Non si sfugge alla macchina: Her di Spike Jonze

Lei Spike Jonze

Le intelligenze artificiali stanno modificando la nostra vita. Se fino a qualche anno fa ne sentivamo soltanto parlare, adesso le utilizziamo tutti. Per questo rivedere quei film che ne hanno parlato fa un certo effetto. Il rapporto uomo-macchina è una delle costanti della fantascienza del Novecento: da Asimov a Philip K. Dick, da Metropolis di Lang ad Alien, alla serie degli anni Sessanta Ai confini della realtà sino ad arrivare a Terminator o a Blade Runner, per non parlare di manga e anime. 

Tra questa enorme mole di film, libri e serie Tv, Her di Spike Jonze non si discosta molto, ma ci presenta una situazione leggermente diversa, che oggi risulta molto verosimile per la nostra quotidianità: ci presenta un’intelligenza artificiale incorporea, fatta solo di una voce che riempie le orecchie del protagonista. 

Theodore Twombly, interpretato da un notevole Joaquin Phoenix, è un uomo solo ed introverso, un uomo che svolge una professione per noi inusuale: infatti è una sorta di ghostwriter di lettere d’amore, una professione che nell’universo del film è considerata normale e degna anche di un certo rispetto. 

Il mondo che ci racconta Spike Jonze è infatti un futuro molto prossimo in cui gli esseri umani hanno sempre più difficoltà a interagire tra loro e anche il nostro Theodore, nonostante il suo lavoro, non fa eccezione; ama molto gli esseri umani, ama osservarli, immaginare e scrivere i loro sentimenti, però, nonostante questo, si sente profondamente solo. La sua è una realtà grigia, monocorde e totalmente proiettata verso il passato. Ma la situazione cambia con l’arrivo di Samantha.

Her di Spike Jonze

Samantha è un’intelligenza artificiale con una voce particolarmente suadente, capace di adattarsi alla realtà di Theodore, disposta ad ascoltarlo e a consigliarlo. L’androide, il robot, dunque, questa volta non ha un corpo: è un oggetto, un piccolo rettangolo grande più o meno come un cellulare; non ha a prima vista nulla di umano, se non questa voce che accompagna Theodore nelle sue giornate, e piano piano si affeziona a lui, e lui si affeziona a lei, arrivando ad innamorarsi.

Sebbene questa sembri, e per molti versi sia, una situazione fantascientifica, esiste qualcosa di apparentemente simile anche nella realtà: è il cosiddetto “effetto Eliza”, dal nome di un’intelligenza artificiale sviluppata dal 1964 al ‘67 al MIT di Boston, e che da allora è uno dei principali chatbot in grado di simulare il linguaggio umano, al punto che nel 2021 ha battuto ChatGPT in uno studio sul test di Turing.

Si incomincia a parlare di “effetto Eliza” a causa di alcuni fatti di cronaca degli ultimi anni, in cui sempre più persone hanno iniziato a comportarsi con i chatbot come se stessero parlando con persone davvero umane, arrivando ad esserne influenzati al punto da eseguire ordini, come nel caso di un ventunenne che nel 2021 ha aggredito la Regina Elisabetta, o anche a innamorarsi, come è capitato a un ingegnere del chatbot Replika, un’AI simile ad Eliza ma ancora più sofisticata nell’imitazione del linguaggio umano, e anche personalizzabile secondo i propri gusti. L’ultimo caso, e anche il più grave, è stato nel 2023 in Belgio, dove un uomo è arrivato addirittura al suicidio

Certo, Her non è così inquietante. Le nostre intelligenze artificiali non sono in grado di comprendere o sentire qualcosa, semplicemente simulano il linguaggio, mentre Samantha è dotata di coscienza, e sa provare sentimenti anche profondi. La differenza sta infatti nelle sue capacità intuitive: mentre le AI nella realtà usano degli schemi analitici Samantha è progettata e pensata per imitare perfettamente il pensiero umano ed è dotata di un’intelligenza che va al di là del gioco combinatorio, e si dimostra dotata di una propria personalità, ben al di là delle aspettative. 

A Spike Jonze, però, non interessa il rapporto uomo-macchina in sé, quanto raccontare le relazioni, il nostro modo di viverle. Il centro della storia è Theodore e il suo modo di rapportarsi agli altri e di vedere il mondo. Samantha non rappresenta in quasi nulla una vera AI. è una persona che impara piano piano com’è il mondo degli esseri umani e tutto ciò che vive lo vive per la prima volta. Lei stessa è stupita dei propri sentimenti: per lei quello è il primo amore, e anche per Theodore è una sorta di primo amore, perché è il primo con un’entità non corporea. 

Lei Spike Jonze

Infatti i due vivono una situazione tipica dei rapporti di coppia, in particolare dell’amore adolescenziale: l’idea che la coppia esaurisca tutto il mondo esistente e che tutto il mondo si rifletta in questo amore. Da adolescenti la persona amata rappresenta la totalità delle cose; è come se non esistesse nulla al di fuori. 

Il nucleo della storia è proprio la messa in discussione della verità di questo rapporto. Se siamo in una realtà fantascientifica in cui queste cose accadono, Theodore è esposto al giudizio degli altri, e anche al suo stesso giudizio. Il tema del vero e del falso in amore è uno dei nodi centrali del film: esiste un amore vero? come si fa a capire se è vero? I nostri sentimenti sono giustificati per il solo fatto che li proviamo, o è necessario un riconoscimento sociale perché siano reali?

La mancanza di un corpo per Samantha – e quindi di un modo per dimostrare la propria esistenza come persona umana – diventa sempre più centrale. La nostra società ha costruito un culto del corpo. Questo si riflette anche nel film: alcuni personaggi non hanno pregiudizi nei confronti dell’intelligenza artificiale, ma nello stesso tempo il dubbio aleggia e diventa sempre più pressante. «Non si sfugge alla macchina» diceva Gilles Deleuze, riferendosi alla macchina sociale, agli ingranaggi della società, e in effetti in Her vediamo proprio la duplicità tra la macchina fisica, l’AI, e la società umana, e ad entrambe non si può sfuggire. 

Ma, nonostante questo, in Her non c’è mai la condanna dell’intelligenza artificiale, non stiamo vivendo una distopia e la presenza di rapporti tra umani e non umani è mostrata senza moralismi, facendoci capire che non è possibile sottrarci alle problematiche relazionali, neanche se parliamo di cose che noi stessi umani abbiamo progettato.

E così Her rimane un film attualissimo, la storia di due menti che si parlano e provano a comprendersi, di due mondi, quello biologico e quello artificiale; ma  soprattutto la storia del grande problema dell’alterità. L’ultimo insegnamento di Samantha è proprio questo: non le cose non esistono se non in relazione tra loro, anche se questo può provocare dolori, abbandoni e incomprensioni.  

 


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Redazione: Salvatore Ciaccio
Salvatore Ciaccio

Nato a Sciacca in provincia di Agrigento nel 1993, ho frequentato il Liceo Classico nella mia città natale per poi proseguire gli studi a Pavia, dove mi sono laureato in Lettere Moderne con una tesi dedicata all'architettura normanna in Sicilia.