La mia casa è un’isola, di Stefania Aphel Barzini

Rosa Balistreri, La mia casa è un'isola, Stefania Aphel Barzini

Il destino bisogna farselo, non aspettare che arrivi.

A pronunciare queste parole è Rosa Balistreri, la protagonista di questo libro scritto da Stefania Aphel Barzini, edito da Giunti Editore a maggio di quest’anno: La mia casa è un’isola.

Chi era Rosa? Una donna coraggiosissima, una cantante e un’attrice, un’artista genuina dalla vita difficilissima. Rosa è una testimonianza che corre in direzione opposta alle mode, alle pubblicità, alla “banalità del male”, all’individualismo sfrenato, prodotti del consumismo. Un faro luminoso che ci guida in queste tenebre della ragione e del buon senso, con la semplicità del suo messaggio.

Il coraggio che ho avuto io, che ho ancora, e sono felice di avere questo coraggio, anche se soffro, anche se mi costa e lo pago amaramente (…)

La sofferenza è parte integrante della vita di questa grande donna, forgerà il suo carattere granitico che la porterà a cantare in tutto il mondo.

La vita impone un prezzo molto alto a chi l’affronta senza abbassare mai lo sguardo, senza piegare mai le ginocchia. Rosa è donna di Sicilia, che come recita una delle sue canzoni più belle e struggenti è una:

(…)
Terra ca un senti
Ca nun voi capiri
Ca nun dici nenti
Vidennumi muriri!

(Rosa Balistreri, Terra ca nun senti, vv. 1-10)

Una terra indurita dal sole, dalla storia millenaria, dalla sofferenza silenziosa che Rosa fin da bambina sente dentro di sé e la urla con tutta la sua voce potente.

La mia casa è un’isola non è una biografia della Balistreri ma un romanzo, costruito con perizia di particolari, nel quale si sente pulsare il sangue e la carne di Rosa. È la sua anima, l’essenza del messaggio etico che l’artista voleva consegnare alle generazioni future, alle donne sempre vittime di società opprimenti, che viene esaltato dal libro di Stefania, nel quale autore e protagonista a tratti hanno una sola voce ed è la stessa della tragedia greca.

Perché di una tragedia greca si deve parlare, quando si guarda alla vita di Rosa Balistreri.

Picchì cu me?
Non avrei diritto anche io a qualche attimo di quiete?
(… )
ogni volta che cerco di salire a galla tu mi ributti giù, tra le onde. E ogni volta diventa più difficile risalire, riprendere fiato. Vvoi che mi lasci ire? È chistu chi vvoi?

(da Stefania Aphel Barzini, La mia casa è un’isola)

Il fato con il suo peso estenuante, la rabbia di Giobbe, la quotidiana disperazione di chi lotta strenuamente per non piegare la testa, per ottenere la giusta mercede dall’esistenza dopo tanto patire, è tutta in queste parole che Stefania mette in bocca alla Balistreri.

Rosa, che diventa sorella e madre di tutti quelli sbattuti dai marosi della vita.

È un lavoro certosino che Stefania Aphel Barzini ha fatto, andando a riscoprire la sua terra natale, la Sicilia, incontrando persone vicine alla Balistreri come il figlio Luca e altri amici, conoscenti e ammiratori.

Visto che ho avuto il piacere di conoscerla di persona, ho posto a Stefania alcune domande, così che i lettori del nostro blog possano conoscere questa straordinaria scrittrice gentile e molto empatica.

Stefania cara, ho letto che hai alle spalle una vita ricca di esperienze e non solo di carattere letterario.

Di cose ne ho fatte tante, tante passioni.  Ho iniziato con la cucina.  Dopo aver lavorato per anni in Rai e in radio mi sono trasferita a Los Angeles con la mia famiglia.  Ho sempre amato molto cucinare e lì avevo in continuazione gente a pranzo e a cena, ad un certo punto mi sono detta: ma perché non farne un lavoro? Il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura mi ha chiesto, visto che avevano una grande cucina all’interno dell’Istituto, di fare lezioni di cucina italiana per gli americani e di organizzare per l’Istituto serate a tema culinario.

È stato un bel successo e quando sono tornata in Italia mi hanno chiesto di fare l’autore per il Gambero Rosso Channel.  Ci sono restata dieci anni e intanto ho iniziato a scrivere di cucina su vari giornali. Ho scritto anche vari libri che erano un mix di autobiografia, saggio e ricette.  Poi sono venuti i romanzi. Ho viaggiato cucinando per il mondo, dal Marocco, all’Africa equatoriale agli Stati Uniti.  La cucina è anche un modo straordinario di conoscere altri paesi.

Ho letto che sei stata per quasi sei anni negli Stati Uniti dove hai svolto attività di docente, quali sono le tue considerazioni, in base alla tua esperienza, sulla società americana e sulla promozione della cultura in America?

Bella domanda. La società americana è ricca di contraddizioni, Los Angeles in particolare è una città strana e strane sono le persone che la abitano, direi marziani. Detto ciò l’America mi ha dato tante possibilità, mi ha insegnato a credere in me stessa, ha reso possibili tanti miei sogni. Per ciò che riguarda la cucina, gli Americani mangiano malissimo perché non hanno, o meglio non avevano, le cose stanno cambiando, una vera tradizione gastronomica, però sono aperti e curiosi e dunque adoravano cucinare con me, anche perché amano molto l’Italia e attraverso il cibo conoscevano anche la nostra cultura che li incuriosisce molto. Il problema è che hanno paura di cucinare, di sbagliare, per loro non è come per noi, una cosa che viene naturale e dunque bisogna sempre incoraggiarli e stimolarli.

Veniamo al libro su Rosa Balistrieri. Puoi raccontare ai nostri lettori come è nato questo testo, peraltro poetico e molto istruttivo.

La mia casa è un’isola è nato quasi per caso.  Molti anni fa, quando ancora esistevano i Festival dell’Unità, avevo visto Rosa esibirsi in concerto ed ero restata molto colpita dalla sua presenza in scena e soprattutto dalla sua voce potente.  Poi mentre facevo le ricerche per il mio romanzo Le Gattoparde sono incappata in una sua biografia, ne sono restata colpita, la sua storia è davvero drammatica, una summa di disgrazie incredibili e una forza nell’affrontarle altrettanto incredibile. Mi sono detta, questa storia va raccontata, Rosa non deve essere dimenticata. E così è stato. Io poi sono di famiglia siciliana e dunque quella terra e le sue donne mi stanno particolarmente a cuore.

Ho letto che La mia casa è un isola è il tuo secondo romanzo importante, vuoi parlarci di come è nata la tua passione letteraria, che sicuramente ha molto in comune con quella culinaria, entrambe sono roba da streghe.

In realtà è il terzo. La mia passione letteraria è nata di pari passo con quella culinaria.  Da bambina,  tutte e due.  Ho sempre adorato leggere e ho letto tantissimo. A casa eravamo in cinque, quattro fratelli e io la più grande e la sola femmina.  Puoi immaginare il casino!  Usavo la lettura come mezzo per isolarmi, per ritagliarmi uno spazio solo mio. E ha funzionato. A scuola poi amavo scrivere, l’italiano era la mia materia preferita e quella in cui andavo meglio, sono stata fortunata e ho trovato professoresse che mi hanno sempre incoraggiata e stimolata e finalmente, quando i figli sono cresciuti ho trovato lo spazio e il coraggio di scrivere. Ed è vero che cucinare e scrivere sono due attività da streghe, si mette tutto in un calderone, si usa la fantasia e ne esce fuori un piatto o un libro. Sono tutte e due attività magiche.

Salutiamo Stefania Aphel Barzini con un altro piccolo pezzo, tratto dal suo magnifico libro, La mia casa è un’isola.

A me non interessa diventare famosa. Non canto per quello, canto per riscattarmi, canto per la gente come me, per quelli che non hanno voce.

Silvia Leuzzi
Silvia Leuzzi

Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.