Con-tatto, forme di resistenza artistica nelle periferie – IV
Finestre aperte – pt. 2
Nel 2012 alcuni ragazzi e ragazze si imbattono in una cascina dall’aria un po’ rustica, insinuata – come a voler occultare il proprio segreto – in uno dei rari spazi verdi a Milano: nel quartiere Cavriano, tra Ortica e Forlanini. Incuriositi dal loro rinvenimento, indagano la natura del luogo; ed è così che conoscono alcuni anziani contadini che fino al 2010 avevano in loco un’azienda agricola che vendeva ai mercati di via Lombroso i propri prodotti. Tra di loro c’è anche Mario, ottuagenario: l’ultimo abitante della cascina, che si ostina a viverci nonostante la cascina non abbia il riscaldamento. I contadini raccontano loro che il posto, essendo proprietà del Comune di Milano, è destinato a venire dismesso a causa della sua veneranda età.
I ragazzi iniziano a guardarsi meglio attorno, a misurare con i loro passi la storia che hanno appena ascoltato, e pensano: pensano che in fondo è un peccato. E mossi internamente da un interesse inarrestabile, nelle settimane successive iniziano a frequentare la cascina e a portare il proprio contributo, facendo germogliare le prime feste e attività e aiutando a rigenerare gli orti. Intanto le loro riflessioni si addensano sempre più, fino a che non convergono fitte in una decisione: costituiranno un’associazione prendendosi in carico il posto. Ed è così che, dopo una manifestazione di interesse presentata al Comune di Milano, nasce Cascinet APS, a fare da collante a ciò che resta, come la casa di Mario che lui non sarà più costretto a lasciare, e ciò che ha da venire, come le attività artistiche e culturali a cui daranno vita i ragazzi e le ragazze.
Oggi l’associazione infatti, oltre ad aver restituito alla cascina le sue funzionalità agricole (ne è nata infatti l’Impresa Sociale Agricola, i cui terreni comprendono anche 8 ettari all’interno del parco della Vettabbia, in zona Corvetto) conta dai 350 ai 400 nuovi soci all’anno e ha realizzato in pieno quelle che erano le speranze espresse nel manifesto redatto nel gennaio 2013.
Così infatti leggiamo:
«Oltre ad essere mossi da una visione, siamo motivati anche da un bisogno: tornare a decidere riguardo la nostra città. Non limitarci ad essere consumatori ed elettori, ma produttori e cittadini attivi in grado di trasformare concretamente una porzione di realtà. [..] Cascinet analizza bisogni, problematiche, punti di forza e di debolezza della realtà che incontra e agisce in modo inclusivo, attraverso l’agricoltura, l’arte, la cucina e l’ospitalità per realizzare un modello di vita economico/sociale sostenibile».
Mossa dall’intento ambizioso di restituire alla cittadinanza un modello virtuoso in grado di unire ecosostenibilità, memoria storica (la cascina Sant’Ambrogio ha infatti alle spalle una storia antichissima di rinascite e trasformazioni, il cui inizio si fa risalire all’insediamento delle monache del Monastero di Santa Radegonda, intorno al 1100), arte e cultura, Cascinet ha saputo dare vita a una vera e propria filosofia della cura, di cui possiamo ritrovare immediatamente le tracce in alcuni estratti del Patto Etico condiviso anche sul sito dell’associazione.
«CasciNet è promotrice di una CULTURA intesa come espressione autentica, armonica e integrale di tutte le dimensioni dell’umano. Un ambiente quindi dove vengono espressi e riconnessi i differenti ambiti necessari alla vita: nutrire, riposare, lavorare, coltivare, celebrare la bellezza, socializzare, inventare, meditare e pensare. Generare cultura per noi significa riconnettere in modo sinergico persone, pratiche, patrimoni storico-ambientali ed esercizi di innovazione sognante».
E ha saputo estendere questa filosofia a tutti gli abitanti della cascina, proponendo attività trasversali in grado di raccogliere e unire persone di differenti etnie, classi sociali, età: le attività spaziano da quelle propriamente agricole, alle serate di musica elettronica animate in estate dai giocolieri, all’Asilo nel bosco riservato ai più piccoli, alle cene sociali del venerdì sera, alle attività spirituali incentrate sullo yoga e la preghiera, ad altro ancora; come in una rappresentazione dinamica della realtà in grado di tenere conto della multidimensionalità dell’umano con le sue relazioni.
Legami sprigionati da Cascinet e avvicinati, evidenziati nei loro fili luminescenti, anche grazie alla nostra intervista a Pietro Porro e Nicolò Gazzola, due tra i soci più attivi. Pietro e Nicolò ci guidano all’interno della cascina: la prima tappa è la Food Forest, una foresta “commestibile”, e all’interno c’è di tutto, dai vegetali agli alberi da frutto, a delle vere e proprie piante da foresta, a una vasta varietà di insetti e piccoli animaletti che alimentano l’ecosistema.
«La Food Forest si sviluppa attraverso un concetto di mimesi, cerchiamo infatti di riprodurre i meccanismi che avvengono nel bosco, nell’ecosistema madre, per coltivare ortaggi, fiori, frutti, e fibre, ci sono perciò grande diversità e soprattutto una fitta stratificazione; vedete il gelso con sotto i girasoli, con sotto i pomodori, le patate, le fave, in presenza di un pero, delle cipolle, della ruta, del timo, della lavanda… tutto questo in piccoli spazi densamente coltivati», ci spiega Pietro.
Questa funzionalità è espressa dal concetto di permacultura: sviluppato da Bill Mollison e David Holmgren negli anni Settanta, quest’idea sintetica indica lo sviluppo di tecniche volte a favorire una coltivazione etica e rinnovabile dei terreni, priva dell’uso di diserbanti chimici, dotata di un sistema di riutilizzo dei materiali, e in grado di autosussistere e svilupparsi grazie al suo stesso ecosistema interno. Ed è così che, come ci spiegano i ragazzi stessi, confluiscono verso uno stesso scopo i piccoli lombrichi volti a creare l’humus, il cippato (materiale residuo che viene in città normalmente buttato dopo la potatura degli alberi, che introdotto invece in cascina diviene risorsa multifunzionale atta ad aumentare la fertilità del suolo e a migliorare l’efficienza idrica), il letame animale e il compost (miscela ottenuta con un processo di fermentazione di rifiuti organici).
«L’idea è – mano a mano che l’ecosistema si evolve – quella di arrivare a una manutenzione sempre più lieve, sempre più bassa e calcolata, e di lasciare sempre più spazio alla natura, da cui abbiamo solo copiato», chiude Pietro, mentre ci svela che la cascina sta persino progettando un sistema sperimentale ribattezzato “termocompost”, che sarà in grado di scaldare parzialmente la cascina con il calore naturale del cippato.
La seconda tappa sono le arnie del progetto “Apinet”, apiario condiviso nato nel 2016 e arrivato oggi a ospitare una decina di famiglie di api dalle cinque iniziali, che produce 80 kg di miele all’anno. Troviamo qui i ragazzi con le tute protettive alle prese con tante piccole api intelligenti: «non vi spaventate, vedrete degli astronauti», scherza Nicolò. Ci fa assaggiare il miele e ci mostra le arnie artigianali che sono tutte diverse, costruite con tecniche e materiali differenti: da quella africana a quella ricavata da due tronchi d’albero sovrapposti a quella innestata in un bugno, tronco cavo all’interno; diversi di conseguenza al loro interno anche i sistemi di aerazione.
Arriviamo all’area di “Terra Chiama Milano”: sono gli orti condivisi della cascina, un progetto di orti sinergici dove gli appezzamenti di terra sono gestiti in maniera indipendente dai soci CasciNet e cittadini di Milano, e dove ognuno può dar spazio alle proprie creazioni. Come chi ha ricreato per sé una zona di benessere e relax, attorniata da tronchi dipinti e un forno tandoori tipico indiano, di terra cruda (nell’ambito del progetto europeo Ruz, si svolge tra gli altri a Cascinet il laboratorio di lavorazione di terra cruda).
Infine accostiamo la “zona Healing”, area utilizzata durante i festival per ricreare delle piccole oasi di pace – per esempio montando tende adibite a trattamenti e massaggi – e dove si sta apprestando il progetto di una piscina fitodepurata, ma che funge soprattutto da punto di incontro spirituale (anche se non unico) della cascina: «ogni tanto arriva qui anche uno sciamano – pare sia l’ultimo discendente delle tribù degli indiani d’America – e viene svolto regolarmente il rito del Temazcal sotto quella capanna sudatoria, dove vengono scaldati questi sassi con l’acqua e si intonano dei canti, delle litanie… si fanno questi riti che durano serate intere». Finisce pian piano così il nostro tour all’interno della cascina, ma non la meraviglia che si riposa incastonata nei nostri occhi ancora per un po’.
Dalle cene sociali del venerdì (dove ognuno può mangiare con una piccola donazione libera), ai concerti, all’Asilo nel bosco dove l’associazione “Naturiamo” fa giocare i bambini all’aperto all’insegna di una pedagogia all’avanguardia, al progetto “Gruppo Absidiani”, che gestisce l’abside risalente al 1200, e lo fa rinascere quotidianamente grazie alle pratiche di meditazione, al progetto Consolida, che ospita una madre Rom e i suoi tre bambini, tutto infatti a Cascinet sembra parlare con una stessa voce corale.
Quella voce che si rispecchia nelle parole di Luigina Mortari, quando individua le quattro posture etiche che qualificano la “cura”: la responsabilità, attivata da empatia e compassione; la generosità, che colloca i gesti di cura fuori da una logica di scambio, e piuttosto entro una logica di gratuità; il rispetto, frutto della consapevolezza che la cura avviene all’interno di una relazione asimmetrica; il coraggio, come capacità di affrontare i conflitti. Mortari definisce la cura, sulla scia di un’antropologia che ricalca il linguaggio heideggeriano, «il primo e fondamentale esistenziale», considerandola risposta autentica alla struttura interna del mondo umano, e noi tra chi pratica questo tipo di filosofia, avulsa dalle solite logiche di mercato, annoveriamo Cascinet, con il suo tripudio sfavillante di attività e la sua attitudine alla gioia.
Autrice: Valentina Nicole Savino
Regia e riprese: Davide Cipolat
Interviste: Valentina Nicole Savino
Montaggio: Agnes Aquilecchia
Grafiche: Claudia Antini