Cormac McCarthy, la Strada

Cormac McCarthy: il buio non nasconde la Strada

L’Istituto Ciechi di Milano ospita nella sua sede una mostra intitolata Dialogo nel buio: è un percorso che si compie in totale assenza di luce, accompagnati da esperte guide non vedenti, dove ci si affida al tatto, all’udito, all’olfatto e al gusto per simulare esperienze di vita quotidiana in completa oscurità. Avendoci partecipato, mi sono ritrovato in accordo con una frase che ho sentito pronunciare: il buio non nasconde le persone, ma le svela. In esso non conta l’apparire, ma l’essenza pura dell’anima. Ho pensato molto a queste parole leggendo La Strada (2006) di Cormac McCarthy.

Il buio, il freddo intenso e la desolazione d’un mondo post-apocalittico spingono le persone a rivelare la propria natura animale e spesso brutale. Te ne rendi conto quando senti il respiro leggero e affannoso del bambino che stringi al tuo fianco: è l’unica cosa che ti separa dal suicidio. L’unica persona che ti resta da difendere.

Durante la lettura mantieni il tuo status di lettore, ma sei insieme padre e avventuriero; un cercatore di senso, sperduto in un paesaggio rarefatto. McCarthy dissemina le parole come stazioni di servizio su di una lunga strada nel deserto: le frasi vengono erose dal vento, spolpate fino all’osso come un ultimo brandello di carne. E proprio quando senti scendere una notte polverosa e senza stelle dentro di te, McCarthy ti concede un sollievo: un rifugio abbandonato e inaspettato, pieno di viveri e di speranza.

È lì che lo stile si distende, pur rimanendo contrito nella paura di essere scoperti dalle bande di uomini che percorrono la strada principale. Uomini che prima stuprano e poi ti mangiano senza neanche ucciderti. E come un rifugio, l’autore lascia nel vuoto delle frasi, ogni tanto, una sentenza- un cumulo di parole (meglio non si può definirle) piene di conoscenza trita della vita. E così giace, colta soltanto un istante dal lettore. Dopo un attimo, la rigetti nella cenere confusa assieme al ribollire gorgogliante delle macerie sintattiche come un barattolo di pesche sciroppate. Vuoto.

Cormac Mc Carthy La Strada

A parte tutto questo, regna il silenzio. Un silenzio dovuto, necessario, non di quelli trattenuti in una cena imbarazzante. Il romanzo è praticamente un flusso di coscienza. Non esistono virgolette prima dei dialoghi né ordine e le parole sono poche, centellinate. Ma è proprio questo aspetto a renderli importanti: sono emblemi di un’umanità pulsante, scambi di affetto e di opinioni tra padre e figlio, ossi di seppia d’un Mondo risucchiato nell’oblio. Sono Dialoghi nel buio e così capite a cosa mi riferivo nell’introduzione. In questo momento stringi la mano di tuo figlio, pensi alla morte, parli con la vita e senti la vera natura del tutto. E quando non ce la farai più, sarà tuo figlio a prendere una decisione in un finale che è di una tristezza molto ambigua ed inquietante.

La Strada è un libro che consiglio, pur nelle difficoltà interpretative che lo esaltano e lo isolano al contempo. In uno slancio di reni si sbilancia verso un messaggio profetico e catartico, ma- esaurita la spinta- s’affossa nel lascito perso di una vana speranza buttata al macero tra le ossa dei morti.

Ah, esiste anche il film diretto da John Hillcoat uscito nel 2009 con Viggo Mortensen (sì, Aragorn del Signore degli Anelli) e Charlize Theron, ma vi vieto di guardarlo prima di aver letto il libro. Altrimenti vi tolgo la parola. (scherzo, vi voglio bene lo stesso anche se siete cinefili).

Ce la caveremo, vero, papà? Sì. Ce la caveremo. E non succederà niente di male. Esatto. Perché noi portiamo il fuoco. Sì. Perché noi portiamo il fuoco.

 


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