Le menzogne della notte: Bufalino e il sogno della memoria

Emile Nolde 1

«A pancia vuota non sarà un bel morire» si lamentò.
«Così di buon mattino, poi! Quando la luce ci appassiona di più…»[1]

Un piccolo gruppo di uomini si racconta delle storie stretto attorno a un fuoco. Al di là del cerchio di luce la notte è fredda, spaventosa, e loro si fanno coraggio parlando del passato, dei loro sogni.

Raccontare storie è ciò che fanno i personaggi delle Menzogne della notte di Gesualdo Bufalino, uno dei maggiori autori siciliani del Novecento, ma non lo fanno attorno ad un fuoco, bensì all’interno di una cella. Alla luce di una lampada, con nelle orecchie il lontano rumore delle onde che s’infrangono sulla costa, i cinque condannati a morte protagonisti del racconto iniziano a parlare dei momenti felici della loro vita, ricordano il passato lontano, arricchendolo con dettagli fantasiosi, confondendo gli altri ascoltatori. Tutti sono intrappolati nella stessa rete, ma nessuno sembra conoscere realmente l’altro. È come se si fossero incontrati quella notte per la prima volta. Nessuno di loro vuole ammettere di essere stato un uomo crudele o codardo, e al contempo vuole incantare il proprio uditorio, persuaderlo che quanto sta raccontando sia la verità.

Per Gesualdo Bufalino l’atto dello scrivere, e del raccontare, passa attraverso la memoria: anche Diceria dell’untore, la sua opera più celebre, è incentrato sul ricordo. Per Bufalino ricordare significa sottrarsi alla morte, sottrarre delle parti della propria vita all’oblio e consegnarle a un racconto che le possa eternare e cristallizzare e quindi renderle migliori rispetto a come sono state davvero. I personaggi di Bufalino quando raccontano mentono e non possono sottrarsi alla menzogna perché farlo significherebbe accettare la morte.

La morte infatti si lega in modo duplice al raccontare: da un lato quest’atto permette di sottrarre all’oblio i ricordi, ma dall’altro chi racconta, chi ha più ricordi da raccontare è più vecchio e quindi più vicino alla morte stessa.

Emil Nolde
Emil Nolde, Nuvole rosse, acquerello su carta, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid.

I personaggi di Bufalino quindi raccontano prelevando dalla loro memoria, reinventandola e così facendo trasformano le loro storie in fiabe inquiete. Come in un piccolo Decameron i personaggi sono costretti in una situazione da loro non voluta, ma provano piacere nel raccontare la storia della loro vita. Lo fanno giocando, seminando menzogne che alterano la realtà, la trasformano in un sogno ad occhi aperti, il sogno della memoria, cioè fantamemoria.

Questo è il nome con cui più volte Bufalino definisce questo modo di raccontare che non è solo quello dei suoi personaggi, ma anche il suo. Nella sua opera più conosciuta, Diceria dell’untore la fantamemoria è già presente. In quell’occasione infatti lo scrittore siciliano parte da una sua esperienza per scrivere un racconto in cui sogno e morte si sovrappongono che resta sempre profondamente personale. Con Le Menzogne della notte, invece, il racconto non è più autobiografico, ma diviene pura invenzione romanzesca e la fantamemoria non è più un mezzo usato dall’autore, bensì dai personaggi.

La fantamemoria nasce da un gusto per il racconto che ritroviamo anche altrove nella letteratura e nell’arte e anche in luoghi tanto distanti dalla letteratura di Bufalino, come in Tim Burton. La poetica di un film come Big Fish può raccontare molto da vicino la fantamemoria perché il protagonista del film ama ricordare mischiando realtà e fantasia al punto che noi e nemmeno lui sanno più distinguere tra realtà e fantasia. Lo vediamo attraversare boschi, parlare con giganti e con bellissime dame, lo vediamo costruire la sua storia come una bellissima fiaba e forse non è nemmeno così determinante sapere se ciò che ci racconta è vero oppure no.

In Tim Burton c’è la menzogna, la diceria, questa memoria che è fantastica ma anche fantasmatica perché non riusciamo mai ad afferrarla compiutamente. Se, probabilmente, Bufalino aveva in mente il Decameron come modello di affabulazione, Burton presenta tutt’altro orizzonte culturale: Big fish ha come modello le Tall Tales, che sono un elemento fondamentale del folk americano

Gesualdo Bufalino, Le menzogne della notte, copertina

Alcuni esempi di Tall Tales sono i racconti dei pescatori (il titolo di Big Fish fa prorpio riferimento a questo) o le storie di pernsaggi avventurosi, come Davy Crockett o di Calamity Jane. Le loro vite, legate all’epopea del Far West, si prestano infatti al fiorire di storie e leggende, al punto da diventare patrimonio della cultura popolare. Le storie su di loro sono tante e tali, infatti, che diventa difficile distinguere il vero dal falso.

Il punto di vista di Tim Burton è, in questo, del tutto sereno: per lui la Tall Tale, l’invenzione, non toglie verità , ma al contrario ne è un moltiplicatore, in quanto ne accresce il fascino. La verità dei fatti non è, per Burton, il criterio con cui valutare il mondo, ma al contrario il modo con cui valutare il mondo è la sua capacità di affascinarci.

Per Bufalino noi possiamo giocare con l’immaginazione, con la fantasia e con la capacità di affabulare, ma la verità delle cose è sempre lì, anche se noi facciamo finta di non vederla, e a dimostrarlo è la morte stessa. Nel momento in cui giunge la morte i giochi sono chiusi, il futuro che sognavi non è mai arrivato, e non puoi più cambiare la tua vita. Puoi al massimo venderla bene agli altri, ma non a te stesso.

I personaggi di Bufalino sono dei congiurati che hanno tentato di cambiare la realtà, ma sono stati sconfitti. è la vita stessa ad averli sconfitti: sono state sconfitte le loro speranze, sono state sconfitte le loro idee, e adesso, durante la loro ultima notte, l’unico modo per vendicarsi è ingannare a loro volta la vita.

Le Menzogne della notte è un libro sul raccontare, sul raccontarsi e sull’affabulazione ma, come scriveva Ella Imbalzano «L’obiettivo non è la pura stupefazione, ma l’adeguamento della scrittura a quel labile velo che congiunge e confonde “verità” e “menzogna”»[2].  Questo strano limitare è il centro dell’opera: il vero e il falso, l’illusione, il sotterfugio. È l’inganno di queste storie venate di giallo, di noir iperreale: un inganno che i personaggi si fanno a vicenda, che fanno a se stessi, e l’inganno che l’autore ha preparato per noi, consegnandoci questo libro.

 


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Redazione: Salvatore Ciaccio
Salvatore Ciaccio

Nato a Sciacca in provincia di Agrigento nel 1993, ho frequentato il Liceo Classico nella mia città natale per poi proseguire gli studi a Pavia, dove mi sono laureato in Lettere Moderne con una tesi dedicata all'architettura normanna in Sicilia.