Focolare color cielo, v. 2
Canzone consigliata durante la lettura: nessuna, o almeno nessuna esplicitamente nota all’autore dell’articolo. Blue degli Eiffel 65, da un punto di vista puramente semantico, potrebbe vantare una corrispondenza perfetta con le predilezioni cromatiche del nostro oggetto di analisi odierna.
Le corrispondenze, purtroppo, si fermerebbero lì.
Il presente articolo non c’entra nulla con quello che, ormai un’eternità fa, è uscito con lo stesso titolo. Eppure, il titolo in sé calza alla perfezione l’argomento di oggi: più di quanto non accadesse, in effetti, con lo splendido fumetto Il blu è un colore caldo di Julie Maroh e con la sua distinta – ma degna – trasposizione filmica La vita di Adele, firmata Abdellatif Kechiche.
“Focolare color cielo“: si parla di calore, e si parla di blu. Un accostamento antitetico risolto, nelle due opere sovra citate, in una storia d’amore osteggiata dal mondo, dalla società, dalle stesse difficoltà della relazione.
Calore ce n’era tanto; blu ancora di più.
L’articolo di oggi va oltre. Ha il calore, ha il blu. Ma ha, soprattutto, il focolare: quello domestico.
È una storia di casa, di famiglia.
È Alzheimer. Storie a casaccio di Rosa Puglisi alias “Vorticerosa[2]“, pubblicata da It Comics: piccola casa editrice i cui membri, nell’omonimo It Space di via Giovanni Enrico Pestalozzi a Milano (non molto distante dalla fermata Romolo della Metro 2 verde), organizzano corsi di disegno e fumetto.
È una graphic novel peculiare; se invero l’etichetta non le risulta troppo larga. Un’opera fulminea nella brevità della sua durata (neanche quaranta pagine, diverse delle quali occupate da note o soli titoli), debitrice all’illustrazione e all’arte visiva più che alle squadrate vignette e ai balloons[3] del fumetto.
Mi ricordo, o non mi ricordo…
So che sono qui,
vedo le mie mani e il mio viso,
vedo che è sempre lo stesso.
Sì, è proprio il mio viso.
È, come da titolo, un insieme di storie rigorosamente “a casaccio”, un flusso dominato dalla malattia di Alzheimer: dalla coltre d’indistinzione e ottundimento che, avanzando di pari passi con l’impietoso scorrere degli anni, priva le sue vittime anche del conforto dei più cari ricordi.
Ed è una vicenda di cui, considerata l’immediatezza della sua fruizione, non avrebbe senso fornire le guide linea. Basti sapere che a narrarla e a costituirne la protagonista è una figlia, una madre, una nonna: chiamata a rivestire alternativamente i tre ruoli assecondando lo scorrere caotico del tempo; le immersioni nel passato come le traumatiche emersioni nel presente.
Le immagini fluttuano in libertà sulle pagine, incuranti del severo pattern che domina le stesse: righe e quadretti giustapposti casualmente, a indicare l’umile mezzo di un semplice quaderno (di più quaderni, anzi). Un supporto che si fa vero e proprio album di fotografie; ricettacolo in cui, a fatica e senza soluzione di continuità, si raccolgono le immagini di tutta un’esistenza. Si strappano alla graduale progressione della malattia, una ad una, per poterle conservare, per averle vicine. Eppure, le nebbie dell’Alzheimer riescono a infiltrarsi anche nella carta e nelle immagini: distorcendo i confini di una vicenda che, proprio come la sua narratrice, non riesce a mantenere un’oggettività testimoniale.
Ciò che emerge da questo scandaglio, pur frammentato e distorto, è l’affresco di una Sicilia novecentesca, barcamenatasi faticosamente tra due conflitti mondiali per poi varcare la soglia della seconda metà del secolo. Un mosaico familiare dai plurimi e variegati tasselli, dove l’oggettistica di casa ha un valore precipuo: appiglio materiale all’esistenza, lascito di ciò che è stato che a sua volta costituisce un caleidoscopio di storie, di volti, di vite. Un catalogo, affiancato da timide nuvolette, che l’autrice di Alzheimer sembra conoscere alla perfezione, e che nell’universo da sogno del fumetto ha trovato la perfetta corrispondenza alle sue reali sembianze.
Care nonne,
raccontate ai vostri nipoti
le esperienze più belle della vostra vita
come fossero fiabe,
non lasciate che come eredità
prendano il sopravvento solo
i ricordi dei dissapori familiari.
Lasciandosi trasportare dal lento flusso dei ricordi, il disegno si serve di forme differenti. Scandaglia il blu soffuso dell’esistenza trascorsa in cerca di immagini, appoggiandosi ora a sagome infantili ora a schizzi virtuosi, per giungere all’esibizione di scorci pittorici: tutti paesaggi della memoria, dal primo all’ultimo.
Incollati con mani ormai tremanti e insicure sul libro della vita, certo. Ma anche disposti con maestria sulla pagina del fumetto, a regalare un impatto visivo unico e di infinita tenerezza.
Alzheimer. Storie a casaccio, in definitiva, non sarebbe fuori luogo descriverlo servendoci del già citato titolo dell’opera di Julie Maroh, del “Focolare” precedente.
Mai come ora, infatti, il blu è stato un colore così caldo.