Canzone consigliata durante la lettura: Any Way You Want It, by Journey.
Ebbene sì, dopo una lunga e difficile sperimentazione ho implementato la rivoluzionaria funzione Ascolta una canzone che l’autore ritiene calzante alla lettura dell’articolo mentre leggi l’articolo™!
Servirvi di questa nuova, entusiasmante feature è semplicissimo: Non dovete far altro che cercarvi la canzone sovra citata su YouTube, su Spotify, su CD-Rom o su qualsiasi altro supporto di vostra scelta, e farla partire in contemporanea all’inizio della lettura! Non siete entusiasti?[1]
Dall’alba dei tempi a questa parte, ciascun raggruppamento più o meno organizzato di uomini ha tentato di sintetizzare il proprio credo in qualcosa di semplice, di immediatamente riconoscibile. Ideali di intensità incomparabile e strutture concettuali infinitamente complesse sono stati concentrati in effigi, riassunti in frasi topiche o raffigurati in immagini stilizzate. Una serie di “percorsi abbreviati” la cui minore complessità rende immediatamente riconoscibile la materia trattata, di volta in volta suscitando rispetto o incutendo terrore nel cuore degli osservatori.
La storia è piena di emblemi, di simboli, di stemmi; un apparato elevato sui campi di battaglia come sopra le tavolate signorili, nelle parate in pompa magna come sulle recinzioni dei campi di prigionia. La swastika nazista suscita a un tempo sdegno per la strage e rammarico per la perdita di simboli orientali simili ma ben più antichi, ormai impossibili da usare per l’onta loro inflitta. Presso un luogo contrassegnato da una croce rossa su sfondo bianco sappiamo di poter trovare rimedi ai nostri mali; uno schema di colore invertito ci invita con allettanti offerte di cioccolata e benzina a prezzo ridotto.[2]
A lungo[3] mi sono interrogato su quale potesse essere l’emblema di Balloons, di una rubrica su fumetti, cultura pop & co caratterizzata dalla più totale mancanza di senso compiuto e dai massimi svarioni che sia concesso raggiungere all’uomo senza l’uso di sostanze psicotrope. Ho sempre pensato l’onore spettasse a One Piece, l’interminabile epopea piratesca firmata Eichiro Oda di cui sono un appassionato fan ormai da anni. Gli ultimi tempi, tuttavia, hanno portato alla mia attenzione un altro lavoro; un’altra produzione d’alto livello che, a mio parere, sposa ancora meglio la causa della rubrica, ed è quindi adatta a rappresentarla in toto.
Permettete che vi presenti l’opera che, da ora fino a quando avrò voglia o cambierò idea,[4] rappresenterà la massima sintesi e al contempo la massima espressione dei concetti di Balloons: Le bizzarre avventure di Jojo, di Hirohiko Araki. La storia editoriale de Le bizzarre avventure di Jojo comincia nel 1987, esattamente 10 anni prima di One Piece, per continuare tutt’oggi. La formula dell’autore, almeno relativamente alle produzioni nipponiche, è quantomeno rivoluzionaria: piuttosto che concentrarsi sull’infinito percorso di formazione di un singolo protagonista, l’opera di Araki narra di varie generazioni della famiglia Joestar, i cui nerboruti esponenti (tutti soprannominati JoJo unendo la prima sillaba di nome e cognome) divengono di volta in volta personaggi principali della serie.
Non lasciate che il titolo, equiparabile per intensità tragica a quello dei Teletubbies o di Guru Guru, vi tragga in inganno: Jojo (a questo punto mi sembra un’abbreviazione lecita) è un manga violento, riconducibile per brutalità al genere dei seinen; per quanto la sistematicità dei combattimenti e le numerose trovate comiche rispecchino molto gli shōnen.[5] Una particolare nota di merito va al primo degli elementi appena citati: gli scontri e i duelli che contrappongono i personaggi principali agli antagonisti del momento rimangono sempre interessanti, dominati dall’astuzia e dalla creatività più che dalla semplice efficacia dei poteri sovrannaturali (abbondantissimi ma raramente banali) di ciascuno.
Lo stratagemma delle generazioni e la relativa suddivisione dell’opera in parti permette ad Araki di esplorare vari registri narrativi, spesso dominati dal tema del viaggio. Il cammino dei protagonisti, va detto, non è mai unicamente fine a sé stesso: alla congerie di combattimenti e, come da titolo, di “bizzarre avventure”, l’autore unisce tutta una serie di digressioni relative ai luoghi visitati, siano essi reali o fittizi (da buona parte dell’Oriente e dell’Africa esplorati nella Parte III fino all’immaginaria città di Morioh che funge da palcoscenico per la Parte IV); delinea una forma di etnografia semplicistica ma intrigante che fa convergere reale e fantasia, immergendo l’opera in una dimensione e in un’atmosfera uniche.[6]
Veniamo ora alla caratteristica precipua della serie, al tratto che ha fatto de Le bizzarre avventure di Jojo l’opera grafica più adatta a rappresentare tutta Balloons: il suo infinito, illimitato serbatoio di riferimenti pop. Quasi ogni singolo personaggio della serie deve il proprio nome a un cantante, a una band o a un brano, con una predilezione quasi morbosa per il rock ‘n roll. Il disegno, dettagliato e dinamicissimo, è influenzato dalla moda e dal fashion di ogni tempo, da pose plastiche volontariamente spinte al parossismo: sull’onda delle tendenze anni ’80 che hanno visto nascere la serie, uomini e ragazzi di qualsiasi età sfoggiano corporature impossibili da body builder,[7] mentre alle donne sono riservate figure abbastanza realistiche e umanamente proporzionate; contro la tendenza odierna che vuole le giovani protagoniste dotate di forme tali da attirare nella loro orbita gravitazionale femmine-satelliti meno prosperose.
Credo che il caleidoscopio di riferimenti spontaneo, sregolato e random e la tensione ad abbracciare l’universale nella semplicità dei suoi elementi più umili e casuali rendano Le bizzarre avventure di Jojo il miglior specchio possibile per Balloons, rubrica senza testa e senza coda il cui girovagare sconnesso è determinato solo dalle turbe mentali del suo autore.
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