Autore: Domenico Dolcetti

  • Come far ridere Woody Allen: vita di Robert C. Benchley

    Come far ridere Woody Allen: vita di Robert C. Benchley

    Nato: Isola di Wight, 15 settembre 1807. Imbarcato come mozzo alla Florence J Marble, 1815. Arrestato per bigamia e omicidio a Port Said, 1817. Rilasciato nel 1820. Scrisse “Il racconto delle due città”. Sposò la principessa Anastasia del Portogallo nel 1931… scrisse “La capanna dello zio Tom” nel 1850… iniziò “Le Miserables” nel 1870, terminato da Victor Hugo… morì nel 1871. Sepolto nell’Abbazia di Westmister.

    Questa è una delle tante strampalate (quanto false) biografie che Robert C. Benchley poteva fornire a chiunque gliene facesse richiesta. Ma chi era realmente? E perché proprio Woody Allen sostiene che sia tra i pochi che lo fa “ridere di gusto”? Per capirlo dobbiamo provare a ricostruire, questa volta seriamente, le fasi principali della vita di Benchley. Nato il 15 settembre del 1889 a Worcester, nel Massachusetts, da una famiglia benestante che voleva per lui un ruolo come amministratore delegato in qualche azienda dell’East Coast. Tuttavia, quella candida e rilassante vita alto-borghese preferisce deriderla.

    L’animo irriverente di Benchley emerge già negli anni in cui frequenta la Philips Exeter, nel New Hampshire, una delle scuole secondarie più prestigiose degli Stati Uniti. Mentre i suoi compagni si affannano sugli scritti di Shakespeare e Milton, lui scrive una tesina di diploma intitolata “Come imbalsamare un cadavere”. L’esperienza universitaria non sembra correggere l’attitudine dello scrittore. Ad Harvard diventa direttore dell’Harvard Lampoon, una delle maggiori riviste umoristiche d’America, e sarà solito intrattenere i suoi compagni di confraternita raccontando storie divertenti e compiendo improbabili travestimenti.

    Terminati gli studi, il giovane Benchley inizia a inviare i suoi scritti alle riviste del momento, la scelta si rivela di successo e la sua fama di grande umorista prende forma. Collabora con Vanity Fair, Life, e dal 1925 fino al 1940 scrive per il New Yorker, la prestigiosa rivista statunitense che ha fatto della satira e dell’umorismo raffinato uno dei suoi marchi di fabbrica.

    Inoltre, Benchley, insieme all’amica intima Dorothy Parker, è uno dei fondatori dell’Algonquin Round Table. Un circolo di letterati, giornalisti che tutti i giorni si incontravano all’Algonquin Hotel di Manhattan e si scambiavano opinioni sull’attualità, battute fulminanti, giochi di parole ecc. È forse qui, nello scambio con altre menti letterarie dell’epoca, che lo stile e la comicità di Benchley si definiranno maggiormente.

    Algonquin Round Table
    Alcuni membri dell’Algonquin Round Table (credits: The Hollywood Reporter)

    Anche se già dal periodo universitario emergeranno due di quelli che sono i filoni principali dello scrittore. Nel primo troviamo un uso maggiore del dialetto e del disprezzo nei confronti delle istituzioni e delle regole e nel secondo un uso più raffinato del linguaggio, vicino alle espressioni e ai modi con i quali si poteva esprimere un membro dell’upper class del tempo.

    Al di là delle distinzioni, per buona parte della sua opera, Benchley parodizzerà su “l’uomo comune” e sul suo rapporto con la massa e la società contemporanea che lo porteranno a sviluppare insolite nevrosi. Ne è un esempio lampante il racconto Lettura ad alta voce dei fumetti, nel quale un padre di famiglia, molto probabilmente alienato dalla routine quotidiana, è costretto a soddisfare le richieste di suo figlio che, petulante, gli chiede se può leggergli i fumetti presenti nel giornale della domenica.

    L’uomo, invece di godersi il momento di riposo con suo figlio, legge annoiato e meccanicamente le diverse vignette senza neanche badare alla trama. Sostiene di aver elaborato un sistema che gli permette di leggere e contemporaneamente pensare a qualcosa di più concreto, evitando così che il “tempo sia completamente sprecato”. Ed è qui che inizia a riflettere a dei modi con i quali potrebbe migliorare la sua posizione sociale, lavorativa ecc.

    Ho raggiunto una fase in cui utilizzo una sorta di seconda vista nella lettura, in cui le parole vengono viste e pronunciate senza che il mio cervello le registri affatto. E, mentre siedo con Junior impassibile sulle mie ginocchia […], ho sviluppato un sistema che mi permette di portare avanti un po’ di pensiero costruttivo mentre leggo ad alta voce.

    Oppure, in altri casi, sembra quasi che l’uomo comune di Benchley si senta oppresso da quella che potrebbe essere definita un’altra manifestazione della società metropolitana degli anni Venti: la stampa. In questo periodo sta assumendo connotati molto simili a quelli attuali. Si sta facendo sempre più frenetica e petulante e provoca nei personaggi di Benchley spaesamento e confusione. Ed è su questi due elementi che l’autore innesca quello che egli stesso definirà «dementica praecox humour».

    Oltre che scrittore satirico, Benchley fu anche sceneggiatore e attore: negli anni '30 si dedicò alla produzione di diversi cortometraggi, e vinse il Premio Oscar con How to sleep nel 1935. Qui lo vediamo in un altro cortometraggio, How to start the day, del 1937
    Oltre che scrittore satirico, Benchley fu anche sceneggiatore e attore: negli anni ’30 si dedicò alla produzione di diversi cortometraggi, e vinse il Premio Oscar con How to sleep nel 1935. Qui lo vediamo in un altro cortometraggio, How to start the day, del 1937.

    In altre parole, la voce narrante esordisce citando il frammento di una notizia, o parafrasandolo, e successivamente trarrà delle conclusioni dallo stesso che diventeranno man mano sempre più assurde e sconclusionate. È il caso dello scritto Digressioni sul risparmio energetico. Inizialmente il protagonista afferma di aver letto diverse riviste che parlano di come far funzionare la caldaia risparmiando carbone, e poco dopo proporrà dei metodi totalmente strampalati per risparmiare energia.

    Un altro consiglio utile è quello di evitare che il fuoco si spenga. Questo può essere fatto in un modo che conosco bene. Ovvero, portando al piano di sotto un libro, una tavola ouija o qualche altro intrattenimento al chiuso e rimanendo seduti a un metro e mezzo di distanza dal forno per tutto il giorno, per poi essere sollevati da tua moglie la sera (o, inutile dirlo, viceversa). Non ho mai visto fallire questo metodo per mantenere vivo il fuoco, tranne quando l’osservatore si addormenta per dieci o quindici minuti. Si tratta di un tempo sufficiente per far sì che un fuoco ardente si spenga tranquillamente, e posso dimostrarlo.

    In pezzi come questo, l’autore recupera quel lessico altolocato del quale si parlava in precedenza e aumenta ancora di più l’effetto comico: il registro entra in contrasto con quanto viene detto. Il tono posato della voce narrante lascia intendere che il protagonista abbia realmente padronanza del tema trattato ma in realtà, com’è possibile notare nel passo sopracitato, è esattamente l’opposto.

    Un percorso simile viene compiuto anche nei saggi comici di Benchley, genere del quale potrebbe essere definito l’inventore. Trovate simili a quelle di Digressioni sul risparmio energetico, quindi, è possibile riconoscerle in altri piccoli capolavori dell’autore come Il sesso tra i polipi, dove un presunto trattatello di zoologia ha tutto fuorché delle informazioni esatte.

    Sebbene non voglia fare del gossip, credo che i lettori di questo trattato debbano essere informati del fatto (se non lo sanno già) che un polipo non è né una cosa né un’altra in fatto di sesso. Un giorno può essere un polipo maschio, un altro giorno una femmina, a seconda del suo capriccio o di considerazioni pratiche di politica. […] Credo che se noi grandi cugini umani del piccolo polipo seguissimo l’esempio dato da queste creature più basse di Dio in questo campo, alla fine staremmo tutti molto meglio.

    Benchley, oltre a scrivere e recitare in cortometraggi, prese parte a numerosi film di Hollywood, tra cui Il prigioniero di Amsterdam di Alfred Hitchcock, Frutto proibito di Billy Wilder e Ho sposato un vampiro di René Clair, di cui vediamo un fotogramma.
    Benchley, oltre a scrivere e recitare in cortometraggi, prese parte a numerosi film di Hollywood, tra cui Il prigioniero di Amsterdam di Alfred Hitchcock, Frutto proibito di Billy Wilder e Ho sposato un vampiro di René Clair, di cui vediamo un fotogramma.

    Benchley parodizzerà anche su un genere ampiamente esplorato dalla già citata Dorothy Parker: la recensione letteraria. Con la differenza che egli non parlerà dell’ultima fatica di Scott Fitzgerald, ma dell’elenco telefonico.

    La trama, nonostante le virtù che possono derivare dall’acuta delineazione dei personaggi e delle vivaci immagini d’azione, è la parte più debole dell’opera. Manca di coerenza. Manca di stabilità.

    La grande spinta innovatrice di Benchley è stata quella di inserire l’umorismo in contesti accademici, colti e pseudoscientifici. Ambiti nei quali la comicità e il wit non trovavano molto spazio.

    Tuttavia, il tempo è nemico della comicità, perché per ovvi motivi i contesti cambiano e, di conseguenza, gli oggetti della satira e dell’ironia, i contenuti sui quali ci si diverte. Forse è per questo che lo scrittore è stato in parte “dimenticato”. Ma, dovendo rispondere a una delle domande che ci siamo posti all’inizio, le soluzioni collaudate da Benchley sopravvivono ancora in artisti come Woody Allen, che a sua volta continua a ispirare generazioni di umoristi.

    Non è forse un figlio del saggio comico il mocumentario su Richard Nixon del 1971, Men of crisis: The Harvey Wallinger Story? Oppure, guardando a titoli decisamente più noti, in Harry a Pezzi, Manhattan o Io e Annie, non c’è parte di quella nevrosi urbana sulla quale Benchley si scaglia con la sua penna acuta e dissacrante?

    Forse queste sono delle elucubrazioni per nerd, anche perché se Benchley fosse ancora vivo molto probabilmente ci ribadirebbe la sua semplice, ma per niente stupida, definizione di comicità: “Qualunque cosa faccia ridere”.

     

    Se l’articolo ti è piaciuto, leggi anche: Quando Zelig era solo un film


    Per approfondire:

    Benchley R., Qualunque cosa faccia ridere, Sagoma Editore, Milano 2023.

    D. Remnick, H. Finder (a cura di), Fierce Pajamas: An Anthology of Humor Writing from The New Yorker, Modern Library, New York 2002.

  • La Stand-up Comedy e le Lezioni Americane di Calvino: un matrimonio possibile

    La Stand-up Comedy e le Lezioni Americane di Calvino: un matrimonio possibile

    Quest’estate, reduce da un duro esame universitario, ho deciso di dedicarmi a letture di piacere che per ovvi motivi avevo dovuto rimandare. Tra queste ce n’era una in particolare, della quale vi vorrei parlare oggi. Lezioni Americane di Italo Calvino. Un saggio sul futuro della letteratura in una società in via di trasformazione. All’interno dell’opera, il grande intellettuale italiano trascrive le sei conferenze che avrebbe dovuto tenere all’Università Harvard, Cambridge, nel Massachusetts, nel 1984. La tematica riguardava i valori letterari da conservare per il millennio successivo. Il libro uscì nel 1988 postumo e delle sei lezioni ce ne rimangono solo cinque, ma la loro importanza culturale e letteraria resta comunque inviolata. Ogni conferenza era incentrata su un valore, una qualità della scrittura, e queste sono la leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità e la molteplicità.

    Nel mio precedente articolo, ho cercato di fare una panoramica storica sulla stand-up comedy. Non avrei scritto neanche una riga senza l’aiuto di un libro: Stand-up Comedy, Un nuovo genere letterario di Eddie Tafoya. Come dice il titolo stesso del volume, l’autore intende donare alla stand-up comedy una dignità letteraria. Qualcuno potrebbe non essere d’accordo, per carità.

    Ma la domanda che il sottoscritto si è posto è: fingendo che la stand-up comedy sia a tutti gli effetti un genere letterario, potremmo trovare corrispondenza con i precetti calviniani? In altre parole, c’è un monologo o uno spettacolo intero nel quale potremmo trovare leggerezza, in un altro esattezza ecc.? Ho fatto una ricerca.

    Michelle Wolf e la leggerezza di Joke Show

    La leggerezza, guardando a una delle definizioni date da Calvino, è «guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica», cercare quindi, una via diversa rispetto al pesante.

    Una costante che forse ha accompagnato qualsiasi periodo storico è che ci siamo trovati davanti sempre a qualcosa da “alleggerire”. Oggi sicuramente un peso che sentiamo particolarmente è quello della discriminazione di genere e simili. Le differenze, non più viste come tali, ma come un prezzo da pagare. Di situazioni simili se ne potrebbero dire e pensare molte, ma ora l’unica che mi viene in mente ha un nome e un cognome specifici: ciclo mestruale.

    Adesso qualcuno di voi potrebbe chiedermi cosa c’entra con il saggio di Calvino e la stand-up e io vi risponderei che non avete visto Joke Show su Netflix e non avete sentito la voce stridula della comica Michelle Wolf che immagina un universo parallelo nel quale sono gli uomini ad avere il ciclo giocando con grande ironia su dolore fisico e non solo che affligge lei come molte altre regolarmente. La tematica apparentemente leggera scardina un tabù che influenza sia le donne che gli uomini creando, come tutti i tabù, difficoltà e imbarazzo. La comica sposta l’asse del problema conducendolo anche nel territorio maschile. Il divertente ribaltamento scaglia con grande irriverenza una freccia a favore della comprensione e, in alcuni casi, della sensibilizzazione nei confronti del “problema” da parte degli uomini.

    Parlarne in modo così leggero e scanzonato, al microfono, con una sala piena di persone che si divertono, sembra un bel modo per rompere il ghiaccio sull’argomento.

    Ora, rileggete le parole di Calvino e ditemi se non è leggerezza questa…

    La rapidità e le scomposizioni di George Carlin

    Nei primi anni settanta, la WBAI un’importante società radiofonica americana aveva stilato una lista di parole, sette per la precisione, che non potevano essere dette poiché considerate inappropriate e scabrose. Una loro eventuale presenza sarebbe stata immediatamente censurata con beep.

    Nello stesso periodo, il grande e compianto George Carlin, pensò bene di buttare giù qualche riga sulla cosa. Quello che uscì fuori fu una corrosiva routine performata in diversi contesti da Carlin di cui ci rimane una splendida testimonianza audiovisiva nel suo spettacolo Again! del 1972. Carlin prende quella lista la straccia, la scompone, ne mostra con mimica e movenze da giullare moderno la moralistica assurdità parola per parola senza mai sbagliare un colpo. Guardando il monologo percepirete certe volte, il minuzioso e lento lavoro che lo ha preceduto, ma allo stesso tempo vi sembrerà che Carlin abbia avuto in bocca quelle parole da quando è nato.

    Questa per Calvino è la rapidità, un messaggio d’immediatezza ottenuto a forza di aggiustamenti pazienti e meticolosi» senza soffermarsi su passaggi che non sono necessari allo svolgersi della narrazione. Tanto lavoro, come tutti i grandi.

    La ricerca (spesso estenuante) della parola esatta

    Il lavoro della rapidità così come viene inteso nel saggio di Calvino è, almeno secondo me, molto simile a quello dell’esattezza. Per parlarne lo scrittore italiano si rifà agli appunti di Leonardo Da Vinci che sono stati ritrovati. Il genio e talento universale dell’Italia rinascimentale si definiva un «omo sanza lettere» per la sua scarsa conoscenza del latino e della grammatica che lo portavano ad avere un rapporto complicato con la parola scritta. Da Vinci quindi, correggeva molte volte lessico e sintassi dei suoi appunti con lo scopo di esprimere al meglio la sua scienza.

    Un lavoro molto simile a quello del genio poliedrico lo possiamo trovare in altre personalità contemporanee e non che molto probabilmente avevano “più lettere”. Mi vengono in mente i manoscritti ricchi di correzioni e ripensamenti di grandi autori italiani che il professor Matteo Motolese, docente di Storia della Lingua Italiana presso l’università La Sapienza, analizza nel suo Scritti a mano. Otto storie di capolavori italiani da Boccaccio a Eco. In questo saggio illuminante viene mostrata la lunga gestazione che ha preceduto la realizzazione di grandi opere come il Decameron, l’Orlando Fuorioso o Il Nome della Rosa. Arriviamo ai giorni nostri: Jerry Seinfeld, famoso per la sua serie Seinfeld, per i suoi spettacoli nei teatri e per il suo programma Netflix Comedians in Cars Getting Coffee ci spiega proprio qui, per il New York Times, come scrive le sue battute. Molto simile al metodo Da Vinci, logicamente con contenuti meno utili per il progresso dell’umanità (eh va beh… diciamolo).

    In altre parole, l’esattezza è la ricerca minuziosa dell’autore volta a ottenere uno specifico risultato che può essere stilistico, contenutistico o, nel caso di Seinfeld, di una reazione che vuole provocare negli spettatori: il riso.

    Good Morning visibilità!

    Spesso la carriera di Robin Williams come stand-up comedian viene introdotta con frasi del tipo “forse non tutti sanno che oltre ad essere un attore di successo Robin Williams…” ma non mi trovo d’accordo, non si possono scindere le due cose come due carriere, due forme di espressione totalmente diverse del compianto e talentuosissimo attore. Sono legate, sono vasi comunicanti.

    Un piccolo esempio: l’interpretazione esuberante, improvvisata (ripeto, improvvisata), scanzonata e tenera nello stesso momento che Robin ci regala dimenandosi a tempo di funk davanti al microfono della radio del film Good Morning, Vientam è un riflesso dello stile che porta sul palco. Lì c’è tutto, le voci, l’irrequietezza e le immagini della sua folle e geniale comicità. Come dicevo, le immagini. Per capirci, quando sul palco un comico è solo senza oggetti scenici ha quasi il dovere morale di creare immagini con le parole. Qualcosa che sia visibile anche se non c’è. Questo dovere dell’autore era per Calvino una capacità da preservare. Poi intendiamoci, se ti chiami Robin Williams non è un dovere ma una ricchezza.

    La molteplicità della vita racchiusa in pochi minuti

    In questo caso vi parlo della conclusione di uno spettacolo del mitico Bill Hicks che ha fatto la storia: Revelations. Registrato nel 1993, è l’ultimo spettacolo del comico texano. Nessuno sapeva della sua morte imminente causata da un cancro al fegato. Lo spettacolo è epico, Hicks è maturo, sempre nevrotico, ma maturo. Lo spettacolo è un manuale di satira e la conclusione, pensata insieme alla consapevolezza di morire è struggente e poetica.

    «È solo un giro di giostra» diceva Hicks parlando della vita come di una scelta tra amore e paura. Italo Calvino sosteneva che la capacità che poteva avere la letteratura era quella di racchiudere la molteplicità in un solo tratto ed è quello che fa Hicks. Le spesso deliranti argomentazioni e le invettive contro diversi aspetti della società americana come la politica, il moralismo, la religione, la decadenza dell’industria musicale ecc. potevano lasciare un ritratto di Bill Hicks come di un personaggio cinico e disincantato.

    Ma sul finale forzato della sua carriera, il comico ci mostra cosa c’era dietro quella rabbia isterica, quale era il nucleo del suo universo comico e quindi della sua visione del mondo. La molteplicità dei suoi attacchi satirici si muoveva all’interno di una scelta, come detto prima, che gli uomini potevano fare tra paura e amore. Molto probabilmente Hicks era arrabbiato perché scegliamo sempre la paura. Se nella prima parte della sua carriera riesce a dare un’interpretazione dei diversi aspetti della società americana, in quel monologo di tre minuti riesce a mostrare il mondo che la racchiude insieme a molte altre società

    Letteratura in evoluzione

    Calvino quando ha scritto il saggio non deve aver pensato alla stand-up comedy, ma di sicuro stava a pensando a come la letteratura potesse continuare a essere efficace nel mondo contemporaneo. Come detto in precedenza, posto che la stand-up comedy sia un genere letterario, possiamo dire che sta raggiungendo l’obiettivo. Il linguaggio spesso scurrile ma anche confidenziale che la caratterizza, la rottura della quarta parete e l’atteggiamento amichevole, da “amico al bar”, che il comico può avere creano un terreno comunicativo condiviso con il pubblico che permette di filtrare con maggiore linearità un messaggio, un contenuto o una determinata rappresentazione della società.

    La stand-up comedy non è l’unico futuro per il mondo artistico, ma ne farà sicuramente parte.

  • Un essere umano sul palco: la Stand-Up Comedy

    Un essere umano sul palco: la Stand-Up Comedy

    Se provassimo chiedere a cinquanta persone diverse cosa sia la comicità, avremmo molto probabilmente cinquanta risposte diverse e questo perché la risata, come qualcuno più saggio di me una volta mi ha detto, è “tremendamente soggettiva”. Quante volte ci è capitato di ridere fino allo sfinimento per situazioni davanti alle quali altre persone sono rimaste totalmente indifferenti? Tante. Ma altrettante volte ci si incontra nello stesso momento, a ridere insieme delle stesse cose. L’enorme commedia corale dell’esistenza placa momentaneamente il suo inesorabile intrecciarsi per sollevare il capo ed esplodere in una risata liberatoria.

    La vita, ahimè, non è così generosa da regalarci situazioni come queste con cadenzata regolarità e spesso per divertirci dobbiamo bere irresponsabilmente o magari pagare un biglietto. E se nel 2020 ti troverai a pagare un biglietto per divertirti, molto probabilmente lo farai per andare a vedere uno spettacolo di stand-up comedy.

    In un’esibizione come questa vedrete un comico libero da ogni travestimento, che solingo si presenta sul palco rompendo la quarta parete con la possibilità di parlare di qualsiasi argomento.

    Negli Stati Uniti, dove nasce, è diffusa da molto tempo. In Italia le cose sono andate da diversamente ma ora, senza perdersi in retoriche politiche sul perché l’Italia sia rimasta indietro, proviamo a ripercorrere brevemente (e con tutte le dovute sintesi) la storia e l’impatto sociale che possono avere un essere umano, un microfono e qualche risata.

    I cambiamenti e la rivoluzione industriale

    Alla fine del diciannovesimo secolo la rivoluzione industriale cambiava la società americana: si stava creando una popolazione urbana composta da operai, immigrati e persone benestanti e maggiormente istruite, almeno rispetto alla media mondiale contemporanea, che innescava, quasi fisiologicamente, nuove forme di arte e intrattenimento. È in questo contesto che vengono piantati i semi della stand-up comedy. Tra le prime produzioni aderenti alle esigenze del tempo troviamo il vaudeville: uno spettacolo composto da gruppi di comici, ballerine e cantanti adatto a quasi tutte le età che porrà le basi dell’intrattenimento americano. Se fossimo vissuti nel 1840 circa a Boston avremmo potuto vedere un’esibizione di colui che viene definito da molti critici il primo stand-up comedian della storia: Charlie Case. Fu lui il primo a salire sul palco in abiti quotidiani senza alcun oggetto di scena con delle battute volte far ridere il pubblico. Della biografia e della carriera restano poche informazioni.

    Il Burlesque e Lenny Bruce: il lato oscuro di una società fiorente

    Lenny Bruce
    Lenny Bruce

    Se Charlie Case e il vaudeville hanno donato alla stand-up la dimensione del monologo e l’assenza di ausili scenografici, il burlesque le ha donato l’irriverenza, la trasgressione e il grottesco con spogliarelli, battute, sensualità e monologhi che uscivano dalla comfort zone del giorno per entrare nella carnale e peccaminosa atmosfera notturna. Il burlesque è l’altra faccia del vaudeville. Il pubblico era diverso. Sarebbe stato impossibile vedere una candida famigliola che si divertiva davanti a uno spogliarello o a una battuta scorretta. Qui, muoverà i primi passi Lenny Bruce, il pioniere della stand-up comedy per come la conosciamo oggi. Formatosi artisticamente in locali di burlesque, per attirare l’attenzione del pubblico in trepidante attesa per esibizioni più eccitanti della sua doveva «sporcare i suoi pezzi per riuscire a competere con le spogliarelliste».

    I pezzi del giovane Lenny Bruce saranno influenzati dall’ambiente del burlesque fino agli inizi degli anni cinquanta. Poi lo scenario cambierà. Il mondo aveva attraversato un altro conflitto mondiale, gli Stati Uniti avevano bombardato Hiroshima e Nagasaki e dal senso di colpa nazionale derivava un disperato bisogno di normalità che sanavano alimentando una narrazione bucolica del Paese. Opinione pubblica, cinema e televisione assecondavano questo bisogno, mentre altri cercavano alternative diffidando dal sentire comune. Tra questi troviamo gli artisti della generazione Beat che, attaccando il positivismo e la morale americana, levavano una prorompente voce di protesta. Lenny Bruce trova nuove fonti per la propria voce comica toccando argomenti di cui nessun comico prima aveva osato parlare con un linguaggio colloquiale e libero da repressioni, frutto della gavetta nel burlesque, che gli costerà arresti e processi.

    La comicità, come la musica e la poesia di quegli anni, aveva diversi attori che insieme a Lenny Bruce ampliarono il DNA della stand-up comedy. Mort Sahl e Dick Gregory sono stati senza dubbio tra questi. Il primo si prendeva gioco della politica del tempo ed era solito salire sul palco con un giornale sotto braccio evitando la battuta facile ma giungendo alla medesima con virtuose architetture narrative. Il secondo invece, raccontava e commentava le vicissitudini di un afroamericano in un Paese attraversato dal razzismo. Negi anni sessanta, diventato ormai un fenomeno nazionale, decide di abbandonare la sua carriera per dedicarsi interamente all’attivismo politico.

    L’eredità: George Carlin e Richard Pryor

    L’impetuosità di Lenny Bruce, le sottili proteste di Mort Sahl e le lotte per l’integrazione di Dick Gregory sono giunte, fortunatamente per noi, alle orecchie di George Carlin. Il comico newyorchese ha iniziato la sua prolifica carriera (ha registrato quattordici spettacoli per HBO tra il 1977 e il 2008) nel 1956 e ha convertito le proteste dell’era Beatnik a quelle degli anni sessanta e settanta mettendo in discussione il sistema economico americano, la religione e il linguaggio della comunicazione di massa. George Carlin è il comico che ogni appassionato di stand-up dovrebbe amare incondizionatamente e cercare di sintetizzarne in poche parole l’universo sarebbe impossibile. Ci sono molti pezzi del comico su YouTube sottotitolati in italiano. Tra i più celebri, vi propongo questo.

    Secondo molti, sottoscritto compreso, Richard Pryor è il più grande stand-up comedian della storia. L’umorismo, come abbiamo visto poco fa, cambia con le vicende umane quindi alcune battute e stilemi di Pryor potrebbero risultarci antiquati ma non molto. Nei suoi spettacoli (tra i più celebri Live On the Sunset Trip del 1982) il comico, oltre a sviscerare con estrema lucidità le tematiche del razzismo negli Stati Uniti, tema purtroppo ancora attuale, dialoga con il pubblico e rivela con naturalezza infantile i suoi mostri. Parla della sua discesa autodistruttiva nel tunnel della droga, del suo tentato suicidio e di qualsiasi altra cosa riesca a trovare scavando nella sua anima. Pryor e Carlin, quasi contemporaneamente, hanno rivoluzionato questa arte. Per avere una dimostrazione della grandezza di Pryor, per fortuna nostra su Netflix potete trovare Live in Concert del 1979.

    Il Boom degli anni ottanta

    La complicità di diversi fattori sociopolitici come, ad esempio (ma giusto per esempio) la presidenza Reagan con la sua fervente promozione del liberismo, la società americana conosce un incremento del dinamismo economico che provoca ricchezza ma anche alienazione in tutti coloro che rimangono esclusi dal sogno americano. Le persone si rifugiano nei comedy club. Sono gli anni d’oro della stand-up. Le tematiche si ampliano, parallelamente alla protesta di Carlin e all’intimismo di Pryor si fanno spazio nuovi contenuti. Il comico Jerry Seinfeld, protagonista di questo rinascimento della comicità, evita i toni aggressivi e invettivi tipici della tradizione della stand-up per parlare con puerilità di tutti quegli aspetti della vita quotidiana che siamo soliti ignorare, il surrealista Steven Wright sciorina una battuta geniale dopo l’altra senza alcuna connessione logica. La qualità è altissima. Basti pensare che in questi anni, per citarne alcuni, nascono stelle come Jim Carrey e Eddie Murphy.

    Bill Hicks

    Bill Hicks
    Bill Hicks

    Ai nuovi punti di vista che andavano creandosi negli anni ottanta un giovanotto del Texas, un certo Bill Hicks, preferisce raccogliere l’eredità di Bruce e Carlin per avanzare critiche isteriche e piene di favoloso genio comico contro Reagan, la mediocrità e qualsiasi prodotto di un sistema economico sempre più capitalistico. Hicks per le sue tesi visionarie su droga, politica, umanità e altre tematiche venne definito “Il Profeta”. Il comico ebbe un rapporto complicato con la sua patria, mentre in Inghilterra e Irlanda ottenne maggiore successo. Infatti proprio a Londra registrerà il suo ultimo spettacolo Revelations, che a parere del sottoscritto è tra le migliori opere del leggendario comico.

    Bill Hicks sul palco era un torrente in piena, difficile ad arrestare e spesso controverso. Per chi fosse interessato consiglio di vedere i video cortesemente caricati su YouTube dalla Bill Hicks Italian Community per capire il motivo per cui questo artista brilla nel firmamento della comicità.

    Dagli anni novanta fino ad oggi

    Dopo la tempesta, c’è una specie di quiete. Negli anni novanta il mercato della stand-up comedy è vittima della saturazione. La competizione si fa sempre più accanita per i comici. Per avere tre minuti davanti alle telecamere per il programma comico Last Comic Standing aspettano giorni e giorni davanti agli studi televisivi. In questa marea, tra le voci che emergono c’è quella di Dave Chapelle, comico afroamericano vincitore quest’anno del Mark Twain Prize (il maggiore riconoscimento per la comicità) e anche se poche, e spesso discriminate in ambiente comico, iniziano a farsi valere le donne sul palco tra le quali la brillante e caustica Sarah Silverman che con un umorismo sottile rompe i taboo e gli stereotipi di genere.

    Negli ultimi anni tra i mezzi principali per vedere spettacoli comici si è aggiunto Netflix dove l’offerta è ampissima e possiamo godere di spettacoli di grandi comici come Chris Rock, Amy Schumer, Ricky Gervais, Iliza Shlesinger ecc. e da poco tempo anche comici italiani come Edoardo Ferrario, Francesco De Carlo e Saverio Raimondo.

    Nel ripercorrere brevemente quanto trattato ci possiamo rendere conto della presenza, quasi esclusiva, di voci maschili all’interno della scena. Questo fenomeno spesso dettato da pregiudizi e discriminazioni (“le donne non fanno ridere”) sta subendo da un po’ di anni un consistente cambiamento. Movimenti come il #metoo o quelli LGBTQI hanno sfondato una barriera mai toccata. La varietà di genere e sesso all’interno del mondo della comicità si sta ampliando.

    Di conseguenza, il contenitore di idee e punti di vista diventa più vasto e più interessante. Elencare tutti i comici e le comiche fautori di questa ondata sarebbe un lavoro lungo e non esaustivo, l’unica cosa che posso dirvi e di recuperare, nel caso in cui non l’aveste visto, uno spettacolo che potete trovare sempre sulla piattaforma Netflix: Nanette di Hanna Gadsby. Un monologo spiazzante di una comica omosessuale che ha suscitato diverse polemiche ma anche smosso diverse acque sin troppo ferme. Di nuovo, buona visione.

    La situazione in Italia

    Edoardo Ferrario
    Edoardo Ferrario

    In Italia siamo rimasti indietro? Boh, non si sa. Sicuramente per molto tempo non abbiamo avuto una tradizione comica che si sia definita “stand-up comedy”. I primi a farlo però sono stati i membri di Satiriasi. Fondata dal comico Filippo Giardina nel 2009, Satiriasi è stato un gruppo di dodici comici provenienti da diverse esperienze tra i quali Giorgio Montanini, Francesco De Carlo, Saverio Raimondo, Mauro Fratini, Velia Lalli, Pietro Sparacino e Daniele Fabbri, che decidono di riformare la comicità italiana ponendosi le basi con un manifesto di quindici punti. Con queste regole il comico viene “obbligato” a rifiutare la comicità italiana passata, ritenuta da Satiriasi colma di luoghi comuni e battute scontate, e a rivalutare la componente autoriale dei propri monologhi partendo da una visione personale.

    Da questo e da molte presenze in palinsesti e programmi televisivi, i comici conoscono in gruppo e separatamente un successo notevole che farà da trampolino di lancio per la diffusione della stand-up in Italia continuando ad alimentare la scena anche oggi insieme ad altri comici come Edoardo Ferrario (il primo comico italiano ad avere uno spettacolo su Netflix e autore e interprete della celebre webserie Esami – La Serie) Michela Giraud, Luca Ravenna e tanti altri.

    Che cosa ci resta da fare

    Com’è chiaro la stand-up comedy in Italia non ha la storia che ha negli USA o in altre parti del mondo. Il paragone con gli amici d’oltreoceano è stato spesso oggetto di piccole polemiche interne. La maggiore o minore autenticità della “nostra” stand-up rispetto a quella americana può aver provocato malintesi anche nei confronti del pubblico. “Di cosa dovrebbe parlare uno stand-up comedian?”, “Che cos’è la stand-up comedy?” sono domande che sento spesso quando parlo della mia passione. Ma ora, dopo una pandemia globale che ha sconvolto il mondo, queste sterili diatribe non servono a molto. L’unica curiosità che dovremmo avere, almeno noi “nerd” della comicità è: «Che cosa può dirmi un uomo solo su un palco che vuole far ridere dopo un evento così drammatico?».

    Poi, dovremmo pagare il biglietto.

    E ancora, buona visione.

     

    Se l’articolo ti è piaciuto, leggi anche La Stand-up Comedy e le Lezioni Americane di Calvino: un matrimonio possibile.


    Per approfondire:
    Satiriasi, su Stand Up Comedy Italia
    Tafoya E. Stand-Up Comedy. Il nuovo genere letterario, Sagoma Editore, Padova, 2006