Quando mi chiedono “A chi daresti il premio Nobel per la Letteratura quest’anno?” rispondo solitamente con lo stesso nome da anni. Potrebbe sembrare un ritornello, un mantra ripetuto ormai alla nausea. Non è così: ogni anno mi sento sempre in imbarazzo nell’indicare in Murakami Haruki il mio favorito.
L’impiccio nasce dall’estrema noia che aleggia da tempo sulle previsioni pre-Nobel. Murakami o Roth, Murakami o Roth, etc. Il rischio è quello di perdere di vista le ragioni effettive di questa duplice scelta (d’altronde non si può negare l’intenso impegno letterario anche di Roth, eventualmente) a favore di uno status, quasi, un’aspettativa sempre fissa che viene puntualmente smentita dall’Accademia di Svezia che consegna il premio ad autori o autrici sconosciuti perlopiù al pubblico di massa.
Dunque partirei da qui, dalle origini: dalle ragioni che, secondo me, hanno spinto a portare Murakami da anni vicinissimo al Premio Nobel, ma che molti hanno dimenticato a furia di ripetere il suo nome. Quali sono i tratti caratteristici della sua narrazione? Dove sta la sua peculiarità letteraria?
Il primo elemento è evidente a chiunque abbia letto anche solo dieci pagine di un suo qualunque libro: i mondi che compongono le sue storie sono surreali. Tuttavia non vengono mai posti in una prospettiva distopica, alienante: il mondo di Murakami si fonda sul simbolismo e sul sogno; e i personaggi compiono le proprie azioni seguendo un percorso che si fonda sull’oniromanzia.
In altre parole, il loro percorso formativo (se presente; ma la maggior parte delle volte c’è) presuppone la crescita in un mondo distorto, diafano e a tratti severo. Murakami fonda sulla dimensione onirica il suo messaggio più importante: l’alter-ego, l’Altro-Mondo (quello di 1Q84, per intenderci), non sono- come potrebbe sembrare- duplicati del Mondo reale per far sì che i protagonisti, per maturare ulteriormente, crescano in una dimensione, se possibile, ancora più aspra e difficile; lo spessore simbolico e la sensazione densa di vivere in un sogno sembrano nascere direttamente dagli stessi protagonisti: sono la piena dichiarazione del non volersi confrontare con la vita e col Mondo reale.
Anche a costo di perdere le linee guida e l’orientamento in un qualcosa di parallelo e ignoto; anche a costo di perdere se stessi: simboli davvero significativi risultano essere in questo senso il pozzo senza fondo in L’uccello che girava le viti del mondo, in cui il protagonista deve immergersi per ritrovare se stesso, o ancora il bosco/labirinto di Kafka sulla spiaggia.
Sostanzialmente si tratta di realismo magico; il tratto più interessante, però, è l’analisi sociale che si riesce a trarre dagli elementi surreali che compongono i romanzi di Murakami.
Chiarito per sommi capi il contesto nel quale ci si muove all’interno dei suoi romanzi, è interessante sottolineare come tutto l’apporto mitologico del quale egli si serva sia stato fissato e scandito paradigmaticamente in ogni opera attraverso risorse che vengono applicate di volta in volta per esplicare quella che è la funzione principale della mitologia, del mito: trasmettere verità esistenziali.
In particolar modo, Murakami si serve di animali magici, incantati, spesso parlanti; guide dantesche attraverso i passaggi critici dell’Altro-Mondo. E proprio i passaggi rappresentano le soluzioni narrative e formative attraverso cui raggiungere uno stato sopraelevato di coscienza e maturità. Sono prove da affrontare: ecco quindi le foreste, le capanne sperdute, i pozzi, jazz bar semi-deserti e i sogni (questa volta reali, interni). Il fil rouge è ovviamente quel percorso di iniziazione del protagonista attraverso diverse esperienze, caratterizzate spesso dal passaggio in altre dimensioni.
I personaggi, infine, sono “personaggi-schema”, caratterizzati da un’aura che sembra trasmettersi di romanzo in romanzo. Riguardo autori come Tanaka, Murakami e Yoshimoto Banana, autori nipponici che quindi sono esplosi negli ultimi decenni, lo scrittore e critico Katō Shūichi ha detto nella sua Storia della letteratura giapponese in tre volumi:
Diversi dai personaggi dei precedenti romanzi popolari, i protagonisti sono tutti giovani, non hanno legami familiari né preoccupazioni economiche, si muovono in uno spazio astratto, quasi artificiale, senza sentimentalismi, senza restare coinvolti con il destino di altri. Uomini e donne egocentrici, spesso intelligenti, spesso emotivi, e quasi sempre melanconici, che vivono una vita senza scopo. Si appassionano alle novità, alle cose che vanno di moda: vestiti, musica, vitto, località e infine al rapporto tra uomo e donna; non fanno che andare a far spese, telefonare, incontrare gli amici, e andare a letto insieme. Né passione d’amore, né odio, né una forte personalità. I personaggi fanno questo, fanno quello, a casaccio, «nantonaku», senza sapere perché, come l’ha definito Tanaka Yasuo. Sono «nantonaku storie».
Katō Shūichi, Storia della letteratura giapponese, p. 358, Vol. III (Marsilio, 2000)
Questo aspetto è interessante perché esplica la situazione della società contemporanea e di chi la compone: noi. A voler fare un lavoro completo ed interessante si dovrebbero ora cercare di estrapolare quali e quanti sono gli elementi occidentali nella narrativa nipponica degli ultimi decenni, compreso (soprattutto) Murakami. Ma qui non ce n’è il tempo, e non credo di averne per ora nemmeno le competenze adatte.
Rimane comunque da mettere in luce l’esistenza di quest’aria, già citata, che collega tutti i romanzi e che permette ai personaggi e ai simboli che popolano i suoi universi mitologici di respirare e quindi vivere. Le raffiche che compongono questa brezza sono interne, e non c’è dubbio che mantengano dei lineamenti nipponici (per quanto, come detto, gli elementi occidentali siano moltissimi). La cosmo-visione dell’ultima letteratura giapponese e quindi di Murakami si fonda sul riconoscimento della spontaneità delle cause, intesa come coscienza che l’origine dei fenomeni naturali e, soprattutto, magici nasca a prescindere dalla consapevolezza dell’uomo. I personaggi di Murakami vivono passivamente la vita, spesso anzi la rifuggono. L’unica via possibile sembra essere quella di rifugiarsi in un lungo sogno; affondare inconsapevolmente.
Questi elementi aiutano a decifrare il lavoro di Murakami: l’autore nasconde la Letteratura in una dimensione in cui è davvero difficile rintracciarla. Ne emerge senza dubbio una spontaneità spiccata, libera da impalcature ingombranti o schemi asfittici. Il fatto è che leggere Murakami non è un’azione troppo distante dal sognare, e non c’è retorica in quest’affermazione. Il problema, semmai, sta nel riemergere dal sogno: come interpretarlo?
A prescindere dai gusti personali, trovo che il lavoro letterario di Murakami vada premiato con il Nobel per l’estrema abilità nel raccontare i limiti e il senso di inadeguatezza della società moderna avvalendosi di schemi narrativi che uniscono tradizione letteraria e simbolismo onirico. Riuscire a raccontare la realtà e la società con la letteratura non è facile. Farlo con un sogno mascherato da letteratura ancora meno. Se ci riesci, sei il più grande.
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