L’arte contemporanea ha spesso l’ambizione di affrancarsi dai tradizionali contesti in cui si è soliti “fare arte”: le istituzioni, le fondazioni, i musei e le gallerie spesso vengono messe da parte in favore di luoghi alternativi, “non luoghi” e spazi aperti.
Proprio in questa direzione si muove il fenomeno della Land Art, nato alla fine degli anni 60, movimento artistico che si sviluppa con l’intento di andare contro il sistema capitalistico dell’arte e del consumismo che stava dilagando nella società contemporanea, in favore di un’idea di arte più green e in stretto rapporto con la natura e l’ambiente.
Queste installazioni tendono spesso a modificare temporaneamente l’ambiente in cui sono inserite, lasciando alla natura una ruolo di primo piano: a seconda delle condizioni climatiche e atmosferiche infatti le produzioni di questi artisti assumono forme e sfaccettature diverse. Le opere di Land Art devono essere partecipate, vissute e osservate a 360° dal pubblico, che non può limitarsi a essere uno spettatore passivo e distratto ma deve riversare la propria interiorità nel paesaggio artisticamente modificato.
Questa intensa partecipazione emotiva è uno dei maggiori punti di forza di questo tipo di produzione, che da anni raccoglie intorno a sé migliaia di curiosi fruitori.
Tra gli artisti che si sono cimentati in questo tipo di arte, va inserita sicuramente la coppia composta da Christo e Jeanne-Claude, famosissimi land artists uniti nel lavoro e nella vita, fino alla morte della componente femminile nel 2009.
Dalla fine degli anni ‘60 la loro produzione è volta alla creazione di favolose installazioni eco-sostenibili che dialogano magicamente con il loro contesto di inserimento.
I due rappresentano il più straordinario sodalizio artistico del nostro tempo, un partenariato fondato su basi solide e profonde, pari dignità e rispetto dei ruoli reciproci, senza nessuna concorrenza e rivalità.
La loro arte consiste nella creazione di oggetti temporanei e di grandi dimensioni, destinati a riempire e risemantizzare grandi spazi aperti specifici, agendo con la ferma convinzione che le persone debbano avvicinarsi all’arte fuori dai musei e vivendo esperienze uniche e intense.
La loro azione è basata sulla presa in prestito di lembi di territorio, strutture e spazi pubblici dove scelgono di intervenire dando vita a “lievi perturbazioni” reversibili che hanno lo scopo di rifocalizzare la percezione di quello che siamo soliti avere sempre sotto gli occhi e che diamo quindi per scontato.
Dietro ogni loro progetto si nasconde un’esatta conoscenza topografica del luogo, della meteorologia e dell’ambiente sociale da cui dipende poi l’intera realizzazione dell’opera; a questo si aggiunge un attento studio dei materiali, della loro resistenza e della loro produzione, interamente sostenuta da l’autofinanziamento ottenuto con la vendita dei disegni e dei progetti.
Tutte le loro realizzazioni sembrano essere frutto di utopiche fantasie, eppure i due artisti non hanno mai avuto interesse per le cose impossibili, ma anzi le loro energie sono sempre state spese per progetti realizzabili.
A chiunque sarà capitato per lo meno di vedere in foto il Valley curtain, il telo di nylon arancione lungo 400 metri che attraversava la valle delle montagne rocciose in Colorado, o le Surrounded Islands, le isole della Baia di Biscane di Miami circondate da un telo rosa che creava un perfetto contrasto tra il blu intenso del mare e il verde selvaggio della flora insulare; o ancora il recentessimo The Floating Piers, la passerella gialla che nel 2016 ha permesso di camminare sulle acque del lago di Iseo per 3 km.
Ma se gli interventi sull’ambiente creati da Christo e Jeanne-Claude sono di varia natura, di sicuro una delle cose per cui sono più famosi sono gli “impacchettamenti”, invenzione dell’artista che rimanda forse inconsciamente a un forte contenuto autobiografico: l’atmosfera repressiva del suo passato e la difficile infanzia nella Bulgaria comunista, nonché la testimonianza dell’isolamento culturale vissuto da Christo al suo arrivo a Parigi. Dietro a questa straordinaria invenzione c’è però di più, la volontà di rivendicare una libertà espressiva al di là delle convenzioni, dandosi l’ambizioso obbiettivo di trasformare il banale in misterioso e cercando di conferire a oggetti comuni un nuovo valore esistenziale.
Il concetto di base di questi packing in scala 1:1 è stato espresso perfettamente dallo storico d’arte e curatore Harald Szeeman, coinvolto nella realizzazione del Wrapped Kunsthalle Bern nel 1968. Dovendo parlare con il sindaco di Berna per metterlo a parte del progetto di imballare la Kunsthalle in occasione del suo cinquantesimo anniversario con 2430 m₂ di polietilene grigio, gli chiese semplicemente se avrebbe saputo descrivere il palazzo, che di certo conosceva. Davanti all’esitazione dell’uomo, Szeeman svela quindi il motivo della scelta di Christo e Jeanne-Claude: proprio per evitare di non fare attenzione a ciò che abbiamo sotto gli occhi è necessario a volte privarci per un po’ della sua evidenza, magari donandogli un aspetto temporaneamente nuovo, per riuscire poi una volta disvelato a dargli la giusta attenzione.
In questa direzione vanno anche i più famosi Wrapped Pont-Neuf e Wrapped Reichstag, imballaggi dedicati a coprire due monumenti di città simbolo come Parigi e Berlino, con l’intento di evidenziare il loro ruolo primario nello spazio urbano e non solo.
Attenzione per l’ambiente, per l’individuo e per le connessioni quotidiane tra le due parti; amore per il proprio paese, per la Terra e per le sue meraviglie; rispetto per il mondo in ogni sua forma e condivisione di idee e ideali.
È quindi questo il segreto di un “prodotto” vincente, solidale, che induce alla riflessione e che non smette di stupire. Un progetto, mille progetti, che solo due menti affini e acute potevano riuscire a ideare in modo così metamorfico e sempre sorprendente, mai banale eppure sempre familiare e riconoscibile.
L’intesa che era parte fondante del rapporto tra Christo e Jeanne-Claude viene ogni volta resa materica per noi spettatori, che grazie a questo speciale connubio possiamo godere di un’esperienza unica in grado di farci ri-aprire gli occhi.
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In copertina: L’ultima opera di Christo, The Mastaba, realizzata ad Hyde Park nel 2018 (credits: Exibart)