Tra Kallifatides e Baricco: raccontare l’Iliade

Elena e Paride

C’è qualcosa di perfetto che mi ha sempre attratto nell’Iliade; qualcosa che non si può spiegare razionalmente. O, per lo meno, non solamente. In qualunque momento della vita puoi prendere in mano l’Iliade, aprirne le sue pagine con delicatezza, quasi fossero dei petali di un fiore profumatissimo, e quello che troverai sarà sempre lo stesso: i Troiani, dentro le belle mura della loro città, difendendosi dall’assedio degli Achei.

La storia è cristallizzata in un eterno divenire: Agamennone toglierà sempre Briseide ad Achille, questi sarà vincolato ad un’ira eterna; il corpo senza vita di Ettore verrà per sempre trascinato tre volte attorno alle mura di Troia. In quest’eterno ritorno c’è del magico: l’Iliade inizia in medias res e prosegue senza finire realmente. Anzi, proprio nel suo culmine, ri-inizia.

Il proposito di quest’articolo è parlare di L’assedio di Troia (Solferino, 2020) di Theodor Kallifatides, ma farlo mantenendomi vicino solamente al testo di Kallifatides, credo sarebbe un grave errore. Sì, perché quest’ultima opera del grande scrittore greco è un tassello importante di un quadro ben più grande del singolo romanzo: il raccontare l’Iliade. Per questa ragione è così importante capire prima la potenza del poema omerico, e poi addentrarsi dentro all’opera di Kallifatides. Leggere L’assedio di Troia come un romanzo di guerra è fondamentalmente sbagliato.

L’assedio di Troia utilizza senza dubbio il contesto bellico della seconda guerra mondiale come palcoscenico in cui una maestra greca racconta le vicende di Achille, Patroclo, Aiace, etc… ai suoi alunni riuscendo a mitigare, seppur brevemente, gli orrori della guerra con il dolce nettare della narrazione. Però, questo mero palcoscenico fa parte di un teatro intero ed interno, ben più grande, ben più semantico. In questa netta bipartizione tra guerra reale e guerra mitica, Kallifatides gioca a mescolare i piani del racconto, facendo a volte sembrare Achille un soldato di una guerra tangibile o un giovane aviatore tedesco del paesino dei protagonisti, un eroe venuto con la sua nave nera da un’isola lontana e quasi dimenticata.

Il romanzo, così strutturato, fonda la propria architettura interna su questi due pilastri che sembrano sostenersi a vicenda. Sembrano.

iliade di omeroSe, infatti, uno si prendesse la briga di leggere singolarmente e in maniera continuativa i distinti filoni narrativi, la sensazione che ne trarrebbe sarebbe di leggera disparità. Se per quanto riguarda le vicende reali dei protagonisti, i loro affetti, le perdite, i danni e le delusioni, abbiamo scorci purissimi di alta letteratura e fortissima empatia, leggendo soltanto la narrazione dell’Iliade, e tralasciando tutto il resto, rimaniamo con un’eccitata insoddisfazione.

Fondamentalmente il problema non è di Kallifatides. Anzi, forse il problema è tutto mio. Il fatto è che l’Iliade è un mondo totalmente autosufficiente, eterno e dotato di regole proprie. Ne facevo menzione poco fa: questo circolo perfetto che parte quando tutto è già nel suo apice, fa un giro immenso e poi si ricongiunge in un’azione imperitura, si dota di certe caratteristiche che chi decide di raccontare non può ignorare.

In quest’ottica, oltre a L’assedio di Troia, devo fare menzione ad un libro del 2004: Omero, Iliade di Alessandro Baricco. Credo che, per quanto sia impossibile raccontare qualcosa che è già stato raccontato divinamente, Baricco riesce ugualmente ad avvicinarsi al nucleo fondante della bellezza dell’Iliade.

Omero, Iliade nasce come proposta di lettura pubblica dell’Iliade dentro dei teatri. Considerando che il testo omerico è abbastanza largo, sarebbero state necessarie molte ore, e un pubblico forse troppo paziente. Così, Baricco decide di intervenire sul testo costruendo una nuova foresta: le radici sono quelle di Omero, ma i frutti, dolcissimi, sono suoi. Quasi mai vengono tagliate intere scene, il ritmo di Omero persiste, gli interventi divini vengono eliminati. Quest’ultimo tassello è molto importante in luce al discorso più amplio che sto affrontando sul poter raccontare l’Iliade, e a breve ci ritorneremo.

Altra caratteristica fondamentale è il giro di vite che Baricco dà all’Iliade: la narrazione viene girata in soggettiva. In questo modo, una selezione di personaggi della stessa opera omerica prendono voce e raccontano in prima persona la propria vicenda o i destini a cui assistono degli altri personaggi. Questo espediente letterario è senza dubbio utile al lato più pratico dell’impresa di Baricco, in quanto per il pubblico sarebbe stato decisamente più facile immedesimarsi nella vicenda ricevendola direttamente da chi, quella storia, l’ha vissuta.

diomede iliadeSinceramente, il tocco distintivo di Omero, Iliade si racchiude dentro a questo scrigno, e forse non è nemmeno esagerato affermare che la sua importanza non deriva da un semplice “gioco letterario”, o dal mero cambio di prospettiva scenica.

Il fatto che siano i personaggi della stessa Iliade a prendere voce ed esprimersi, certamente ci aiuta a scolpire a fondo la dura intelaiatura omerica e raggiungere quel epicentro umano che alla fine compone il poema; certamente dona anche un altro ritmo, un altro accento alla narrazione, infondendo una sorta di modernità che aiuta la comprensione dell’Iliade: ma l’incredibile splendore dei caratteri umani esiste già nella stessa Iliade di Omero. È tutto lì, scalfito nella roccia. Eretto come un monumento all’immortalità degli uomini.

Molti studiosi hanno affermato che l’Iliade è un poema bellico che in realtà nega la stessa guerra, ed esalta invece la vita, e mi ritrovo particolarmente d’accordo con questa lettura dell’opera. E la lettura che ne fa Baricco segue esattamente questa linea. La bellezza del poema risiede infatti nelle esitazioni di Ettore prima di lanciarsi nella battaglia, accarezzando malinconicamente una volta ancora suo figlio, nell’esaltazione rabbiosa di Patroclo mentre veste l’armatura del suo Achille, nei sospiri amari di Elena. Tutto quello che creano i personaggi dell’Iliade sprigiona vitalità: sono estratti di pura vita. La guerra è solamente uno sfondo lontano in cui dimostrare di essere vivi. Di esserlo ancora.

In Omero, Iliade è importantissima, inoltre, la dimensione umana della vita degli eroi omerici: parliamo di un qualcosa di prevalentemente brillante, privo di punti d’ombra e in grado di assorbire l’esistenza stessa; i movimenti di ciascuno di loro sono autosufficienti e proiettano l’azione in un limbo concreto di eternità. In sostanza, gli eroi dell’Iliade sono come costellazioni che seguono il loro corso incessante, esaurendo in sé la propria ragione d’essere, in virtùm, chissà, di un disegno più grande di loro.

iliade

In effetti, l’intervento delle divinità è una caratteristica principale del poema. Gli dei si interpongono alle azioni dei combattenti, spesso spingendo il favore della battaglia da un bando all’altro, o addirittura decidendo le sorti di ciascuno di loro. Quando un guerriero muore, è immediatamente chiaro tra i restanti che sia stata una decisione di un qualche dio. Dentro a questo contesto pensato da Omero, pressoché chiuso e senza grandi possibilità d’intervento, tanto Kallifatides come Baricco hanno deciso di limitare, se non addirittura eliminare, gli interventi divini dell’Iliade.

Cosa rimane dunque di quest’impalcatura omerica, tolte le sovrastrutture divine? Senza quest’ingombrante incombenza, resta senza dubbio la matrice più interessante e moderna del poema, molto più fruibile dalla modernità: l’umanità, intesa come essenza terrena e mortale della vita quotidiana. Persistono tutti quei piccoli dettagli che fanno di Achille e di tutti gli altri, caratteri immortali della memoria collettiva e, in qualche modo, sussistono in questo nuovo universo di guerrieri che lottano per la propria vita. In quest’ottica, Baricco riesce a raccontare l’Iliade colpendo nel segno l’essenza pura del poema e rappresentando una delle letture più riuscite del poema omerico.

Kallifatides, invece, tende a valorizzare molto di più le parti della narrazione “attuale”, rispetto alle parti dell’Iliade, tralasciando proprio queste caratteristiche a cui accennavo. Mancano mordacità, lirismo, e un accento marcato sugli aspetti umani dei personaggi. La narrazione scorre senza nessun intoppo: L’assedio di Troia è un libro che funziona, ma che lascia una sensazione di essere completo solo per metà. Se da un lato abbiamo una vicenda personale davvero emotiva e toccante, dall’altra abbiamo un racconto dell’Iliade che, purtroppo, sembra solo un riempitivo.

E l’Iliade richiede molto di più: e quest’esigenza non è solo un’impressione. Ne abbiamo la certezza quando finalmente leggiamo opere come Omero, Iliade che la raccontano alla perfezione in tutto il suo splendore, aprendo la via alle vite che la popolano; fossili palpitanti che lottano pelle contro pelle, nudi di tutto, mentre cantano sottovoce una melodia scordata che profuma di vita.

Mattia Lo Presti
Mattia Lo Presti

Cercatore d’Essere; Ignobile scrittore di poesie; Fanatico lettore onnivoro. Sono nato a Como nel 1993. Mi sono diplomato al Liceo Classico A. Volta lottando principalmente contro la pigrizia e la matematica. Dimenticavo: sono recidivo. Per questo, forse, mi sono laureato in Lettere Moderne (indirizzo filologico-letterario) presso l’università degli studi di Pavia. Ora vivo a Barcellona.