Certi libri sembrano scritti non perché leggendoli si impari,
ma perché si sappia che l’autore sapeva qualcosa.Wolfgang Goethe
La cultura che si compiace narcisisticamente del proprio fascino, che scrive per crogiolarsi nelle acque della propria raffinatissima erudizione è più dannosa delle repliche di Uomini e Donne. Quando la ricerca smette di essere innovativa, ma sterile ripetizione delle pubblicazioni precedenti, quando il dibattito diventa finissima e aridissima polemica, quando il sapere diventa barocco nozionismo, allora la cultura fallisce. Quando gli intellettuali e gli accademici rimangono chiusi nei loro minuscoli e inarrivabili studi, impegnati nella stesura di un testo esoterico, allora la scuola e l’università hanno fallito.
Da questo divorzio tra la cultura e il popolo sono nate due figure separate: da una parte l’intellettuale accademico, dall’altra il divulgatore. Il primo è elitario, esoterico e non si occupa della sua disciplina, ma di un ramo, di una corrente, di uno specifico settore relativo alla sua sfera di competenza. L’altro somiglia a un maestro che spiega passo passo l’intero sussidiario con voce calma e pacata, spaziando dai vulcani agli antichi romani, passando per il sistema nervoso centrale; nelle sue spiegazioni non rifugge dai tecnicismi, ma evita l’abuso di termini dotti e poco comprensibili.
Tra le due professioni, non c’è nessuna figura, nessuna sfumatura, nessun mediatore.
Uno dei più grandi talenti di Tullio De Mauro è stato quello di aver avuto uno sguardo in prospettiva, di aver saputo approcciare verticalmente il mondo della cultura e del sapere, dagli accademici ai lettori non specializzati. De Mauro è stato in grado di parlare in modo efficace ad entrambi i mondi e a tutte le sfumature di lettori che esistono tra gli analfabeti funzionali e gli accademici.
In questo atteggiamento traspare una volontà pedagogica e democratica molto rara. De Mauro credeva che la cultura potesse essere un bene per tutti. Un bene da distribuire non in modo uguale, ma equo. Questa equità è raggiungibile solo ponendosi dalla parte dell’ascoltatore, del lettore. Significa scrivere e parlare in modo comprensibile per e alla persona che ci sta davanti. Significa sostenere e garantire il diritto a comprendere.
Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite: proprio per questo, diceva un filosofo: «Gli Dei ci hanno dato una lingua e due orecchie». Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato, se parla in privato e da privato. È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante, un dipendente pubblico, un eletto dal popolo. Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire.
Con queste parole è stato inaugurato nel 1989 il mensile Dueparole, una rivista che si rivolgeva a persone con deficit cognitivo, a stranieri, a giovani e a persone svantaggiate socioculturalmente. Dal momento che leggere il giornale è un’operazione complessa e spesso frustrante per queste categorie di lettori (che spesso devono rinunciare alla lettura perché non possiedono gli strumenti per avere accesso ai testi) Dueparole ha creato un giornale speciale, comprensibile a tutti.
Ha risposto alle esigenze di fasce di popolazione escluse dal diritto di accesso all’informazione attraverso la creazione di un nuovo formato, con nuovi obiettivi e un nuovo pubblico. Il mensile riportava in forma estremamente semplificata notizie di ampia diffusione, rimuovendo le barriere linguistiche e grafiche che limitano e ostacolano la comunicazione. L’operazione aveva riscosso un discreto successo, raggiungendo la quota di 3500 abbonamenti cartacei.
La creazione e la pubblicazione di Dueparole è frutto di una precedente riflessione teorica condotta De Mauro, insieme al gruppo G. I. S.C.E.L. (Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica), sintetizzata nelle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica (1973), i cui si sottolineano l’importanza e la necessità un cambiamento a livello pedagogico al fine di garantire un’educazione linguistica democratica.
L’applicazione di tali linee di intervento ha portato alla nascita nel 1980 dei Libri di Base degli Editori Riuniti, ovvero una collana di testi in grado di soddisfare le esigenze di lettura di un pubblico vasto, avente la licenza media. Per essere pubblicati, i libri dovevano possedere un grado di leggibilità molto alto, misurato attraverso un’analisi statistico-matematica, garantendo così un testo accessibile anche ai lettori più inesperti.
Si tratta di un’operazione editoriale di fondamentale importanza. Per avvicinare nuovi lettori ai libri, non si può pretendere che inizino con Dante. Bisogna proporre testi commisurati agli interessi e alle competenze del pubblico, bisogna mettersi dalla parte del fruitore non dell’autore.
Undici anni dopo l’ultimo numero di Dueparole, la necessità di scrivere e parlare in modo chiaro e comprensibile a tutti rimane un’urgenza di cui spesso non ci si cura, soprattutto a livello istituzionale. Nel suo ultimo libro De Mauro ha ribadito questa necessità citando i dati raccolti dall’Ocse nel corso di un’indagine internazionale di durata triennale (PIAAC Programme of International Assesment od Adult Competencies).
Secondo tale studio nel nostro paese il 95% della popolazione sa usare l’italiano nella comunicazione orale, soltanto meno di un terzo della popolazione adulta mostra di poter accedere pienamente alla comprensione di un testo scritto e il 70% degli adulti in età da lavoro ha a disposizione solo lo scambio orale per aiutarsi orientarsi.
In Italia il 5% della popolazione è classificabile come analfabeta strumentale (incapace di compitare); il 33% soffre di analfabetismo funzionale: sa decifrare lettere e brevi frasi, e, ancora, il 33% è a rischio di analfabetismo funzionale: riescono con difficoltà a decifrare frasi più complesse ma non raggiungono il livello necessario per partecipare alla vita sociale, il 10% è pienamente alfabetizzato ma presenta deficit di problem solving, il 19% possiede le competenze alfanumeriche e di problem solving necessarie per svilupparsi nella vira di una società sviluppata[1].
Alla luce di questi dati è evidente come il divario tra i diversi livelli di alfabetizzazione renda necessaria la presenza di un ponte, di un dialogo, di una comunicazione modulata in funzione del destinatario.
De Mauro ha scritto tanto, per accademici e lettori comuni. In tutti i suoi testi non ha mai scritto per sé, ma per farsi capire dai suoi lettori, più o meno colti. Si è battuto per portare la cultura e i libri fuori dalle rocche del sapere, perché tutti potessero leggere le notizie e non solo, perché l’insegnamento a scuola fosse più efficace, perché il diritto a comprendere sancito dalla Costituzione fosse realmente rispettato.
È stato un vero intellettuale, al servizio non della sua personale erudizione, ma della comunità.
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