Il Circo dei Morti presenta: “Il Maestro e Margherita”

Il circo dei morti: il Maestro e Margherita

Viaggio iniziatico tra Verità e Salvezza

 

Un classico è tale, diceva Calvino, perché non ha mai finito di dire quello che ha da insegnare. Questa è una lezione molto nota e tenuta in gran conto a Studio Novecento: la scelta di un soggetto per i nuovi spettacoli discende sempre dalla riflessione su cosa si intende comunicare, e quale relazione si vuole presentare tra una storia già nota e il modo nuovo in cui sarà raccontata. È anche per questa ragione che Studio Novecento si ritrova a presentare nel giro di un mese due diversi spettacoli originatisi dal medesimo soggetto. Peraltro questa insistenza non fa che confermare, non che fosse necessario, lo stato di classico de Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov, perché al di là della trama le due rappresentazioni non hanno nulla in comune, eppure sono entrambe chiavi di accesso alla profondità del romanzo.

La scelta di raccontare due volte la stessa storia era necessaria: il romanzo si è rivelato tanto vasto, ricco e complesso che non è stato possibile racchiudere in un solo spettacolo tutti i suoi insegnamenti. Ecco così che nel corso di questo lungo studio durato tre anni sul testo si è deciso di presentare due spettacoli differenti, con due diversi cast e due prospettive divergenti: i giovani attori e le giovani attrici dell’associazione, riuniti sotto il nome di Teatro di Carta, hanno presentato la trasposizione del romanzo, mettendone in scena gli avvenimenti e raccontandone la storia con minuziosa precisione e fedeltà; gli attori e le attrici della compagnia hanno invece portato avanti l’opera del Circo dei Morti – da tempo sigillo delle riflessioni di Studio Novecento sul teatro – accostandosi alla storia di Bulgakov senza riproporla, dando così occasione ai personaggi di dire ciò che nel romanzo non hanno potuto dire e portando alla luce le verità nascoste tra le righe del manoscritto.

È anche per questa ragione che lo spettacolo si fregia di un titolo tanto lungo e altisonante, Fantastica e autentica storia del famoso Maestro e della sua amante Margherita: questa versione si presenta fin dal primo momento come l’occasione per portare alla luce ciò che finora era rimasto celato, per rivelare ciò che l’autore aveva solo accennato. Le tre narrazioni che Bulgakov intreccia con straordinaria maestria – la Mosca sovietica sconvolta dall’arrivo del misterioso professor Woland, esperto di magia nera; la sofferenza di Ponzio Pilato costretto a condannare un uomo che sa innocente; le peripezie che tormentano e separano uno scrittore osteggiato e la sua amante – vengono quasi lasciate sullo sfondo: al loro posto si lasciano emergere i pensieri, le sensazioni che i personaggi hanno provato in quel momento, o le riflessioni che hanno condotto in seguito ripensando agli episodi; non si racconta cosa è successo, ma cosa i personaggi hanno provato.

Maestro e Margherita
Fotografia di Edoardo Panella

Per la terza volta, dopo I fantasmi di Amleto e I fratelli Karamazov, Studio Novecento presenta un suo spettacolo sotto il titolo de Il Circo dei Morti. All’origine di questo nome vi sono una precisa volontà poetica ed una specifica concezione teorica. Tadeusz Kantor – uno dei grandi maestri del teatro del Novecento, così geniale e peculiare da non aver lasciato eredi – dichiarò a suo tempo che i morti sono la verità dei vivi: sottratti alla dimensione del tempo e consegnati a quella dell’eternità, i morti possono finalmente conoscere ed essere loro stessi, privilegio negato ai vivi in costante trasformazione, e come tali sono depositari di una conoscenza assoluta e definitiva. Tale verità si manifesta in alcuni luoghi, tra cui il palcoscenico del teatro: secondo l’insegnamento di Pirandello, i personaggi non sono reali ma sono veri, perché conoscono sé stessi e ripetono ciclicamente la propria storia. Le ombre del palco, ombre dei morti, entrano così in contatto con il mondo dei vivi per offrire in quel breve lasso di tempo una possibilità di riflessione.

Il tema del circo è strettamente connesso: il circo si presenta come un microcosmo, in cui tutto è ordinato e segue un preciso schema; la sua struttura circolare richiama il mondo, in cui una alla volta si presentano le Ombre per parlare. Sulla scorta degli studi di Starobinski, l’attore diventa saltimbanco per poter agire come guida per l’Oltre e punto di contatto tra i due universi separati e tangenti: il suo compito è di mediare tra il mondo delle ombre portatrici di verità, ma incapaci di esprimerla senza il suo tramite, ed il mondo dei vivi a cui quelle verità sono rivolte. Questa premessa rivela la profonda consonanza tra la poetica del Circo dei Morti ed il romanzo di Bulgakov, un’opera che fa dell’incontro di altre dimensioni dell’Essere e del confronto con ciò che trascende la nostra realtà il suo preciso oggetto.

L’impianto del Circo dei Morti non è affidato solamente alla scrittura, ma anche alla disposizione stessa della scena: a separare ulteriormente il mondo esterno, dopo l’ingresso nella sala è collocata una cortina divisoria con una porta stretta, al di là della quale il seguito di Woland accoglie gli spettatori, lanterne alla mano nel buio, e li conduce fino ai loro posti prima che cominci la rappresentazione. Il pubblico viene poi fatto accomodare fin sul palco, con sedie e panche disposte ad arco lungo un cerchio di lumini accesi a delimitare lo spazio d’azione delle Ombre, richiamo al cerchio nella sabbia dei rapsodi greci o ai circoli magici degli incantatori. Lo spazio scenico è circoscritto e fa gravitare l’attenzione dello spettatore sul palco, al cui centro attende Woland, demiurgo e direttore del circo, evocatore delle ombre e manovratore dei fili.

Il circo dei Morti: il Maestro e Margherita
Fotografia di Edoardo Panella

Nella sua scelta di una dimensione sapienziale e a tratti iniziatica, lo spettacolo rinuncia a buona parte della polifonia della prosa di Bulgakov: pressoché accantonato il registro farsesco della follia di Mosca, e circoscritto il tema romantico dell’amore tra i due personaggi eponimi, il tono della messa in scena rimane costante su un registro alto, quasi mistico. È una scelta obbligata – e certamente felice – di fronte alla cifra della regia e della drammaturgia, che si spogliano di ogni fronzolo per indirizzarsi decise verso l’essenziale: se i personaggi in scena sono i Morti, la loro essenza è ormai univoca e determinata, consegnata alla verità dell’Eternità e destinata ad una ciclica ripetizione, sempre uguale a sé stessa – come peraltro tocca a tutti i personaggi teatrali, le cui storie si ripetono pari pari ogni volta che qualcuno le racconta. Accade così che ognuno dei protagonisti assommi su di sé e riceva anche altre parti, che si scoprono essere facce diverse ma simili del suo carattere: Pilato, l’incarnazione del potere, della sua spietatezza e delle sua impotenza, riunisce in sé tutti i meschini burocrati della Mosca sovietica; Woland si rivela dietro alle azioni di Caifa; il Maestro e Levi Matteo condividono il compito di raccontare e tramandare le azioni di Jeshua e Pilato.

È stato spesso detto che, nonostante il titolo, il Maestro non sia il protagonista del romanzo di Bulgakov: in effetti, egli è più il motore immobile della vicenda, che innesca gli eventi ma non vi prende parte. Il ruolo centrale è affidato invece a Margherita e a Woland, autori del caos e della successiva liberazione. È da questa prospettiva che nasce l’identificazione successiva: all’attrice che interpreta Margherita è infatti affidata anche la parte di Jeshua Hanozri, a rimarcare il valore salvifico delle sue azioni. Questo peraltro non fa che rafforzare la dualità del suo rapporto con Woland, al pari di lei conduttore dell’azione ed ingranaggio del meccanismo della salvezza.

Il Maestro e Margherita si apre con una citazione del Faust di Goethe in epigrafe: la celebre autopresentazione con cui Mefistofele si dichiara «parte di quella forza che eternamente vuole il Male ed eternamente opera per il Bene». Il Circo dei Morti riceve questa massima e ne fa il proprio manifesto: il Diavolo è l’agente di un piano superiore, a cui è vincolato al pari dei suoi prigionieri; il suo ciclico intervento è necessario, e portatore tanto di sventura quanto di liberazione, di punizione e ricompensa. Solo chi riuscirà a mettersi del tutto in gioco e percorrere un cammino di evoluzione spirituale, abbandonando le ipocrisie e le meschinità di un quotidiano gretto e banale, potrà raggiungere la meta; al contempo, lo spettacolo sembra quasi rivolgere la medesima sfida allo spettatore, invitandolo a non accontentarsi e a riflettere, senza tuttavia diventare mai apodittico o predicatorio.

Circo dei Morti: il Maestro e Margherita
Fotografia di Edoardo Panella

Abbandonata ogni pretesa di naturalismo, la regia punta fin dal primo momento a restituire un’atmosfera rituale: cambi di scena e gesti degli attori si susseguono in maniera misurata e precisa, in un flusso continuo e ininterrotto. La scelta di consegnare il racconto alla dimensione dell’eternità crea un’unità di tempo e azione, perché i vari episodi, pur riconoscibili, si ritrovano a coesistere. I personaggi si ritrovano quindi a contemplare dall’esterno le loro azioni di un tempo, a riviverle con la prospettiva degli esiti. Ciò è reso dalla grande misura ed eleganza delle interpretazioni, che si concedono di esplodere solo nei rari momenti in cui quell’ordine che ormai li permea è sospeso.

Confrontato con il suo gemello, questo spettacolo si rivela diverso quanto il giorno e la notte: tanto il Teatro di Carta aveva riempito le sue scene di luce, colore ed energia, suscitando stupore e ammirazione, tanto il Circo dei Morti invoca la sottile ricerca di un senso; al vorticoso brio del primo si contrappone la misura ieratica del secondo. Il Teatro di Carta racconta il romanzo a chi non lo conosceva, mentre il Circo dei Morti ne disvela i segreti, e restituisce all’apparente lieto fine la sua inquietudine. Questo è uno spettacolo di difficile accesso, che presuppone la conoscenza del romanzo e della sua storia, e va a svelarne la sapienza recondita.

Se il Teatro di Carta presenta il racconto della farsa di Mosca, del romanzo di Pilato e della trasfigurazione di Margherita, il Circo dei Morti li tace, e indica invece la verità simbolica che si cela dietro a quelle vicende. Ma entrambi lasciano lo spettatore in preda alla meraviglia, e gli fanno intravedere gli ultimi scampoli di una bellezza che un mondo che ha rinnegato il sacro – sia esso la Mosca di Stalin o l’Occidente dell’oggi – non può più percepire.

 

Leggi anche Il teatro di Carta in: “Il Maestro e Margherita”.


Il Circo dei Morti presenta: “Fantastica ed autentica storia del famoso Maestro e della sua amante Margherita” è uno spettacolo di Associazione Studio Novecento,  vincitore del Premio FERSEN alla regia 2022, tratto dal romanzo di Michail Afanas’evič Bulgakov.
Drammaturgia e messa in scena di Marco M. Pernich.
Testi di Paolo Bignami, Angela Villa, Francesca Contini, Roberto Rossi e con la collaborazione degli attori della Compagnia.
Consulenza scientifica del professor Stefano Aloe dell’università di Verona.
In scena Francesca Contini, Max Toffalori, Stefania Lo Russo, Christian Gallucci, Valentina Sangalli, Eleonora Pisano e Riccardo Serra.
In copertina: fotografia di Edoardo Panella.

Alessandro Sergio Martino Gentile, autore di Storie Sepolte
Alessandro Sergio Martino Gentile

Quando ero bambino, chiedevo che mi raccontassero delle storie. Mi affascinavano tutte, dai miti greci ai racconti dei cavalieri, dalle fiabe alle avventure di pirati. L'esito inevitabile era finire a studiare la Storia, con la s maiuscola, per tentare di capire da dove veniamo. Nel frattempo sono stato maestro di scuola e volontario del servizio civile, e collaboro dentro e fuori il palco del teatro con Associazione Studio Novecento. Amo il silenzio e la musica classica, la lettura e le camminate, la buona cucina di mano mia o altrui.