L’espressione “fare dei voli pindarici” viene attribuita a persone che tendono a proiettarsi in un mondo irreale, creativo, dunque a sé stante. […] Di base è un distacco dalla realtà contemporanea e il conseguente ingresso in un mondo ad essa parallelo.
(da un articolo di “Agendalugano” del 2013).
L’espressione “fare dei voli pindarici” è caratterizzata da una variegata gamma di sfumature che ne rendono faticosa la comprensione. Personalmente ho tentato di organizzare le informazioni, consultare siti web e dizionari polverosi, invano. Tuttavia non ho demorso e ho deciso di passare ad una strategia d’attacco: fare un volo pindarico. Dunque, se anche voi vi trovate immersi nel dissidio, tra la polvere dei vocabolari e la virtualità di una penna, e se vi ritrovate, dunque, a leggere questo articolo con il fine di comprendere ogni sfumatura dell’espressione.
Bene… datemi un poco di fiducia e provate a seguirmi.
Avete presente il momento che intercorre tra la consapevolezza della stanchezza e il concedersi ad un sonno rigenerante? Un momento dettato dall’immaginazione, con il solo scopo di distendere i nervi e abbandonarsi ai sogni. Ero immersa proprio in quel periodo storico della giornata.
Solitamente tendo a rilassarmi vagabondando tra effimeri pensieri, superficiali e mondani; effettivamente in quell’istante analizzavo le mode del decennio, dal risvoltino ai tatuaggi, dalla capigliatura ai piercing. Modellando nuvole di idee, incontrai tra i meandri della memoria tre visioni artistiche della moda: Dialogo della moda e della morte di Giacomo Leopardi, La ballata della moda di Luigi Tenco e Quando è moda è moda di Giorgio Gaber.
Continuai il gioco, creando una situazione non totalmente inverosimile…
Correvano gli anni ’60 del vecchio secolo e Luigi Tenco e Giorgio Gaber, contemporanei, amici e per un breve periodo anche collaboratori, si diedero appuntamento in un lussuoso bar, uno di quelli costantemente annebbiati dal fumo delle sigarette e animati da uno spettacolo. Tra i due si frapponevano due bicchieri di vino e mezzo pacchetto di Alfa, intorno ai due chiacchiere, persone e fumo, difronte ai due un palco e una rappresentazione del Dialogo della moda e della morte. L’esibizione comprendeva una breve introduzione dell’opera, informando in maniera studiosa e formale che il Dialogo venne scritto nel 1824, fa parte delle Operette morali.
Le attrici entrarono in scena: si assomigliavano, probabilmente erano sorelle come le due entità di Leopardi (entrambe figlie della caducità) e ne ritraevano perfettamente le caratteristiche (la voce flebile, l’eleganza e la “costumatezza” della Moda; la cecità, la sordità e il tono pratico della Morte). Per quanto riguarda le sembianze, la Morte, analogamente allo scritto, veniva rappresentata in relazione all’iconografia tradizionale dello scheletro; differendo da esso, la Moda, invece, venne riprodotta secondo la moda del decennio, attualizzata.
Inizialmente avvenne l’incontro tra le due: la Morte non riteneva di dover parlare con l’altra entità, a lei ancora sconosciuta, poiché essa non sarebbe dovuta morire in quel momento. A tal punto la Moda chiarì di essere immortale, oltre ad essere sua sorella, figlia anch’essa della Caducità. Quantunque, a discapito della presentazione, per colpa della sua vista e della sua memoria, la Morte faticò a riconoscerla.
Successivamente, con l’ausilio di alcuni esempi, esse iniziarono a dibattere sulla sorte degli uomini che credevano di poter manipolare: la Morte uccidendo e la Moda imponendo tendenze. Suddette tendenze erano inclini ad infettare o/e far ammalare l’uomo, oppure, a causa degli svariati cambiamenti, alla dimenticanza dei posteri.
Infine pattuirono un’alleanza, inconsapevolmente già esistente: la Morte chiese alla Moda di aiutarla nel suo compito e la Moda le elencò tutte le occasioni in cui già lo aveva fatto e confermò fedeltà. Il dialogo di Leopardi venne rispettato completamente, le due donne eccelsero e il pubblico scoppiò in un frastuono di applausi.
Tenco e Gaber meditarono sul tema, sorseggiando vino ed atmosfera e soffermandosi su alcune citazioni, che successivamente divennero oggetto di un fomentato dibattito fra i due. La discussione fu animata dal riscontro di alcune analogie tra la società a loro contemporanea e “il secolo della morte”: entrambe epoche della produzione industriale e del consumismo, a cui gli artisti non volevano sottostare.
Riecheggiavano i versi della Moda: «anticamente tu non avevi altri poderi che fosse e caverne, dove tu seminavi ossami e polverumi al buio, che sono semenze che non fruttano; adesso hai terreni al sole[1]»; riflettevano riguardo l’espansione del dominio dei cimiteri e riguardo l’operato dell’uomo, il quale era vivo soltanto in parte, aveva smarrito il senso di eternità e si allontanava progressivamente dalla natura rischiando la fulminea morte. La causa di ciò sembrava coincidere con la Moda, la quale, alleandosi con la Morte, tendeva a contrastare e mutare la natura.
La chiacchiera tra i due cantautori, quella sera, si concluse con la consapevolezza che gli effetti funerei analizzati antecedentemente si ripresentavano nel Novecento, tali e quali all’Ottocento. Calò la notte fonda, gli amici, inebriati dal vino e dallo spettacolo, si accinsero a raggiungere le proprie accoglienti dimore. Entrambi i letti, però, non accoglievano il meritato riposo: Luigi Tenco e Giorgio Gaber si accesero una sigaretta, aspirarono, spostarono un ciuffo di capelli dal viso, sputarono il fumo, guardarono la Luna dalla finestra appannata, avvicinarono una penna ad un foglio e incominciarono a comporre versi.
Negli anni ’60 del Novecento, Luigi Tenco scrisse La ballata della moda, una critica alla moda e alla società del tempo. Utilizzò uno stile preciso: un dialogo ironico, dal tono teatrale. Descrisse l’omologazione e la massificazione, la mercificazione, il potere distruttivo della pubblicità, l’illusione che attraverso la moda si possa esprimere la propria personalità e poi la sua definitiva perdita. All’interno della ballata la Moda e la Morte collaborano nuovamente:
Diceva “me ne infischio della moda ma bevo questa bibita perché mi va”
Ora è l’autunno, Antonio è all’ospedale
Intossicato perché beveva troppo(Luigi Tenco, La ballata della moda)
Nel 1978/1979 Giorgio Gaber registrò Quando è moda è moda, una critica alla moda e alla società del tempo. La riflessione nacque dal prendere coscienza di un cambiamento della società, divenuta sostanzialmente conformista. Riportò la visione all’interno della sua persona e se ne sentì totalmente estraneo, esprimendo un totale distacco, un’irruente ripugnanza e una folle ribellione. Il tono è volutamente volgare, aspro, dettato dai sentimenti sopra citati. L’animo sempre più acceso, segue ciò che potrebbe essere definito un climax.
I secoli della morte divengono due:
Io sono diverso
io cambio poco
cambio molto lentamente
non riesco a digerire
i corsi accelerati da Lenin all’Oriente(Giorgio Gaber, “Quando è moda è moda”)
…proprio in quel determinato istante ho ceduto il passo al sogno oppure ad una trasognata realtà. A voi l’ardua sentenza.