Sarkis Katcha

L’esule Hrand Nazariantz

Bari

Mezzanotte: ecco suonan lenti i dolci
Colpi notturni. Come una parvenza
di splendore e di gloria, alto s’accende
l’orizzonte secreto del mio lungo
esilio, verso l’infinito tesoro
delle tue stelle, mezzanotte, o bianca
città eletta del mio dolore errante:
ecco il divoto cantico, o città
nel profondo silenzio s’apre come
cattedrale di puri, umili simboli.

O città aperta innanzi al chiaro acciaio
del tuo mar quest’ è l’ora
chiara e perfetta in cui
un radioso carcere
intonar potrebbe il mio dolore
vagabondo.

[…]

E la mia anima,
che questa notte a sua severa
immagine riplasma,
sogna, sogna, nel cantico devoto
consacrato alla tua fortuna e alla
tua bella gloria,
o Città eletta dal mio amor, città
che io vedrò pur negli occhi della morte,
dinanzi al chiaro acciaio del tuo mare,
pei lauri sanguinati dei tuoi sogni
lacerati,
l’anima triste sogna gli impossibili
paradisi del suo dolente fato.

composta a “Nor Arax” Villaggio armeno, Bari 1930

Francesco Netti Angolo di Santeramo 1

Con il grande Hrand Nazariantz chiudiamo la prima trilogia di poeti armeni. La letteratura armena è un mondo sconfinato per molti di noi ancora sconosciuto; eppure le nostre culture si sono intrecciate e si sono arricchite l’un l’altra nel corso del tempo e soprattutto è ricca di poesia al femminile, motivo per cui è da approfondire e conoscere.

A Bari, città che accolse il grande Poeta nel lontano 1913, vive un amico e studioso del grande Nazariantz, il Prof. Carlo Coppola, al quale pongo delle domande, certa che potrà arricchire le nostre conoscenze in merito alla poesia armena e al messaggio di questo grande vate, apprezzato e riconosciuto in tutto il mondo.

Caro Carlo, tu che da anni studi con passione e fervore la letteratura armena, divulgandola in Italia anche attraverso il blog del Centro Studi che porta il nome del grande poeta, raccontaci intanto come è nata questa tua passione e chi era Hrand Nazariantz e quale ricchezza ha apportato nella nostra letteratura.

Cara Silvia, ti ringrazio molto per queste domande che mi poni. Sai, mi sento sempre poco degno, di usare il termine divulgazione. Per divulgare, infatti, occorrono delle competenze scientifiche nello studio della lingua, oltre alla comprensione dei fenomeni letterari, che io non sento di possedere pienamente in merito alla letteratura armena. Mentre in ambito italianistico, possiedo qualche competenza storico letteraria, sulla letteratura armena vado avanti per comparazione e differenze tra la nostra letteratura e quella armena.

Molte volte le mie considerazioni le tengo per me, per evitare polemiche con taluni studiosi o con personalità che hanno certamente conoscenza monumentale e che in passato non hanno esitato a sottolineare la loro posizione di supremazia. Se sei un elefante è ovvio che tu sia più grande di un cavallo, non occorre mettersi in competizione.

Questi illustri signori hanno provato a demolire il mio approccio, poco accademico, e molto empatico a Nazariantz. Per me Hrand Nazariantz, infatti, è stata una grande scoperta, di quelle che ti cambiano dentro. Hrand Nazariantz ha rappresentato la quintessenza dell’Umanità intera, con le proprie virtù, le proprie cadute, le proprie speranze e i propri sogni, delusi o realizzati.

Nato in una famiglia agiata, morì come l’ultimo dei derelitti, dopo aver avuto a che fare con capi di stato, ambasciatori, ministri, premi Nobel, alti prelati ecc… Prima di arrivare in Italia, Nazariantz era convinto che la nostra letteratura avesse generato l’unico fenomeno poetico e letterario in grado di produrre un cambiamento nella letteratura di tutto il mondo, più coerente e puro degli esiti poetici del romanticismo, del neoclassicismo o del socialismo. Di Marinetti e della poesia Futurista di Paolo Buzzi, Enrico Cardile, Libero Altomare e soprattutto del Vate Gian Pietro Lucini detto il Melibeo, parlava e scriveva a tutti i suoi corrispondenti in giro per il mondo.

Tradusse il Manifesto di Marinetti e per farlo coniò la parola Apagayapashtutyun, parola ignota derivante dall’aggregazione delle parole Apagaya = futuro e Pashtutyn = adorazione. Di questo futurismo universale facevano parte gli autori che egli amava. Una sorta di canone letterario personale di cui facevano parte a vario titolo mistici come San Gregorio di Narek, Nerses Shnorhali, Dante Alighieri, Torquato Tasso, Omar Khayyām, Sayat Nova e gli Arshug (i bardi armeni) di cui in qualche modo si riteneva un esponente. In realtà alla nostra letteratura Nazariantz ha restituito, più che dato, facendoci comprendere che anche quando le cose sembrano essere poco interessanti, in realtà, non si deve mai perdere la fiducia nell’Arte come prodotto della più alta Umanità.

Tetyana Yablonska, Villaggio armeno
Tetyana Yablonska, Villaggio armeno

Sul battello d’esilio

Battello d’Esilio, dove rechi
l’anima peregrina?
Nel vespero incantevole
da l’alito caldo,
le tue vele si incendiano
sanguinosamente…

Dove, in tal porto rechi
tu la triste anima
tragica e disperata
– in coma sotto gli allucinanti
bagliori del tramonto –
dove, dove o arcano
mio battello d’esilio?
verso qual meta t'[a]gita
il folle sogno
che rantola e sogghigna
ne l’infinito spazio
ed attende la Tenebra?
quale atroce secreto, o taciturno
ascondi a la mia anima,
a questa realtà fantastica
chiusa ne la sua amara nostalgia
per cui tu sembri un feretro ardente
nel tumultuar de la sera levantina
inconsolabile e inconsolata?

O mia anima!… Spinta ferocemente
verso il grande Miraggio
– e chiama e chiama invano –
tu incontri ovunque
sotto gli occhi dolorosi
gli esecrati orizzonti ove sta scritta
la superba parola,
vuota parola
costante sospiro e dileggio,
parola senza dio,
fredda e passionata,
ma cristiana e pagana,
odio ed amore
meditazione tormento saggezza
La “Morte” La “Morte”

genocidio armeno

Carlo caro, intervallo la nostra chiacchierata con i versi del Maestro Nazariantz.

Ho scelto questa lirica che parla di un tema quanto mai attuale, quello dei profughi, della disperazione dell’esilio e di quella Morte, fatta di corpi sparsi sulla superficie del mare.

Tu che da anni studi e ricerchi, raccontaci di questo grande poeta, delle sue vicissitudini e aiutaci a far conoscere i suoi versi, perché l’oblio della memoria non s’impossessi di una pagina amara ma comunque ricca della poesia.

Quanto al “mio poeta” non so descriverlo in poche parole. Nel mistero sono avvolti molti tratti della sua biografia. Fu costantemente un ricercatore dell’Umanità nella sua essenza più profonda. Amava l’umanità senza filtri restando chiaramente come tutti i puri fortemente scorato, deluso, lo si capisce da alcune lettere. Egli andava con la schiettezza incontro alla vita, e quindi alla morte, come incontro a una passeggiata. Non sappiamo esattamente neanche in che anno sia nato.

Alcune biografie riportano come anno di nascita indifferentemente il 1877, il 1880, il 1884, il 1886. Documenti non è stato possibile ottenerne dal Patriarcato Armeno di Costantinopoli a cui ci siamo rivolti per avere la data esatta. Addirittura sulla maggior parte degli atti italiani è riportata la data ultima, che però per molte ragioni pare che sia la meno certa. La sua esistenza fu anche rocambolesca.

Probabilmente venne sbattuto fuori dal collegio che frequentava che era il più prestigioso e accreditato istituto superiore armeno nella Costantinopoli di fine ottocento: il collegio Berberian. Egli proveniva da una famiglia di imprenditori per parte di padre e di educatori per parte di madre. Il padre Diran, fu una sorta di Adriano Olivetti ante litteram; da proprietario di una fabbrica di tappeti e merletti, fece costruire veri propri villaggi operai per le sue lavoratrici, costruendo vicino ad essi anche un sistema di educazione per i figli delle lavoranti. Poi un certo punto non sappiamo esattamente in che anno, il padre pare abbia cercato di combinare una sorta di fidanzamento con la figlia del direttore del collegio.

A questa proposta non sappiamo per quali ragioni venne sbattuto fuori, iniziando così una sorta di pellegrinaggio educativo per il nostro poeta. Prima a Londra, dove probabilmente, completa di studi presso il collegio privato di proprietà della famiglia Goldsmith, corrispondenti di affari del padre. Completati gli studi superiori, si trasferisce in Francia alla Sorbona, entrando in contatto con alcuni esponenti del Movimento indipendentista armeno.

Martiros Sarian, Incantesimo del sole, 1905
Martiros Sarian, Incantesimo del sole, 1905

Questa sua vocazione cosmopolita certamente gli salverà la vita; infatti Nazariantz tornato a Costantinopoli tra il 1907 e il 1908, nonostante i tanti sforzi dei tanti contatti culturali di altissimo livello, non riuscirà mai effettivamente a sfondare in patria. Probabilmente per due ragioni: 1) la vocazione al dialogo interculturale in un’epoca in cui questo era pressoché impensabile, 2) la propensione a una sorta di simbolismo sul modello di Mallarmè, misto alla ricerca di una religione della natura, lo porterà a peregrinare attraverso varie filosofie, interpretazioni spirituali e religiose per così dire “eterodosse”.

Accenni al neopaganesimo armeno, spiritismo, libero pensiero, pratiche massoniche e rosicruciane, per poi tornare al cristianesimo e chiedere ed ottenere negli ultimi anni di vita la conversione (allora si poteva) al cristianesimo Cattolico Romano da quello Apostolico Armeno di provenienza.

Inoltre il poeta non nascose, negli anni ’20, le sue simpatie per il fascismo, soprattutto per l’apertura che la dittatura di Mussolini dimostrava nei confronti del popolo armeno. Lo stesso dittatore, durante gli anni della sua direzione dell’Avanti, aveva descritto i massacri hamidiani che avvenivano nella Turchia orientale e durante il periodo trascorso in Svizzera, era stato molto vicino ai fuoriusciti ed esuli armeni tra cui Costan Zarian e forse anche Hrand Nazariantz. Proprio il nostro poeta e altri suoi colleghi, tra cui Enrico Cardile, videro nella dittatura italiana una speranza per la realizzazione delle giuste istanze di indipendenza e libertà del popolo armeno.

Hrand Nazariantz
Hrand Nazariantz

Con l’entrata nella Seconda Guerra mondiale, l’idillio tra Nazariantz e il regime si rompe definitivamente. In quanto apolide, e personalità in vista nella Bari dell’epoca, viene attenzionato dalla polizia segreta fascista O.V.R.A. che lo mette sotto la lente di ingrandimento anche per le sue frequentazioni di circoli teosofici.

Eppure tanto i fascisti quanto gli antifascisti non riescono a cogliere le prerogative del pensiero di Nazariantz. I primi lo scambiano per un “bolscevico” che però parla di Umanità anziché di Proletariato, i secondi non lo accettano fino in fondo, memori di un’ “Ode a Mussolini” – poesia encomiastica ed elogiativa – scritta dal poeta armeno in occasione dell’inaugurazione del “villaggio Nor Arax” di Bari, opera in cui, a dire il vero, il poeta non elogiava la retorica della virilità fascista quanto ringraziava sul modello della “Grande proletaria” del Pascoli gli atteggiamenti di accoglienza del popolo italiano e del governo in carica.

I baci

Conosco i baci fioriti
senza rumor sulle bocche
pallide come morenti
Conosco i baci infuocati
Solo il materno pianto
Gorgoglio il ruolo profondo
conosco baci eternali
Fiore di labbra cristiane
a puri altari celesti
conosco i classici ardori
[perdutisi] in bacio che segna
tacita adorazione
per i cuori dolenti
di un bacio un unico bacio
che attenua sempre il dolore.

Carlo Coppola
Carlo Coppola,in un’iniziativa a Mola (credits: molalibera.it)

Bari, come molte città d’Italia ha la memoria corta. Bari non accoglie e non protegge, o almeno non lo fa di per sé, fino a quando qualcuno, singoli e/o associazioni non si impegnano a pretendere che la memoria venga ripristinata e divulgata. Questo è il compito che si dà il Centro Studi “Hrand Nazariantz” assieme al Centro Studi e Ricerche di Orientalistica e alla famiglia Timurian. Tutti insieme formano la Comunità Armena di Bari e della Puglia, un organismo legato al territorio e alla memoria che sottende la storia della città di Bari e della Puglia. Infatti, i legami tra gli Armeni e Bari sono antichissimi la prima data certa che abbia è l’anno 991 d. C., quando un chierico armeno firma nel suo alfabeto in calce quale testimone in una contesa ereditaria.

La presenza di Nazariantz e degli Armeni a Bari arriva, dunque, in continuità. Ma il limite è che a Bari Nazariantz continua a essere noto solo ad una parte della popolazione. Per quanto sia stato l’unico cittadino barese sin ora candidato al Premio Nobel per la Letteratura i suoi scritti restano comunque poco noti al grande pubblico.

La ragione principale è probabilmente che la sua poesia è passata nelle mani di traduttori e gusto traduttivo troppo aulico, altisonante e ampolloso. Il culto per “il verso libero” di straordinari personaggi come Enrico Cardile o i fratelli Massino e Giulio Gaglione, Giuseppe cartella Gelardi, finisce per portare via anche la parola poetica di Nazariantz, più piana e delicata di quanto non appaia nella resa in italiano. L’estetica troppo incline alla retorica di gusto tipicamente italiano, surclassa e condiziona la resa poetica del mallarmeismo di Nazariantz, mallarmenismo molto delicato, a tratti impercettibile nell’originale.

Per questo è molto difficile che potremo trovare il nostro poeta nelle antologie scolastiche se non si provvederà, come ci auguriamo da tempo, a realizzare una traduzione totale dell’opera di Nazariantz dall’armeno.

Hrand Nazariantz, Il grande canto della cosmica tragedia

In riferimento a quanto ci hai detto, copio qui questa meravigliosa lirica del Maestro, datata 1906, dedicata a una giovane promessa della poesia armena, prematuramente scomparsa: Heranoush Arshakian.

Come un tempo lontano e dimenticato
seppellire amaramente il passato nei suoi ricordi.
E distaccare un foglio dopo l’altro dell’anima della sera
nel profumato silenzio del seno del deserto.

Morire in autunno con i fiori appassiti
Morire, o sorella mia, in una serata silenziosa
e in un modo sconosciuto e ingannevole
Passare dalla vita come un feretro lento.

E sulle labbra sfinite dal freddo
Morente come un’ultima preghiera pura
Morire, o sorella mia, così, in un momento importante.
Che pianga il canto nostalgico senza speranza.

E quando si rinnovano le dolci notti luminescenti
L’anima malata, il fruscio dolce del cipresso
Tremare dopo sette volte, che delusione
Morire senza neanche salutarmi.

Il genocidio oltre ad aver ucciso più di tremila persone, ha spazzato via una cultura secolare. Raccontaci, se puoi, cosa è stato possibile salvare e cosa ha potuto fare Nazariantz dalle nostre terre, oltre ad aiutare decine e decine di profughi.

In realtà che noi stiamo ancora parlando di genocidio armeno, e istituiamo campagne di sensibilizzazione continue a favore della conoscenza di questa causa, è la prova esatta che il genocidio non è riuscito. Anche i Turchi, compresero ad un certo punto che il loro piano di cancellazione dalla faccia terra del popolo armeno non sarebbe potuto riuscire fino in fondo per tante ragioni. La prima fra tutte la loro organizzazione generale era pensata, strategicamente nella Cancelleria del Kaiser, in Germania, dove ben altra era la preparazione militare e la ferrea disciplina.

Tetyana Yablonska, La vita va avanti, 1970
Tetyana Yablonska, La vita va avanti, 1970

Quest’ultima non si confaceva perfettamente a coloro che avrebbero dovuto eseguirne gli ordini, ovvero loro stessi. Infatti, per quanto feroci e inumani, stupratori, assassini e sadici, i reparti regolari e irregolari dell’esercito turco chiamati appositamente ad operare, erano facilmente corruttibili, con qualche sterlina d’oro. Inoltre le istituzioni cristiane dell’Occidente, pur diviso e miscredente, erano ancora forti. Tutte le confessioni cristiane presenti sul territorio della Sublime Porta (così si autoproclamava l’Impero Turco) fossero esse cattoliche, ortodosse o protestanti – a costo del proprio Martirio aiutavano gli Armeni. Il genocidio, allora, si dovette dunque fermare, ma oggi lo zelo dei colletti bianchi della Turchia lo prosegue. Tanti intellettuali turchi vorrebbero riconoscere il genocidio armeno, ma gli apparati dello stato dal centro alla periferia sono di tutt’altro avviso.

Così capita che tale Murtaza Karaçanta, sindaco di una città un tempo abitata dagli Armeni, del Partito del Movimento nazionalista (MHP) – braccio politico dei famosi Lupi Grigi – ordini l’abbattimento, poco meno di un mese fa della casa del poeta Yeghishe Charents. Il poeta Chearents sopravvissuto al Genocidio sarebbe poi morto per mano sovietica nel 1937 come moltissimi altri intellettuali e poeti armeni. La cosa che indigna è che quella casa anche se da molti anni era ridotta ad un rudere era la meta di un pellegrinaggio silenzioso di tutti gli Armeni che si recavano a visitare le loro cosiddette “Terre Perdute”. La casa di Charents era una sorta di Milite Ignoto, la casa che rappresentava tutte e case abbandonate, la memoria della presenza armena su quel territorio.

Lo stesso accade nell’attuale Repubblica dell’Azerbaijan dove prosegue il genocidio culturale attraverso la distruzione delle croci di pietra armene, i Kachkar. Essi testimoniano, infatti, la millenaria presenza armena su dei territori ignobilmente assegnati da Stalin a popolazioni di etnia differente, prevalentemente turca. Il popolo azero creato a tavolino nella spartizione interna dell’ex URSS, riacquisita l’indipendenza ha ben pensato tornare ad affermare i propri metodi di violenza dettati da una dittatura draconia che cerca di eliminare o attribuire a se stessa anche storia, arte o cultura, rubandole ai loro proprietari, con gli stessi metodi lungamente sperimentati dagli Ottomani durante il genocidio.

Yeghishe Chartents
Il poeta armeno Yeghishe Chartents

A questo punto, se mi consenti, vorrei inserire una poesia di Yeghishe Chartents, che ho trovato sul blog del Centro studi Nazariantz, così come le altre poesie:

Tutta la notte – malato e folle –
Ho visto il sole dorato in sogno,
senza un suono, senza un sussurro –
con d’intorno la pallida notte e la luna.
Ho sognato allora l’oro del sole,
bramando il suo miracolo gaio,
volendo amare il saggio bisbiglio
della parola assolata, ardente, –
ma intorno a me tutto spento, morto,
non aveva parole, né sole risorto…

traduzione G.Ghazaryan

Caro Carlo, è amaro quello che dici, perché sappiamo essere vero e, cosa che ancor più ci addolora, è la consapevolezza della crudeltà di cui è fatto l’essere umano. La tragedia armena è una ferita che ancora sanguina e abbiamo di informare la gente comune. Lo scopo di questi miei scritti è dimostrare la potenza della parola poetica, la sua immortalità e il supporto e conforto che ci offre, se solo ci fermiamo e non fuggiamo presi dalla nevrosi, costruita da un potere disumano, privo di ideali, che vede appunto nella Parola e nel Pensiero i suoi unici nemici. Come hai detto tu all’inizio, io non ho la pretesa di parlare da esperta, se tu sei il cavallo vicino all’elefante, io sono proprio un topolino. Questo forse però renderà il nostro parlare più semplice e comprensibile, affinché i versi di questi grandi poeti, vengano apprezzati dalla gente come me, senz’arte né parte.

Ringraziandoti per la tua preziosa collaborazione, chiudo questo piccolo contributo alla conoscenza di Hrand Nazariantz, con una sua poesia d’amore a dir poco stupenda, che ho trovato sul sito e che mi sono permessa di ricopiare:

«Amore Impossibile»
La Tomba come una pietra pesante
Bagnata,
Un peso gravoso sulle nostre spalle,
opprimente,
la sera stava arrivando alla fine…

 


I testi e le immagini sono presi dal sito del Centro Studi Hrand Nazariantz, dove vi è un’ampia ed esaustiva documentazione sul Maestro, sugli autori armeni, sulle novità letterarie e artistiche, oltre ai numerosi eventi che vengono promossi. Sui poeti armeni abbiamo scritto anche: Daniel Varujan e il genocidio armeno negato, e Paruyr Sevak, un poeta armeno.

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