Il 2 agosto 1876 James Butler Hickock, tramandato alla storia come “Wild Bill”, entrava nel saloon Nuttal & Mann’s di Deadwood, attuale Sud Dakota, per non uscirne mai più. Considerato da molti il più grande pistolero del West, Bill venne freddato a tradimento da un colpo alla nuca, non essendo riuscito, com’era solito fare, a dare la schiena al muro durante quella che sarebbe stata la sua ultima partita di poker. Al momento dell’assassinio, Hickock aveva tra le mani una doppia coppia d’assi e otto, di picche e fiori. Questa combinazione di carte nere suole da allora definirsi “la mano del morto”.
Verso la fine del XI secolo a Roma, a un’abissale distanza spazio-temporale dal piccolo insediamento di pionieri e minatori di fine ‘800, veniva messo a muro quello che oggi è considerato il primo esempio di “volgare” italiano, nonché, probabilmente, uno dei primi antenati dell’odierno fumetto.
Qual è il nesso tra questi due avvenimenti così diversi?
…
Beh, non c’è.
Eccezion fatta per il mio essere a conoscenza di entrambi, ovvio.
Ci tenevo a menzionare entrambi. Per amor di coerenza[1] e per ragioni di produzione, l’articolo di oggi dovrà vertere sul secondo fatto[2].
Chiarito questo punto, è lecito passare alla parte interessante.
Il tema del giorno è la cosiddetta iscrizione di San Clemente e Sisinnio, sita nella basilica romana di San Clemente al Laterano.
Il pezzo che ci interessa è il riquadro rettangolare in basso. La contemplazione delle restanti componenti dell’opera d’arte potrebbe in questo caso risultare nociva e spingere alla consultazione di effettive rubriche di approfondimento artistico. Siete stati avvisati.
Il frammento in questione mostra tre loschi individui dalla linea invidiabile intenti, tramite tecniche che sfidano le leggi della fisica e quelle della tutela dei lavoratori, a trascinare una colonna; il tutto sotto la supervisione di un adulto in mantello rosso (mai andare in cantiere senza). Ad affiancare i quattro, una miriade di scritte fluttuanti.
Un aiutino?
L’ immagine narra uno dei miracoli attribuiti a S. Clemente (poi papa Clemente I), il quale, avendo spinto alla conversione Teodora, nobildonna romana moglie del prefetto Sisinnio, si sarebbe attirato le ire di quest’ultimo. La scena in alto mostra proprio il primo tentativo del patrizio di interrompere una delle funzioni di Clemente; scongiurato, com’è presumibile, da un prodigio divino. Deciso a non lasciarsi scoraggiare da una divinità che non scaglia fulmini, non ha calzari alati e non intrattiene rapporti con Afrodite, Sisinnio torna alla carica, stavolta portando con sé la cavalleria: i suoi servi Gosmari, Albertello e Carboncello, i cui nomi altisonanti e minacciosi ben si adattano alle corporature da top model (esatto, sono i tre di prima). Lo scopo dei quattro malintenzionati sarebbe trascinare via Clemente, ma il miracolo è di nuovo dietro l’angolo, e gli aguzzini si ritrovano, improvvisamente e senza accorgersene, a trascinare una colonna.
Veniamo ora agli aspetti rivoluzionari della vicenda, ossia la comparsa del volgare e, al contempo, quella del fumetto: le “parole fluttuanti” di prima altro non sono che nuvolette, battute pronunciate dai vari personaggi. Siamo incappati in un protofumetto. L’elemento caratteristico, equivoco e tuttora non trasparente, in questo caso, è la disposizione delle battute stesse, che in apparenza sono a un tempo site a fianco del loro destinatario, e a un altro vicine a colui che le pronuncia, in assenza di una moderna pipetta.
È nella diversa lingua attribuita ai personaggi, invece, che notiamo la dicotomia tra il latino, colonna portante (letteralmente, in questo caso… [Ba dum tss].) tanto della cultura romana quanto di quella cristiana emergente, e il volgare ancora primitivo, in via di sviluppo: si servono della seconda sia i tre lavoratori sia, paradossalmente, il patrizio romano, mentre il dominio della lingua colta (e, per associazione d’idee, “giusta”) rimane del santo, il quale “off-screen” si prende gioco delle fatiche dei suoi aguzzini.
Le battute dei vari personaggi, già esposti i debiti dubbi, sono quelle che seguono: “Falite dereto co lo palo, Carvoncelle“: “Fa leva da dietro col palo, Carboncello!”, in cui Carboncello è, apparentemente, il personaggio convinto che trascinare un uomo richieda un bastone per fare leva (e che, soprattutto, si accompagna a gente convinta della medesima cosa); “Duritiam cordis vestris, saxa traere meruistis“: “Per la durezza del vostro cuore, meritaste di trascinare pietre”, la frase di S. Clemente, pronunciata in latino; “Albertel trai“: “Albertello, tira!”, frase probabilmente pronunciata da Gosmari, il cui nome è scritto vicino al secondo personaggio da destra, quasi a indicarne la posizione in mancanza di qualcuno che gli si rivolga direttamente; “Fili de le pute traite“: questa è la frase attribuibile a Sisinnio, che, sovrintendendo l’intera operazione, incoraggia i suoi prodi con la frase “Tirate, figli di…”
…
Oh cielo.
Ok, forse il volgare ha anche qualcosa da spartire col turpiloquio.
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