Watching is gaming: and Life is Strange

Life is strange

Canzone/i consigliata/e durante la lettura: Syd Matters, Obstacles oppure Foals, Spanish Sahara[1]. Entrambe altresì note come «quelle canzoni stucchevoli utilizzate nel videogioco la cui capacità di stimolare ferocemente i dotti lacrimali affonda le radici nel videogioco stesso».

Una volta esistevano le serie TV. Poi vennero i videogiochi.

Un giorno un tizio con qualche vaga nozione nel campo del marketing, un tizio al quale ci riferiremo qui amichevolmente col nome inventato di “Dio”[2], si accorse che ciò era cosa buona e giusta.

Dio constatò che la tecnologia videoludica era in continua evoluzione, adatta a una riproduzione sempre più fedele della realtà; constatò che la serialità televisiva stava guadagnandosi spazi di pubblico sempre maggiore, sempre più consapevole.

Dio realizzò quanti soldi avrebbe potuto fare fondendo le due cose.

E così lo fece.

Nasceva l’avventura grafica a episodi.

(AGE/ADAMO/EVA/ACRONIMO A PIACERE)[3].

Frankenstein della produzione digitale, le avventure grafiche a episodi nascono là dove serialità televisiva e intrattenimento videoludico trovano un punto di incontro: frutto di tale convergenza è un insieme di vicende interattive suddivise in episodi[4], a loro volta suddivisi in stagioni, in cui a farla da padrona è la storia. Una storia a cui saremo chiamati a collaborare con le nostre scelte, influenzando con decisioni di diversa entità il corso degli eventi narrati (o, in questo particolare caso, giocati).

Life is strange

Rispetto a un videogioco convenzionale, il gameplay rinuncia a buona parte della sua varietà, andandosi a integrare quasi totalmente con uno schema narrativo pre-impostato: minima libertà di movimento, dunque, a fronte della massima fluidità di storia; di una narrazione e di un carico emotivo (solitamente) equiparabili a quelli offerti dalla serialità televisiva di livello.

Per molti aspetti l’interazione con l’ambiente ricalca quella delle avventure punta-e-clicca di antica e rinomata tradizione; tirando il freno sulla difficoltà allucinante degli enigmi a favore di un libero arbitrio quasi sempre caratterizzato da un dualismo manicheo: offrire qualche spicciolo a quell’amabile senzatetto oppure pugnalarlo più e più volte e cibarsi delle sue interiora? Il gioco non giudicherà.

La fama di simili produzioni è quasi interamente dovuta alla Telltale Games, casa di sviluppo statunitense le cui avventure grafiche, quasi esclusivamente realizzate con la tecnica del cel shading, sono solite appoggiarsi ad altri franchise di successo (siano essi televisivi, letterari o già videoludici) che i ragazzi Telltale vanno a espandere e arricchire con le vicende da loro inventate.

Quindi, tanto per cambiare, nell’articolo odierno parleremo di tutt’altro. Life is Strange è un’avventura grafica del 2015 sviluppata dalla pressoché sconosciuta casa di produzione francese (chez, pardon[5]Dontnod e distribuito dalla decisamente conosciuta macchina da soldi giapponese (???, sumimasen[6]) Square Enix. I sue cinque episodi, secondo una norma già granitica per questa neonata tipologia videoludica, occupano buona parte dell’anno, uscendo bimensilmente tra gennaio e ottobre.

Life is Strange vita di Adele
A sinistra Life is Strange; a destra La vita di Adele di Abdellatif Kechiche (già a suo tempo soggetto di un articolo… e con questo siamo a due auto-citazioni di fila. Il mio ego si accresce).
Entrambi i prodotti sono francesi.
Coincidenze?
Io non credo.

Il gioco narra le vicende di Maxine “Max” Caulfield, studentessa presso la prestigiosa accademia fotografica Blackwell di Arcadia Bay, città americana fittizia situata in un meno fittizio Oregon. La trama (fittizia) scorre armoniosa tra una miriade di temi, spaziando liberamente per un caleidoscopio di campi diversi. Fotografia, teorie matematiche, teen drama ben più maturo della media, cultura attinta da ogni ambito del pop, segreti della rustica provincia americana in stile Twin Peaks: Life is Strange accoglie con vario interesse tutte queste suggestioni, le rielabora e ne trae un insieme compatto, godibile e profondo. Il tutto arricchito da quello che del gioco costituisce l’elemento fondante e il più caratteristico; un elemento che, per amor di stronzaggine sorpresa e per evitare anche la più infima parvenza di spoiler, chiameremo qui effetto Prince of Persia[7]. E di che cosa si tratti, come diceva esattamente [sic] Lucio Battisti, “lo scoprirete solo giocando”.

Quella di Life is Strange è una vicenda adulta, sfaccettata, dolorosa. Ad affollarla una miriade di personaggi diversi: qualcuno più riuscito, qualcuno meno; tutti inevitabilmente caratterizzati. Personaggi delineati sapientemente tramite stereotipi che, di volta in volta, vengono affermati o smentiti, delineando figure a tutto tondo quasi sempre tendenti a una tenue sfumatura di grigio. Un velato ottimismo campeggia sul pessimismo di fondo; un’atmosfera meravigliosamente naif la cui innocenza si mantiene nonostante (o forse proprio grazie a) tutto il dolore che il gioco non si sforza di nascondere. La stragrande maggioranza dei suoi interpreti Life is Strange la illustra con tinte pacate, morbide; come morbidi possono essere i pensieri di una diciottenne buona, intelligente, emarginata abbastanza da poter guardare alla società con occhio critico e con una non sottovalutabile dose di ironia.

Proprio Max costituisce il cuore pulsante di Life is Strange, il fulcro inalienabile di una serie centripeta di eventi. Allo sviluppo della narrazione e alle conversazioni a scelta multipla con gli altri personaggi la ragazza unirà tutta una serie di elementi atti a caratterizzare ulteriormente il suo personaggio e quelli altrui: le giornaliere annotazioni sul diario, influenzate in maniera anche notevole dalle nostre decisioni; le fotografie (assolutamente facoltative) di oggetti, cose e persone ritenuti degni di uno scatto (le cui condizioni spesso andremo appositamente a creare); gli SMS che approfondiranno la comunicazione con gli altri interpreti della vicenda.

Butterfly Life is strange
Quali e quante terribili conseguenze potrà avere la decisione del giocatore di innaffiare Lisa la Pianta? Non oso neppure pensarci.

Life is Strange è, sopra ogni altra cosa, una storia struggente. È un concatenarsi di eventi tragico come può esserlo solo la vita reale: un insieme di drammi che Max, rimboccandosi le maniche (e non senza qualche tentativo…), riuscirà talvolta ad arginare. Ma non sarà sempre questo il caso.

Le vicende a schermo ci coinvolgeranno, ci toccheranno e talvolta arriveranno a ferirci; secondo quella sadica legge di natura per cui il dolore di vittime fittizie ci (… mi?) sembra sempre più intenso e viscerale di quello dei nostri coetanei in carne e ossa. Da questo punto di vista, e potenzialmente da qualunque altro, il ha per me costituito l’apice dell’esperienza, regalandomi momenti indimenticabili nella cruda autenticità della loro rappresentazione: momenti giocati con una mano sul mouse e una sullo stomaco, toccato dall’intensità viscerale di ciò che stavo vedendo.

Eletto il penultimo episodio a climax della (prima?) stagione, il finale risulta purtroppo assai più debole: Dontnod ha messo tanta, tanta carne al fuoco, e il quinto episodio si barcamena disperatamente da una parte all’altra nel tentativo di chiudere coerentemente l’insieme; con risultati che non possono minimamente competere con la lineare purezza del capitolo precedente

Ciò detto, e auspicando che i puristi arrivino a far coincidere il penultimo episodio con la conclusione ideale della vicenda, Life is Strange resta un’esperienza unica, autentica, dilaniante e splendidamente toccante. Una perla sita all’incrocio tra fruizione televisiva e interazione videoludica, animata da tutte quelle emozioni che possono derivare esclusivamente dalla vita reale.

Sì, lo so, sono un deficiente. Sì, lo so, ho completamente rovinato l'atmosfera. Però questa dovevo inserirla.
Sì, lo so, sono un deficiente. Sì, lo so, ho completamente rovinato l’atmosfera. Però questa dovevo inserirla.
davide cioffrese
Davide Cioffrese

Eclettico nella mia conoscenza del nulla, narcisista nella misura in cui il mio ego non incontra quello degli altri, più sensibile agli attacchi emotivi di opere fittizie che a quelli del libro/film/ videogioco chiamato “vita” (aspetto alquanto allarmante). Tento di approcciarmi al mondo nella maniera più amichevole possibile, ma se di dovere (e, talvolta, a sproposito) non mi faccio scrupoli ad attaccarlo con eguale ferocia. Salvo poi, magari, sentirmi dispiaciuto al riguardo. Non aspettatevi che lo confessi, comunque. Jack of… some trades, master of none… in particular.