Pier Paolo Pasolini

L’Abiura è compiuta

Tuonava così Pier Paolo Pasolini nell’articolo del 9 dicembre 1973 dal titolo «Sfida ai dirigenti della televisione», che su Scritti Corsari si intitola Acculturazione e acculturazione, cominciando fin dal titolo a pungolare il lettore sulle dissonanze di significato di uno stesso termine.

Sono passati molti anni e noi siamo “i giovanissimi“ cresciuti in quegli anni, in cui più violentemente si è perpetrata la distruzione di quel tessuto sociale e umano, tipicamente italiano, fatto di diversità e ricchezze, di cultura popolare. Siamo quelli cresciuti con lo stereotipo del benessere e della felicità creato da Carosello. Noi, quelli che credevamo di cambiare il mondo, mentre era il mondo che cambiava noi, inconsapevoli consumatori già consumati. Oggi di tutto questo non possiamo che prendere atto, con lucida freddezza, senza nichilismi inutili, cercando insieme una via d’uscita da questo pantano morale e culturale, che ci imbratta e ci avvilisce.

Il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, […] ha imposto […] i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un «uomo che consuma», ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del suo consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.

Il modello verso cui la massa è indirizzata è costruito in funzione del consumo, e alla pubblicità è asservito e utilizzato allo scopo ogni valore morale, religioso o politico.

Pier Paolo Pasolini

Sono questi i segnali che Pasolini avverte, quale raffinato pensatore, della pericolosità della “televisione”, cui ai giorni nostri si è aggiunto internet e le sue storture, e dice:

Non in quanto mezzo tecnico, ma in quanto strumento di potere e potere essa stessa.

È attraverso la televisione che le masse sottoproletarie degli anni settanta acquisiscono comportamenti borghesi, per camuffare le loro origini, dando vita a uno sconcertante capovolgimento di ruoli sociali, nel quale, come dice Pasolini:

i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sotto proletarizzati. … Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali.

Eccoci ai giorni nostri, signore e signori. Le gazzarre che vediamo ignobilmente scoppiare in Parlamento da parecchi anni or sono, dimostrano quanto detto da Pasolini: menti rattrappite, cresciute in una società votata al consumo, che ha trovato la sua fortuna nella continua distruzione di qualsiasi valore morale, religioso o politico, vanificandone il senso.

Ora, preso atto, che siamo vittime di un fascismo più subdolo e distruttivo; preso atto che la nostra cultura è scalfita indelebilmente, fatta a pezzi e decisamente imbruttita, sempre per chiamare in causa l’amico Pier Paolo, mi interrogo sul modo per riappropriarci di quelle conoscenze negateci e che continuiamo a negare.

I giovani sono sempre più in affanno e fondamentalmente depressi, perché gli abbiamo coltivato sogni di cartone e adesso non hanno sufficienti muscoli per questa atroce guerra, come del resto non l’avemmo noi.

Pier Paolo Pasolini 2

Il consumismo come un serpente stritola le sue prede, ingoiandole tutte intere.

L’informazione, asservita all’economia di mercato, “all’efficienza a tutti i costi“, come dice Goliarda Sapienza, gioca un ruolo principale, costruendo a tavolino l’immaginario della massa, per condizionare le sue scelte e i suoi comportamenti.

Al pari dei partigiani che fuggirono alla furia nazifascista, scalando montagne impervie, incontrando la morte; noi, abbracciati alle nostre penne, ai nostri pennelli, ai tasti, alle corde, ai fiati, abbiamo l’obbligo di combattere, non come “ gli ultimi umanisti “ di Pasolini ma come i Nuovi Umanisti. Voci della coscienza che con la loro presenza s’oppongono con ogni mezzo alla distruzione della memoria.

Siccome è agosto e fa molto caldo, ho pensato di chiedere un parere agli amici: Nicola Viceconti, Valerio Valentini e Fabio Iuliano, scrittori che ho il piacere di conoscere e che sono certa sapranno arricchire questa rilettura degli scritti di Pasolini.

Nicola di mestiere è un sociologo e uno studioso di scienze delle comunicazioni. I suoi libri hanno il grande pregio di diffondere i più alti valori morali del nostro Novecento, scritti nella memoria con il sangue di uomini e donne, ai quali siamo e saremo sempre debitori, l’ultimo in ordine di pubblicazione è Vieni via, edito dalla casa editrice Ensemble, che abbiamo presentato sul nostro blog a dicembre 2017.

Nicola Viceconti
Nicola Viceconti

Nicola, la tua esperienza di sociologo e di scrittore ti sta portando a conoscere sempre meglio quei brandelli di tessuto umano e sociale della nostra, e non solo nostra, Nazione e i tuoi libri sono ricchi di memoria; storie vere che la tua penna ci ha fatto vivere in prima persona. Pasolini negli ultimi anni della sua vita non ha fatto altro che denunciare questa amoralità crescente, volutamente è stato isolato e forse ucciso. Qual è l’eredità di quegli anni ?

Gli anni 60-70 erano gli anni del credo ideologico, del coraggio di sperare in un mondo migliore. Erano gli anni della rivoluzione, intesa in ogni sua sfaccettatura, per contrastare una società sempre più spersonalizzata in un momento di cambio dei costumi e degli usi degli italiani. Pasolini è stato un precursore capace di intuire i rischi di una società onnivora e oppressiva, attraverso il potere dei media e l’abbaglio del consumismo. Il suo invito rivolto ai giovani di essere sempre se stessi, sintetizzato nella frase famosa “ti dicono di non spendere e tu splendi”, era un’esortazione a riflettere di luce propria attraverso le idee.

Lui stesso leggeva ai suoi studenti poesie di autori classici e internazionali che incitavano a sviluppare il pensiero critico. Ecco, forse per me è proprio questa l’eredità di quegli anni: la capacità di non omologarsi al sistema, di non aderire ai modelli imposti dall’alto e a coltivare una militanza che si concretizza oggi attraverso una narrativa e una poesia “comprometida”.

La mia formazione da sociologo ha influito molto sulla visione del mondo e sul senso della produzione letteraria, che è sempre più permeata da un’attenzione alle storie di vita di alcuni personaggi paradigmatici di drammi e aspetti sociali di respiro universale. Rispetto a questa chiave di lettura sono state per me fondamentali alcune riflessioni sulla teoria critica della societa portate avanti da Marcuse, esponente della Scuola di Francoforte.

Tu, come me, sei nato nella seconda metà del Novecento: quale della multiforme tradizione letteraria di questo secolo ti ha più influenzato?

Tra gli autori che mi hanno ispirato maggiormente non posso non citare Julio Cortazar, scrittore argentino naturalizzato francese, per la sua capacità di rappresentare, attraverso un mondo fantastico, le debolezze della società moderna. Da lui ho mutuato l’attitudine allo scavo psicologico dei protagonisti che creo nei mie romanzi e il sapore lirico – tipicamente  francese –  della poesia. Un altro autore che necessariamente mi sento di nominare è lo scrittore urugiayano Eduardo Galeano per il suo impegno civile e sociale.

Valerio Valentini
Valerio Valentini

Valerio Valentini, classe 1982, che proprio in questi giorni sta presentando il suo libro di racconti brevi dal titolo Parlare non è un rimedio, pubblicati da D editore di Emanuele Pilia, è per la casa editrice il curatore della collana Strade Maestre, nella quale si è riproposto proprio di recuperare testi ormai dimenticati della buona letteratura del Novecento, per questo ho pensato di sottoporle alcune brevi domande:

Valerio, Pasolini è decisamente pessimista sul futuro, non senza giusta ragione. Nei tuoi racconti, scatti istantanee di vita vissuta in una cittadina di provincia, nei quali il rapporto dialogico tra individui sembra dimostrare tutta la sua inutilità.

Raccontaci in breve quanto della multiforme tradizione letteraria del Novecento ti ha più influenzato.

Senza ombra di dubbio Pasolini, sebbene io sia dell’82, segna in modo indelebile, non solo la mia scrittura, ma soprattutto il modo di rapportarmi alle storie che parlano delle gente. Sono nato e cresciuto a Monteverde, Via di Donna Olimpia per la precisione, la famosa via dei ragazzi di vita di Pasolini. Questo ha segnato sia la mia scrittura che il modo di vedere quello che mi circondava, quello che assorbivo e quello che vivevo.

Come dico nella quarta di copertina, ci hanno abituato fin da piccoli a colte letture di imprese straordinarie, per quanto mi riguarda, inizio a leggere tardissimo, da quel momento in poi non seguo una logica di letture prestabilita, o almeno quella che in passato stabiliva la scuola, comincio a divorare (letteralmente parlando) tutto quello che mi capita, delle volte seguendo dei filoni narrativi, delle altre spaziando sul periodo storico che più mi affascinava.

Negli anni “adulti” ho affinato questo mio modo di approcciarmi alla lettura, sono diventato più selettivo, cercando, in quello che leggevo, un tema che rappresentasse qualcosa di unico, un tema che raccontasse una grande storia, di quelle che cambiano le vite delle persone, sia di quelle che, quella storia l’avevano vissuta, sia di quelle che avevano orientato intorno a essa, si, di quelli come me che l’avevano solamente letta imparando qualcosa, incuriosendosi.

Penso che la letteratura del ‘900 (o almeno fino a una buona parte) sia stata la massima espressione di questo, uno studio, una continua ricerca di grandi emi, di storie (vissute) da raccontare, facendolo in modo dotto, ricercato. Oggi, penso, che questa cura dei dettagli, questa ricerca, si sia persa da qualche parte in attesa di ritrovare la via, i libri in circolazione, troppo spesso, mancano di sostanza, si da la colpa alla mancanza di storie da raccontare, ma, personalmente, penso che manchino i narratori. Quelli che con le parole ci sapevano fare davvero.

Se noi cinquanta/sessantenni siamo cresciuti su modelli precostituiti, che hanno inquinato qualsiasi valore morale, culturale, religioso e politico, rendendoci, non tutti per fortuna, quei detriti umani senza memoria e senza cultura. Tu, che sei nato nel 1982, all’epoca del pieno sviluppo della televisione commerciale, come pensi di poter uscire da questa palude di ovvietà, di depressione culturale e morale?

Dico sempre che, la mia generazione, siamo figli della televisione, quella commerciale, e anche spazzatura, per certi punti di vista, l’abbiamo assorbita, anche non volendo, anche vivendo in un contesto che non prevedeva l’abuso di televisione. La televisione commerciale, con i suoi programmi innovativi, i suoi quiz (la maggior parte prevedeva “l’uso” di concorrenti che venivano scelti tra la gente, il linguaggio più “popolare” accessibile a tutti apportava una novità significativa, rispetto alla televisione (RAI) che veniva vista come più “intellettuale” e legata a valori di un’Italia che era cambiata, la televisione commerciale ha tolto quei volti (visti dal popolo come borghesi) e li ha sostituiti con volti “colorati”, più “alla mano”, secondo me, finti, con il conseguente abbattimento della curiosità (si vede tutto, si capisce tutto perché spiegato con lunghi e inutili monologhi o discorsi portati alla banalità).

Secondo il mio modesto parere ci dovremmo riaffacciare alla bellezza, circondarci di cose stimolanti, andarle a cercare mettendo alla base di tutto la civiltà, per quanto riguarda i mezzi, e in questo caso la televisione, dovrebbe esserci un ritorno alla curiosità e alla divulgazione, anche se, ad oggi, un ritorno a quella curiosità, con programmi intellettualmente più stimolanti e un linguaggio diverso verrebbe visto come un allontanarsi da quello che vuole la “gente comune”. Diciamo che si dovrebbe seguire l’esempio degli Angela (prima Piero e poi, soprattutto, Alberto) studiosi che hanno capito, con un linguaggio colto e interessante ma moderno e accattivante come arrivare nella testa di, non dico tutti, ma molti.

Non potevo non sentire il parere di Fabio Iuliano: blogger, insegnante, scrittore e musicista che ho conosciuto grazie all’editore Mirko Zanona, classe 1978, che a novembre dello scorso anno ha presentato il suo secondo libro, edito per Aurora Edizioni, Lithium 48, recensito sul blog.

Fabio Iuliano
Fabio Iuliano

Caro Fabio, non potevi mancare tu, che con il tuo ultimo libro hai posto con forza l’accento sull’occhio digitale che tutto osserva e che manipola menti e coscienze.

Oltre all’insegnamento ti occupi da sempre di giornalismo; non a caso il protagonista del libro è un blogger. Rileggendo oggi Pasolini, vivendo in una città scrigno qual è L’Aquila, quanto ancora è rimasto di quella semplicità, diversità di usanze e culture,che ha fatto della nostra Terra la più bella e la più ricca d’Arte di ogni genere?

Quello che è successo all’Aquila negli ultimi anni può dire molto sulla nostra epoca e sulla nostra gente: da una parte il terremoto e il doveroso / necessario / efficace intervento della Protezione civile sotto la guida dell’allora governo Berlusconi.

Dall’altra parte lo storytelling talvolta forzato dell’entourage del Cavaliere che ci voleva felici e grati sempre e comunque, qualsiasi scelta fosse imposta dall’alto sul nostro territorio. Le voci di dissenso venivano isolate o ridicolizzate e l’ufficio stampa della Protezione civile si trasformava a volte in una vera e propria macchina da propaganda.

Eppure, almeno nei primi mesi del post-sisma, gli aquilani seppero trovare quel carattere e quella forza per reagire, sulla spinta di alcuni movimenti “grassroots”. Ecco che le carriole, spinte dai cittadini in centro storico con l’intento di rimuovere macerie per dare il via al lento processo della ricostruzione, divennero per un po’, icona di un Paese che non si arrende alla corruzione o alla burocrazia.

Per alcuni mesi i cittadini varcarono in massa i confini della zona rossa del centro storico devastato dal sisma del 2009 e marciare per riprendere un passato da strappare al cemento. Purtroppo, questa consapevolezza è durata troppo poco e dopo sono subentrate divisioni e strumentalizzazioni. Ma in quei mesi tirammo un po’ tutti fuori il carattere e l’ostinazione pura, semplice ed essenziale della gente di montagna.

Visti gli sviluppi della politica e della condizione economica generale, nella quale le masse annaspano in cerca di colpevoli veri o presunti,animati da un clima da Far West, retaggio di anni e anni di televisione spazzatura consumista, populista e violenta, come pensi di poter uscire da questa palude?

Bisogna anzitutto capire che questo clima da Far West è incentivato dai moderni algoritmi, capaci di assecondare le nostre inclinazioni in un modo sorprendente: sul web e sui social si vendono idee politiche così come si vendono paia di scarpe. In altre parole, se io mi mostro vicino a una tendenza, l’algoritmo che sceglie quello che devo visualizzare sul mio smartphone non farà altro che consigliarmi prodotti e argomenti vicini alle mie inclinazioni. Così facendo, Google, Facebook, Twitter e Youtube stanno creando fazioni che contribuiscono a polarizzare il pubblico mettendo uno contro l’altro.

Questi meccanismi “creano distopia” per avere dei clic in più. C’è, inoltre, una parte di politica che contribuisce a soffiare sul fuoco, alimentando lo scontro con post e articoli (anche fake news) provocatori o giocando con l’amigdala dei soggetti più inclini a paure quasi sempre ingiustificate. Ecco che l’intolleranza viene incentivata, così come l’ipocondria, il complottismo e il rifiuto di quanto propone la scienza ufficiale.

La televisione ha fatto e continua a fare abbastanza danni, specie nelle fasce di età più anziane. Quale rimedio? Bisogna parlare con la gente, bisogna parlare a scuola, spingere i ragazzi a pensare con la propria testa, a non dare mai nulla per scontato. Magari con l’aiuto dei libri. Bisogna anche disincentivare lo scontro a tutti i costi, perché la politica populista va avanti a slogan da stadio: o sei con noi o sei con loro. Io è da tempo che mi sto impegnando a cercare di divulgare buone notizie su progetti di integrazione, anziché gettarmi nella mischia di chi dice no all’immigrazione a prescindere.

Qual è la corrente letteraria del Novecento, che pensi abbia più influenzato la tua poetica?

La distopia per i contenuti e la poesia beat per il ritmo.

Ringrazio gli amici per le interessanti risposte, che sicuramente aprono nuovi dibattiti, ai quali invito tutta la redazione del blog a dare seguito, vista soprattutto la loro giovane età e la complessa realtà storica nella quale viviamo.

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