romanzo ormai quasi caduto nell’oblio; una storia che sembra seguire a distanza il percorso letterario svolto dal marito, rispondendo punto su punto a ciò che lui ha narrato di loro e raccontando la sua versione dei fatti, dal suo punto di vista. Non vi proporrò qui un riassunto della trama, invitandovi a scoprire di persona questo romanzo sofferente e sognante al tempo stesso.

La gente diceva: «Quelle ragazze credono di poter fare ciò che vogliono come fossero le padrone del mondo!»[2].

Inizia così la storia di Zelda e del suo alter ego narrativo Alabama (lo Stato in cui la scrittrice è nata e cresciuta), con un riferimento alle cosiddette “flapper”, che proprio in lei hanno trovato la loro rappresentante ideale. Su di loro Zelda scrisse anche alcuni articoli pubblicati da testate giornalistiche dell’epoca, come ad esempio Elogio della flapper comparso nel 1922 su Metropolitan Magazine e Cosa ne è stato delle flapper? nel 1925 su McCall’s.

Il romanzo segue le vicende di Alabama e del marito David, ma si discosta dalla realtà in modo decisivo nel finale, quando all’esperienza dolorosa degli ospedali psichiatrici (che ha portato proprio alla stesura dell’opera, nata inizialmente come scrittura di ricordi a scopo terapeutico) si sostituisce un sogno, il vagheggiamento di un’evasione impossibile, di un’emancipazione dal marito in cerca della propria identità, rappresentato nella finzione dal debutto tardivo come ballerina a Napoli.

Zelda Fitzgerald

«Alabama» la pregò David «se tu la smettessi di vuotare i portacenere prima che gli ospiti se ne siano andati definitivamente saremmo più felici».

«Trovo che è un gesto caratteristico della mia personalità. Io mi limito semplicemente a radunare tutto quanto in un gran mucchio sul quale ho appiccicato l’etichetta “Passato” e, avendo così vuotato questo profondo serbatoio che una volta ero io, sono pronta a continuare»[3].

Proprio nello stesso periodo Scott stava cercando di portare a termine Tenera è la notte, la cui gestazione durò quasi un decennio e che venne infine pubblicato nel 1934. Qui il personaggio di Nicole sembra rispondere e dare continuità al finale vissuto dal personaggio letterario creato dalla moglie, dando nuova vita a una donna sofferente che ritrova la sua forza interiore, lasciando il marito e riscoprendo se stessa.

Zelda FItzgerald

Per concludere vi lascio due consigli, altre voci che si affiancano al romanzo di Zelda.

Nel volume Ogni storia è una storia d’amore (Mondadori, 2017) Alessandro D’Avenia traccia il profilo di numerose donne che a vario titolo si sono affiancate a importanti artisti, sacrificando la propria unicità a favore della loro arte. Un capitolo è proprio dedicato a Zelda: l’autore prova a immaginare i pensieri più intimi di una donna davvero straordinaria che visse accanto a (anzi, all’ombra di) un uomo altrettanto geniale, ma al contempo, come lei, anche troppo fragile. Il volume inoltre è un’ottima occasione per scoprire tante altre figure femminili che la storia ha relegato al passivo ruolo di mogli, muse, compagne silenziose, ma che hanno invece molto da raccontare.

Il secondo consiglio è la miniserie televisiva Z The beginning of everything, con l’attrice Christina Ricci a interpretare una giovane Zelda; il titolo proviene da una lettera di Scott, scritta a un’amica prima ancora di sposare Zelda, in cui parlando di lei dice «I love her, and it’s the beginning of everything».

Mescolando verità e finzione in modo impercettibile, vengono mostrati i primi anni della conoscenza e del matrimonio di Zelda e Scott; l’unica pecca di questa produzione è quella di essere stata interrotta al termine della prima stagione. Ma forse è meglio così: sullo schermo ci sono solo due giovani innamorati, pieni di sogni e di speranze per il futuro: intravediamo appena in lontananza le burrasche che arriveranno, ma possiamo provare a cullarci nell’illusione che tutto andrà bene e che quell’epoca scintillante non si spegnerà mai.

 


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