Storie di animali nel Medioevo – VI
La morte di re Artù, avvenuta qualche giorno dopo la battaglia di Salisbury, si situa, secondo la leggenda, intorno all’11 novembre, al giorno che corrispondeva, più o meno, con la grande festa autunnale con la quale molti popoli del vecchio continente festeggiavano l’orso.
Come l’orso va in letargo, così anche il re ursino non scomparve definitivamente, ma venne trasportato dalla sorellastra Morgana sull’isola di Avalon, luogo di attesa e di riposo situato nell’altro mondo. Come ogni eroe messianico, anche Artù aspetta il momento adatto per tornare tra i vivi e così regnare di nuovo e condurre il suo popolo sul cammino della salvezza.
L’11 novembre divenne quindi una delle date in cui si svolgevano dei rituali pagani dedicati alla figura dell’orso. La Chiesa, spaventata da questi rituali barbarici, cercò presto di rimpiazzarle con altre festività, come è accaduto per la festa del Sol Invictus, divenuta, come si sa, il Natale. E’ così che l’11 novembre diventò la festa di San Martino, uno dei martiri più importanti della tradizione francese.
L’abitudine a manipolare il calendario da parte della Chiesa, inoltre, era antica e risaliva addirittura alla sua fase primitiva, quando era riuscita a far scomparire le celebrazioni pagane sostituendole con quelle cristiane. A partire dal V secolo, poi, lo sviluppo del culto dei santi e la creazione, poco per volta, di un gran numero di feste destinate a onorarli, furono efficaci soluzioni ai diversi problemi che presentavano i calendari delle diverse popolazioni che stavano via via evangelizzando.
Fu così che nei primi mesi autunnali comparirono feste dedicate a Santi molto amati, come Martino o che alla fine dell’inverno si cominciarono a celebrare eventi quali la Presentazione al tempio di Gesù e la Purificazione di Maria, entrambi collocati il 2 febbraio. Molti popoli del Nord Europa infatti in quei giorni celebravano la fine dell’inverno e il ritorno della luce a cui si aggiungeva la gioia per il ritorno della fertilità della terra e soprattutto per l’orso risvegliatosi dal letargo invernale.
L’azione sul calendario fu solo uno dei modi con cui la Chiesa combatté l’orso per circa un millennio: ancora prima di trasformarlo in una bestia stupida, ancora prima di sostituirlo con il ben più innocuo leone, cominciò ad effettuare una demonizzazione nei suoi confronti che lo rese l’incarnazione di ogni male.
Questo processo, già iniziato in epoca tardoantica, si intensificò durante l’età carolingia, quando vennero organizzate vere e proprie battute di caccia volte ad eliminare fisicamente la bestia nei territori in cui era diffusa.
L’antico re della foresta, già considerato nocivo da Plinio il Vecchio, autore latino ritenuto un’autorità per gran parte del Medioevo, venne definitivamente condannato da Sant’Agostino per il quale l’orso era nientemeno che il diavolo: ursus est diabolus.
Nella Bibbia sono i Vangeli a rivelare per primi l’esistenza di quest’ultimo.
Il Diavolo, infatti, non appare mai nell’Antico Testamento, o quanto meno non nella forma che gli fu attribuita nella tradizione cristiana. Solo nell’Apocalisse e nei testi dei Padri della Chiesa assume un ruolo importante divenendo un essere che pur essendo inferiore a Dio gode di una certa libertà e che nella sua azione di seduzione e tormento dell’animo umano non agisce quasi mai da solo.
Per fare dell’orso un animale diabolico, tuttavia, i Padri della Chiesa disponevano di ben poco materiale biblico. L’orso di fatti non compare quasi mai nelle Sacre Scritture e quando accade lo si indica in modo vago o metaforico. Spesso, poi, compare in coppia con il leone, con il quale forma una coppia indissolubile come, per esempio, nell’episodio del giovane Davide che, ancora pastore, lotta contro un orso e un leone per salvare il suo gregge (I Sam, 17. 34 – 37).
In più occasioni, però, alcuni versetti biblici prospettano, in forma di immagini o similitudini, la pericolosità dell’orso, animale selvatico, feroce, crudele, imprevedibile come il serpente, spietato come il leone. Questi passi biblici, anche se non numerosi, costituirono referenti efficaci per organizzare e commentare l’immagine diabolica del re della foresta.
Attorniato da legioni di demoni, il Diavolo diviene onnipresente in epoca feudale. La sua immagine rimane, per molti secoli, instabile e polimorfa, ed è solo con l’arte romanica, tra la fine dell’XI e il XII secolo, che questa assume definitivamente un aspetto orrido e bestiale. Il corpo, nella maggior parte dei casi, è magro e secco e ricoperto di peli, proprio come un orso o di pustole, come il drago. A questi dettagli si aggiungono la coda o di scimmia o di capro e delle ali da pipistrello a ricordare la sua condizione di angelo decaduto. Il volto, talvolta munito di grugno ursino o porcino, è deformato dalle smorfie. Come il loro comandante, anche i demoni, di dimensioni più piccole, vengono rappresentati nudi, pelosi e orribili.
Per raggiungere i suoi scopi, cioè allontanare monaci e fedeli dalla retta via, il Diavolo impiega tutti gli inganni, tutti i travestimenti, tutte le tentazioni. Può assumere l’aspetto di una bellissima fanciulla o di un giovane ardente o, più spesso, la forma di un animale, generalmente spaventoso o ripugnante.
L’elenco di questo bestiario è lungo e coincide con quegli animali che, per una ragione o per l’altra, sono criticati o disprezzati dalla cultura e dalla sensibilità medievali. Animali reali come il serpente, il rospo o la scimmia ed altri immaginari come il drago o il basilisco. In realtà, il bestiario del Diavolo non rimanda tanto all’animale quanto all’animalità: un braccio, un piede, peli e corna sono sufficienti a creare tale animalità.
Ed è proprio in età feudale che il Diavolo assume spesso degli elementi ursini nelle immagini in cui è rappresentato. Muso, artigli e villosità contraddistinguono la sua figura, la stessa con cui si presenta nei sogni e nelle visioni degli uomini che ne restano terrorizzati. Questa villosità, a cui si aggiunge la somiglianza da sempre riconosciuta tra uomo e orso (entrambi possono stare seduti, si possono alzare e così via) lo rendevano particolarmente pericoloso anche perché durante i diversi rituali pagani, in particolare durante il carnevale, molti uomini si potevano travestire da orsi o, nei secoli centrali del Medioevo, da Diavoli.
La Chiesa, ovviamente, non poteva accettare tanta perversione.
Da qui la necessità di trasformare l’orso da animale diabolico, da campione dei vizi, ad una bestia stupida e di secondaria importanza quale poi diviene nelle pagine del Roman de Renart e in genere nella cultura del XII secolo, una bestia in cui nessun uomo si sarebbe voluto immedesimare.
Continua il percorso: Un brutale seduttore: il sesso e l’orso nel Medioevo
Per approfondire:
M. Pastoureau, L’orso. Storia di un re decaduto, Einaudi, Torino 2008, pp. 60 – 61, 126 – 137, 144 – 151.